“Flow – Un mondo da salvare” è un film realizzato in Lettonia che capovolge la nostra prospettiva riguardo il modo in cui ci relazioniamo quotidianamente alla natura.
Nel lungometraggio che si è recentemente guadagnato l’Oscar come miglior film di animazione, siamo in un futuro non specificato. L’essere umano è assente e non ci è dato di sapere se è scomparso o distante dalla nostra prospettiva, non vengono fornite spiegazioni.
Ciò che ha spazio è l’acqua, che invadendo con violenza territori, colline e persino montagne, dipinge un quadro agghiacciante, dove la natura prosegue il suo corso inarrestabile e indifferente, come una forza che non può essere fermata. Chi ha avuto la fortuna di restare vivo, cerca di sopravvivere.
Senza dialoghi, senza parole, il film ci immerge in un’esperienza puramente sensoriale, fatta di suoni, movimenti e paesaggi. La comunicazione diventa quella animale, fatta di gesti e versi. In questa narrazione muta, lo spettatore si trasforma in una creatura tra le creature, fragile e esposta alla maestosità di qualcosa di molto più potente, lontano dai fasti della civiltà che una volta lo elevava sopra gli altri esseri viventi.

Tra tutti i personaggi, spicca il protagonista assoluto, di cui non conosceremo mai il nome. Dopotutto, siamo diventati animali, e dunque quelle caratteristiche che definiscono gli esseri umani non hanno più importanza. Si tratta di uno snello gatto nero, con cui è impossibile non empatizzare fin da subito. Gli amanti di questi felini si ritroveranno a sorridere vedendo con quanta cura siano stati riprodotti i classici comportamenti dei mici: sguardi, pose, versi. Ogni dettaglio risulta incredibilmente realistico e familiare a chi convive con un gatto.
Lo stile di animazione richiama quello di un videogioco, e c’è un motivo preciso. Flow è stato realizzato con un budget minimo, utilizzando Blender, un software open source accessibile a tutti. Questo programma, dotato di un motore grafico in tempo reale, crea effetti simili a quelli prodotti con Unreal Engine, la tecnologia alla base di molti videogiochi. Il risultato è un’animazione che non raggiunge la raffinatezza delle produzioni Disney-Pixar ma risulta ugualmente accattivante. La definizione delle immagini non è iperrealistica, ma questo non è un difetto grave; al contrario, si armonizza perfettamente con la narrazione.
Il film inizia proprio con il gatto e segue le sue vicende dal principio alla fine: lo vediamo svegliarsi in quella che sembra una casa umana, ma di esseri umani non c’è traccia. La geografia del film è vaga, il tempo indefinito: il mondo che ci viene mostrato somiglia al nostro, eppure è sospeso in una dimensione insolita, che mette tensione e curiosità. Potrebbe essere il futuro remoto, o più probabilmente, un terribile futuro prossimo.

Questo mistero non è casuale, e sollecita il senso di minaccia che alberga costantemente nel nostro inconscio, nonostante cerchiamo di ignorarla: quella dei cataclismi naturali e del cambiamento climatico ormai in atto, che rende ogni estate più rovente e sta sciogliendo i ghiacciai. Il nucleo emotivo di Flow ruota attorno a due temi principali: l’empatia e la concreta possibilità che gli eventi cui assistiamo possano, prima o poi, verificarsi nella realtà. Il tutto permeato necessariamente da un forte senso di fatalismo.
Gli animali protagonisti, un gatto schivo, un labrador esuberante, un capibara svogliato, un lemure ladruncolo e un serpentario malconcio, intraprendono un viaggio attraverso territori sconosciuti, viaggiando su una barca che non sono quasi in grado di pilotare, lasciandosi trasportare dalla corrente. Una metafora che ricorda quelle tipiche dei sogni, suggerendo una situazione fuori controllo. In effetti, sono bestie indifese, alla mercé degli eventi. Il film ci spinge a immedesimarci in questi esseri che lottano per sopravvivere, suscitando in noi il desiderio di proteggerli, soprattutto perché nel gruppo ci sono un cane e un gatto, animali domestici per eccellenza, insieme ad altre specie che ci suscitano simpatia, come il capibara, un animale un tempo sconosciuto e ora adorato grazie ai meme e al web.

Il senso di indefinito che permea l’intera pellicola, contribuisce allo straniamento, misto però a stupore, meraviglia e curiosità di sapere cosa accadrà nella prossima scena. L’ora e mezza di film infatti scorre velocemente, ma la sensazione finale è di impotenza: per quanto ci illudiamo di poter controllare il mondo, siamo comunque parte della natura e soggetti alle sue leggi. Il film, volontariamente, non offre risposte né spiegazioni e ti lascia “nudo”, con la sensazione di essere l’ennesima bestia inerme sulla Terra. Una consapevolezza che può sembrare terribile, ma che ci mette in realtà in connessione con i nostri simili e con tutte le altre creature del pianeta. Una presa di coscienza destabilizzante, con cui bisogna necessariamente imparare a fare i conti. Flow – Un mondo da salvare: Un viaggio sensoriale nella fragilità dell’esistenza umana