Nel recensire une fiera d’arte, in questo caso Frieze New York appena conclusasi, c’è sempre il rischio di dare tante informazioni, elencare artisti, andamenti del mercato etc., ovvero di fare una “lista della spesa… Io invece vorrei partire con un’opera esemplificativa che potrebbe racchiudere il significato della fiera è “It is what it is , are you out of your fucking mind?” (“È quello che è, ci stai con la testa?”) come c’è scritto sul dipinto di Mel Bochner, presentato dalla galleria Massimo De Carlo. E in effetti infatti qui non ci sono colpi di scena particolari, oppure opere che vogliano stupire a tutti i costi. Sarebbe fuori contesto. Dove non ci sono i curatori c’è il mercato o viceversa.
Le sessanta gallerie in maggioranza americane, moltissime newyorchesi, si estendevano sui tre piani del magnifico Shed, in Hudson Yard, una struttura situata alla fine dell’high line, di fianco al Vessel.
Frieze New York , giunto alla sua dodicesima edizione, sta diventando un appuntamento imperdibile, dove l’unica pecca è la quota di ammissione generale per il fine settimana con ben 76 dollari di biglietto per l’ingresso!
Per il resto le dimensioni della fiera sono “umane” e consentono di gustare le opere senza un sovraffollamento visivo. L’ambientazione è aperta e luminosa, l’esatto opposto del luogo umido dell’Armory Show della scorsa stagione al Javits Center. (L’Armory Show è ora un franchising di Frieze). E all’interno della ristretta selezione di gallerie, c’è una certa varietà. Lo vedi anche nei progetti degli stand.
In questo momento di mancanza di nuovi collezionisti e di incertezza geopolitica, la chiave è l’adattabilità e saper gestire il presente, le medie gallerie hanno certo più difficoltà, ne escono vincenti sempre e comunque i colossi tipi Gagosian, Hauser & Wirth, Pace Gallery, Thaddaeus Ropac. A proposito di Pace Gallery, notevole è l’ambientazione White-box con i dipinti sagomati di Robert Mangold e le sculture astratte di Arlene Shechet.
Divertente invece lo stand di David Zwirner, con divani scultorei e ludici oggetti-sculture in cartapesta a graffiti di Nate Lowman che cadono sulle pareti con l’installazione di Franz West.
La recente esplosione della pittura figurativa sembra essersi un po’ attutita, anche se qui ci sono alcuni esempi interessanti, in particolare un dittico di divinità rivestite d’oro dell’artista di San Paolo Rosana Paulino presso Mendes Wood DM. Oppure alla Galleria Victoria Mirò con Kudzanai Violet Hwami.
L’astrazione è onnipresente nelle gallerie. In gran parte sembrano opere già viste e anche gli enormi dipinti gestuali di Sterling Ruby da Gagosian, non aggiungono nulla a ciò che conoscevo già. Mi danno più emozione i lavori della galleria A Gentil Carioca con Ana Silva e Laura Lima, un’installazione di fiber art e di sipari ricamati e trasparenti che creano una poetica ambientazione. Molti gli artisti brasiliani, d’altronde questa è una stagione artistica internazionale dominata dal nome di un curatore brasiliano, Adriano Pedrosa, organizzatore dell’attuale Biennale di Venezia.
Il collage in una forma o nell’altra, è ovunque. Nei densi assemblaggi di piume di uccelli di Beatriz Cortez o nell’intero progetto di ricerca sul collage, in una mostra alla Kukje Gallery dell’artista coreana Haegue Yang che, con parole e immagini, ripercorre la storia del medium carta ritagliata come fenomeno globale dai risvolti sciamanici. L’intero stand è andato sold out al primo giorno, costo per un pezzo per singolo 27K.
Tra gli stand più interessanti c’è la coreana Gallery Hyundai con il lavoro di Seung-Taek Lee, un mago del minimalismo della materia riciclata, mentre Gladstone Gallery propone Alex Katz con l’esplosione vitale dei suoi alberi su fondo color mandarino. Thaddaesu Ropac puntano sul sicuro con artisti come Rauschenberg, Tony Cragg e George Baselitz e Hauser & With con Roni Horn. E Doug Atkins è presente nella 303 Gallery di New York con un tondo digitale retro illuminato What am I doing here?, e mi fa pensare ai suoi bellissimi video.
Le gallerie italiane presenti sono tre. Si aggiunge alle già citate Massimo de Carlo e Victoria Miro la Galleria Giò Marconi, che alla domanda come mai presentate solo artisti americani, mi risponde che la scelta è dovuta alle alte cifre del trasporto !
Accedere al mondo dalle mura blindate d’oro del mondo dell’arte, si sa, è difficile, siamo in attesa delle nuove generazioni di collezionisti che aprano il mercato su più fronti, rendendo così la scena dell’arte ancora più stimolante.