Gentile Bellini, lo schiavo sgozzato e il mestiere della critica

In questa rubrica vi raccontiamo storie, aneddoti, gossip e segreti, veri, verosimili o fittizi riguardanti l’arte e gli artisti d’ogni tempo. S’intende che ogni riferimento a persone esistenti o a fatti realmente accaduti sia puramente casuale…

La storia racconta che il pittore italiano Gentile Bellini, fratello del non meno celebre Giovanni, fu un giorno invitato a Costantinopoli dal sultano Maometto II, noto in patria come Mehmet II Fatih, il Conquistatore: era infatti stato lui, nel 1453, a soli 21 anni, a prendere Costantinopoli e a farne la capitale dello stato ottomano. Il Sultano desiderava che dalla Serenissima, di cui era stato fino a poco prima acerrimo nemico, gli mandassero un “bon depentor che sapia retrazer”.

Gentile Bellini <em>Ritratto del sultano Mehmet II<em> 1480

Il Sultano, così narra la leggenda, desiderava che fosse realizzato un proprio ritratto (Bellini, nei due anni in cui si fermò nella città sul Bosforo, nel realizzò ben tre), e che stesse alla sua corte ad affrescare e dipingere scenette di genere, ritratti di cortigiane e di dervisci, ed altre amenità.

Francesco Hayez Gentile Bellini accompagnato dal bailo veneziano nellatto di presentare al sultano Mehmed II il suo dipinto nel quale è raffigurato il decapitato San Giovanni Battista 1834

Bellini un giorno, però, gli dipinse una scena su cui era assai più allenato, un bel San Giovanni decollato. Il quadro, si dice, fu apprezzato molto al sultano. “Però”, gli disse quello, “c’è un piccolo errore: quando uno viene decapitato, la pelle gli si ritira un poco intorno al collo”. E, per persuaderlo con un esempio, quel brav’uomo chiamò uno schiavo, gli fece tagliare lì per lì la testa, e la diede da esaminare all’artista.

Il quale fu persuaso sì dell’errore, ma ebbe tale uno spavento per quel modo di esercitare la critica, che nonostante tutti i favori di cui Maometto II gli faceva offerte per trattenerlo, volle ritornare di gran corsa Venezia.

E così ebbe fine il viaggio di Bellini nella capitale de’ bizantini, mentre si narra che da quel momento ebbe inizio il costume di andare un po’ per le spicce da parte di quelli che in futuro si sarebbero chiamati col pomposo nome di critici d’arte nel voler a tutti i costi dimostrar la giustezza delle proprie tesi.

A mo’ di epilogo, dobbiamo dire che tale allegra scenetta fu poi tramandata di bocca in bocca, per gli anni a venire, non solo verbalmente, divenendo una specie di barzelletta macabra all’interno dell’allora assai acerbo sistema dell’arte nazionale, ma, alcuni secolo dopo, grazie al pennello di Francesco Hayez, venne anche mostrata, in tutta la sua crudezza, ed esposta con tutti gli onori alla Pinacoteca di Brera, in un quadro che recava il titolo di Gentile Bellini, accompagnato dal bailo veneziano, nell’atto di presentare al sultano Mehmed II il suo dipinto, nel quale è raffigurato il decapitato San Giovanni Battista, e nel quale sono appunto raffiguati il Sultano, l’artista, lo schiavo e il servitore nell’atto di porgere la spada al sultano: una vera e propria mise en scène macabra con tanto di suspence, giacché al fruitore, al quale è risparmiato l’atto del taglio della testa, è però suggerito un senso di vivo spavento per l’imminente atto nell’espressione terrorizzata dello schiavo inginocchiato.

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