Gian Marco Montesano: “Il segreto del dipingere? Conoscere la filosofia. Ma anche agnolotti e tortellini…”

Abbiamo intervistato Gian Marco Montesano in occasione di “Mon histoire à moi”: la sua importante mostra personale presso la Galleria Claudio Poleschi di San Marino (ne abbiamo già parlato qua: Montesano, la Storia siamo noi. Tutto il Novecento in pittura).

Insieme a uno dei più rilevanti esponenti della pittura contemporanea, abbiamo ripercorso alcuni passaggi fondamentali del suo percorso artistico e della sua intesa vita: dalle origini torinesi, al rapporto con la religione, ai periodi vissuti a Roma, al trasferimento a Bologna, ma soprattutto il “periodo parigino”, dove egli prende parte alla scena culturale della capitale francese, entrando in rapporti d’intensa amicizia con i filosofi Gilles Deleuze e Jean Baudrillard. Il linguaggio espressivo di Montesano non si ferma al metalinguismo, bensì accede alla dimensione del “realismo”, indagando, l’uomo, il suo pensiero, la società, la storia e naturalmente il tempo presente.

Se sei d’accordo inizierei dalla fine, dalla mostra da poco inaugurata presso la Galleria Claudio Poleschi di San Marino. Il titolo che hai scelto è: “Mon histoire à moi”. Perché?

Non è un vezzo, ma una necessità. L’Italiano, per certe esigenze risulta troppo limitato. Infatti volevo dire che non si tratta della solita storia raccontata dall’esterno (ho fatto e detto questo, è successo quest’altro, etc…), ma si tratta di me visto dall’interno, però essendo come tutti gettato nel Mondo, dunque costretto a muoversi nelle cose che accadono. Una interiorità spiritualmente in movimento e controversa dalla quale, fuori di me, sono nati determinati accadimenti condizionati dall’affanno, cronologicamente reperibili come in tutte le storie raccontate in chiave biografica. Non volevo assolutamente questo! Ma dovevo pur dire qualcosa di chiaramente riferibile a qualcos’altro. Ho scelto la via di un Logos che, da solo, si dice in presa diretta. Mi pare di dover dire: una confessione artistica-filosofica. Gli affetti dell’Anima e la razionalità delle cose ad una sola voce: “Mon Histoire a moi”… Per quanto riguarda l’educazione Religiosa, basta questa logica definizione, evitiamo i dettagli “Curiali” (Valdocco, Salesiani, etc…). Il disprezzo contemporaneo verso la Chiesa – non parliamo dei preti – ha riempito le teste, per altro vuote, dei cretini, di malevolenza intrisa d’odio. Oggi come oggi, in questa cloaca lasciata all’aria aperta dal pensiero assente, Educazione Religiosa basta e avanza. Grazie!

Gian Marco Montesano Paris Les Neiges DAntan 2015 olio su tela cm 90×120 Courtesy Galleria Claudio Poleschi

Visto che questa mostra è una sorta di antologica, vorrei ripercorrere anche la tua storia di vita, di pensiero e di conseguenza artistica, che inevitabilmente sono un unico aspetto. Come primo aspetto andrei agli esordi: la tua formazione intellettuale proviene anche dall’ambito ecclesiastico, in quanto, quando eri a Torino, hai studiato presso il seminario salesiano di Valdocco. Successivamente ti trasferisci a Parigi e qui tra i vari importanti aspetti, che una città straordinaria come la ville lumière ti ha sicuramente trasmesso, hai avuto anche l’opportunità di frequentare un grandissimo pensatore-filosofo, che io ammiro moltissimo: mi riferisco a Jean Baudrillard. Ti chiederei cosa ti hanno lasciato queste esperienze, perché hai invece scelto “la via dell’arte” e quanto sono stati importanti per la tua formazione la città francese e soprattutto Baudrillard?

No, non si tratta di un’esperienza… Troppo facile dire di un evento, di una scelta che produce un accadere volontario, dire si tratta. O si è trattato di ”un’esperienza”, derubricando l’accaduto come un’esperienza. Tutta la vita non è altro che un’esperienza, ma bisogna pur volere e capire, valutare a priori quanta della mia responsabilità si trova coinvolta in quei pensieri, affetti, decisioni, che si mettono a vivere in quella che dopo viene banalizzata come esperienza. Il linguaggio qui non può ridursi alla volgare descrizione valutativa di un atto sessuale post-discoteca. No, l’esperienza non esiste. Il problema si pone sempre come già lo ponevano Socrate e Platone con la richiesta di senso: “ cosa fai? Perchè lo  fai...”. Alla quale io aggiungo la domanda di Responsabilità. Poi mi chiedi dell’Arte e, proprio qui “casca l’asino”, perchè le cose diventano complicate. Ancora mi pungola la domanda Ontologica: che cosa è l’arte? Poichè l’asino sono io, sono pronto ad offrire una cena Chez Maxim al primo che mi potrà fornire una risposta logica con argomenti logici. Qualcuno, non ricordo chi… forse Baudelaire, forse Adorno? ebbe a dire: “l’Arte è una promessa di Felicità!”. Una risposta puerile certamente priva di logica. Comunque non sufficiente per un asino aristotelico. “L’Arte è quella cosa che si impara e si mette da parte”, ecco la risposta idiota, di un asinello che, non avendola mai imparata non poteva metterla da parte. Proprio solo per questo non sono mai riuscito a “metterla da parte”. Volevo capire, chiedevo una risposta facendola… l’Arte. E se, giunto alla pesante età delle cose che diciamo serie, sono ancora qui a parlarne vuol dire che non ho ancor capito cosa è l’Arte. Però so che esiste! Questo mi induce a pensare che l’Arte sia un qualcosa che deve avere a che fare con l’essere. Riesco a dirti solo questo. Ma, essendo impossibile, in queste righe, aprire la questione dell’essere, posso solo darti un riferimento utile: sono heideggeriano sul piano concettuale e wagneriano sul versante artistico. Torniamo all’esperienza: anch’io, come quasi tutti i ragazzotti imprudenti e sprovveduti, “facendo l’arte” ho voluto fare un’esperienza, di conseguenza, ho commesso un errore del quale mi porto dietro le conseguenze. La Preghiera (chiamala fortuna se preferisci) e il linguaggio, il pensiero teologico e in qualche modo filosofico della mia origine culturale mi hanno salvato dal disastro esistenziale. Essendo germanofilo – volevo andare a Berlino. Grazie a Dio mi sono fermato prima e mi sono trovato a Parigi. Ed eccomi, armato solo di qualche Grande Greco, Sant’Agostino, un Heidegger ancora in fase di digestione, alle prese con l’allora grandioso mondo della Filosofia parigina. Come dire un pastore afgano capitato nel Simposio di Platone. Finisco a casa di Felix (Guattari), dove conosco Gilles Deleuze che, non so, perchè decide di considerarmi con benevolenza paterna e mi invita a casa sua, poi.. poi… Jean Baudrillard, diventiamo amici. Si preoccupa di friggermi delle enormi bistecche, da consumarsi mentre parliamo di uno spettacolo teatrale che stiamo preparando insieme (“Fascino”). Uno strazio: per me, che pur non avendo nulla a che spartire con ideologie vegetariane, non mangio volentieri la carne. Perchè? Come mai questi giganti della Filosofia contemporanea mi accolgono? Non so e non lo saprò mai. Forse quel ragazzotto spelacchiato che pur dichiarandosi “Artiste Peintre” detestava tutto il Contemporaneo e in quel che diceva spostava sempre gli argomenti verso la Filosofia Prima di Aristotele. Mai una parola sulle questioni della Pittura, sull’Arte contemporanea. Perchè? Forse pensavano di aver trovato un filosofino selvatico allo stato primitivo, chissà?

Gian Marco Montesano Berlin 2 2010 olio su tela cm 100×120 Courtesy Galleria Claudio Poleschi

A tal proposito, citando proprio Baudrillard, cosa ne pensi di questa società sempre più “dematerializzata”, dove assistiamo alla morte del reale a favore di un mondo sempre più tecnologico e virtuale?

Attento però, mi diceva il saggio Jean: Non c’è nessun bisogno di morire per sparire. Questo è tempo di sparizioni, viviamo come in una Funeral Home americana dove anche la Morte è sparita lasciando una quantità di atroci cianfrusaglie dai colori zuccherini, luci dalla falsità hollywoodiana per una cosmesi raggelante che, tanto più artisticamente avvolge e fa sparire la Morte stessa, tanto più esalta il Funebre. Cioè l’assenza di una vita che, forse, non c’è mai stata.

Gian Marco Montesano Wien Monument Strauss 2015 olio su tela cm 130×210 Courtesy Galleria Claudio Poleschi

La tua narrazione artistica dal mio punto di vista è una concezione non solo visuale, ma è il risultato di un’importante riflessione, direi filosofica, sia sulla memoria storica, sulla storia dell’uomo, soprattutto dal punto di vista sociale, che sul tempo attuale. Sei d’accordo?

Sul Nichilismo capitalista attuale ho smesso di pensare. Pensare significa pensar bene, cioè: cercare di arrivare vivi alla Morte. Se tutto ciò che mi circonda si manifesta come già morto non c’è nessun motivo di pensare. A cosa? Ai tassid’interesse? Riscopro antiche origini napoletane e preferisco pensare al cazzo di dodici metri eretto in una piazza cittadina e chiamato Pulcinella alto.

Quanto sono importanti e rientrano nella tua ricerca il rapporto con la fotografia e la visione, l’immaginario cinematografico?

Nessun rapporto, né poetico né noetico. Sono solo strumenti d’archiviazione coi quali reperire persone, fatti e cose di un certo passato Novecentesco.

Gian Marco Montesano Philosophie dans le boudoir 2010 olio su tela cm 100×70 Courtesy Galleria Claudio Poleschi

Le tue opere, le tue ambientazioni, i tuoi personaggi sono spesso descritti pittoricamente in bianco e nero, come una “vecchia” fotografia. Perchè?

Noi non vediamo l’essente che ci circonda in Bianco e Nero. La realtà non è in bianco-nero. Togliendo il colore tolgo il realismo alle immagini del reale per spostarle in una dimensione puramente mentale.

Quali sono stati e sono i tuoi riferimenti artistici? Io personalmente vedo connessioni con il mondo di Dennis Hopper, sia nella narrazione dei personaggi, che nella sospensione temporale del racconto, ma soprattutto con la ricerca figurativa di Gerhard Richter: tecnicamente nella scelta del grigio, ma specialmente per l’attenzione alla storia, alla memoria e direi nello specifico per l’indagine “su e dentro i meandri dell’umano”. Cosa ne pensi?

Penso solo ai meandri umani. Fin dall’originario incontro con Sant’Agostino penso che “Noli foras ire, in te ipsum redi, in interiore homine habitat veritas”. Non uscire da te stesso, rientra in te: nell’intimo dell’uomo risiede la verità.

Nel tuo testo di introduzione alla mostra di San Marino, parli spesso di Metafisica. Quanto ritieni essere importante nel tuo lavoro questo concetto aristotelico?

Fondamentale, intendendola col titolo di Aristotele: Filosofia Prima (anche: Scienza dell’essere).

Gian Marco Montesano Athena Platon 2015 olio su tela cm 210×130 Courtesy Galleria Claudio Poleschi

Nonostante io viva da parecchi anni a Milano, sono molto legato alle mie origini emiliane. Tu invece piemontese di nascita vivi da molti anni a Bologna? Perché questa scelta e cosa hai trovato in Emilia che non hai trovato altrove?

Finalmente annuso, seppur da lontano, il buon profumo riconfortante e allegro di Cucina. Scendiamo subito dalle stanze concettuali e ben decorate di Iperuranio, dove, eleganti, danzano le idee nobili e corriamo subito a curarci i crucci del Noùs e asciugare le lacrime delle sconfitte nelle braccia di Comus, il dio greco che veglia sui piaceri della Buona Tavola, l’originario antenato dello Chef Bottura. Cosa ho trovato in Emilia. A Modena? Il compimento degli Agnolotti del Plin (del pizzico, in torinese). Senza sugo né d’arrosto né d’altro. Finalmente in prezioso brodo di Cappone. Il tortellino emiliano perfeziona, carezzandolo, il mio ricordo dei piccoli Agnolotti del Plin della mia infanzia. L’arte del Sapore, consustanziale al lavoro del Sapere, in Emilia ha quasi portato a compimento il mio ostinato e, più o meno sempre fallimentare, tentativo di ricomporre il molteplice nell’Uno. Con la riserva del predicato Quasi che qui viene a ricordarci che al Compimento manca qualcosa. Infatti, al perfetto compimento di questa Trinità blasfema: agli Agnolotti del Plin / ai Tortellini – manca la divina Bagna Cauda. Come sempre cominciai a cercare e cercai ancora nelle insignificanti “Fondute Savoiarde”, nel volgare “tocciar” carne delle fondute Bourghignonnes, ma lei, la Bagna Cauda di Torino (solo di Torino, famigliarmente detta“la Bagna”) e non genericamente piemontese. Ho cercato, si. Ma la voce di mia madre non si è mai più fatta  sentire.

Sempre nel tuo testo della mostra, a un certo punto ti poni una domanda molto importante e complessa: Che cosa è l’arte? Lo sintetizzeresti qui, anche per i nostri lettori?

In questo continuo pellegrinaggio mentale (che non posso dire propriamente Spirituale a causa di Tortellini, Agnolotti e Bagna Cauda) tra Torino e Bologna si nascondeva (dentro di me), la risposta: finalmente so cos’è l’Arte! Punto esclamativo! Dopo il sogno di mia madre che mi chiama a tavola per un buon pasto, ecco il digestivo: L’Arte è il Logos Christi. Un Logos non discorsivo e teoretico ma una relazione strettissima tra distinti: Ragione, affetti, Pathos e cura di ogni aspetto dell’essere. L’Arte è la parte umana e affettiva del Nous.

A cosa stai lavorando attualmente?

GMM: a niente, ovvero rispondo – scrivendo – a domande sul Nulla, cioè sulla Libertà.

Gian Marco Montesano Alpen Sinphonie 2010 olio su tela cm 120×80 Courtesy Galleria Claudio Poleschi

Che consiglio ti senti di dare a un giovane che vuole intraprendere la strada dell’arte?

Consigli? Ma!? I miei forse sono solo errori: comunque, errore per errore, a lui direi di lasciar perdere le cosiddette teorie dell’Arte e cerchi di studiare un poco di Filosofia (questo lo avrebbe raccomandato anche Leonardo: “La Pittura è Filosofia”) e, se proprio  insiste nel voler finir male, si avvicini piano piano anche a un poco di Teologia

Grazie Gian Marco: che l’arte sia sempre con te!

Grazie a te Alberto Mattia, che portandomi sui sentieri dei ricordi mi hai fatto scorgere ancora la via della Cucina. Facendomi ricordare la Bagna Cauda, gli Agnolotti del Plin, i Tortellini e…. cos’è l’Arte. E che il Logos espanso ed espansivo sia sempre con te, anzi: con e davanti a te. Per una buona vita!

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