Gian Lorenzo Bernini: lo scultore del Vaticano, certo, quello del Baldacchino di San Pietro e anche quello dell’Estasi di Santa Teresa d’Avila (che dai, l’abbiamo capito al primo sguardo, quando abbiamo aperto il manuale di Storia dell’Arte, che quella non dava proprio l’idea di essere preda di un’estasi mistica, con l’angelo che la guardava lanciando il dardo). E soprattutto quello del Ratto di Proserpina, con le mani di lui che affondano nelle natiche di lei e il marmo che diventa carne morbida.
Insomma, nonostante l’assidua frequentazione con papi e prelati, Bernini, l’abbiamo capito, non aveva fatto voto di castità. Così quando scopre che la moglie del suo lavorante Matteo Bonarelli è una polposa ventenne a cui non dispiace prendersi qualche distrazione, organizza il lavoro del povero Matteo in turni massacranti per poterla andare a trovare indisturbato. Costanza – nata Piccolomini da un ramo povero della famiglia – diventa così la protagonista di un’opera non conosciutissima del Cavaliere, ma particolarmente piccante. Perché se lo si guarda due volte, quel busto oggi conservato al Bargello di Firenze rivela l’inghippo. Si scopre che non è proprio il classico ritratto che si farebbe a una signora, con quella camicia un po’ spiegazzata che si apre a rivelare il seno, l’acconciatura sul punto di disfarsi e la bocca socchiusa.
Ma Costanza, lo dicevamo, non è una tipa fedele e quando conosce Luigi, il fratello minore di Gian Lorenzo, decide che le piace pure lui. Si arriva così al 1638 e al fattaccio di vicolo Scanderbeg, quando Gian Lorenzo si apposta all’alba fuori dalla casa della sua bella per cogliere il fratello in flagrante e massacrarlo a sprangate – erano tempi un po’ ruvidi – e poi, non contento di avergli spaccato solo due costole, lo insegue per tutta Roma. Naturalmente va punita anche Costanza, giusto? Quindi ecco l’emissario incaricato di sfregiarle la faccia, avvicinandola con la scusa – subdola – di portare un omaggio di perdono da parte dell’amante. Insomma: un pasticcio inenarrabile. Con mamma Bernini che ben conoscendo il sangue bollente del figlio maggiore scrive al Cardinale Barberini perché lo allontani da Roma e salvi il suo Luigino (e con papa Urbano VIII che le risponde personalmente, dicendole che non se ne parla: lo scultore resta a Roma, se vuole se ne va l’altro).
Così per un po’ la storia dei due fratelli si divide. Con Luigi che ripara a Bologna a fare lo scultore e Gian Lorenzo che paga una multa irrisoria e poi, per calmare le acque, viene fatto sposare con tale Caterina Tezio (considerata all’epoca la ragazza più bella di Roma) da cui avrà una decina di figli.
Nella Roma dell’epoca, prendersi a sprangate per una donna è piuttosto normale, dunque nel giro di qualche anno Luigi e Gian Lorenzo fanno la pace, tanto che li vediamo lavorare gomito a gomito alla Cattedra di San Pietro. E sono talmente solidali che quando nel 1670, a Napoli, mentre sta lavorando nel cantiere di una chiesa, Luigi stupra uno dei suoi giovani lavoranti fino a lasciarlo quasi in fin di vita, Gian Lorenzo corre in suo aiuto. Ma non sono sufficienti le suppliche al papa – nel frattempo è subentrato Clemente X – perché il fratello eviti l’esilio, la confisca dei beni e la revoca di tutti gli incarichi. Si mormora che sia per pagare la multa enorme di 26mila scudi che Gian Lorenzo abbia accettato la commissione per la realizzazione dell’Estasi della Beata Ludovica Albertoni, nella chiesa romana di San Francesco a Ripa (nel 1675, comunque, Luigi torna uomo libero grazie all’amnistia del Giubileo).