Gombrowicz: arte, coscienza ed esistenza per la nostra immaturità

Witold Marian Gombrowicz è un filosofo polacco nato nel 1904, fuggito gran parte della sua vita in Argentina per le persecuzioni dovute alle guerre mondiali. È un filosofo curioso, potremmo dire “terra-terra” per certi versi, come quando parla dell’immaturità che vede negli uomini intorno a sé; ma anche estremamente fine nel dipingere con le sue parole concetti come “arte”. È un filosofo esistenzialista, anzi lui rivendica di essere un esistenzialista prima di Sartre. Parleremo un’altra volta dell’esistenzialismo, ma la cosa qui che ci interessa è che è una corrente filosofica che va in totale rottura con il modo di fare filosofia “classico”, si pensi solo che il primo a muoversi in tale direzione è Kierkegaad (filosofo e teologo danese, 1813-1855) che che bolla come addirittura “ridicolo” Hegel, che per l’epoca era come se dicessimo oggi che Elon Musk fa impresa in modo ridicolo.

Witold Marian Gombrowic.

Gli esistenzialisti, detta male ed in una frase, dicono che l’esistenza precede l’essenza, e non il contrario. Detta ancora peggio: non serve farsi menate su quale sia la nostra essenza, ma piuttosto di come sia la nostra presenza (esistenza). Duemilaquattrocento anni di filosofia spazzati da una semplice constatazione che Sartre, nel 1943, nel libro L’Essere e il nulla, sintetizza così: la vita umana è responsabilità continua che coinvolge sempre tutti; proprio perché non può fare appello a niente che lo superi, all’uomo resta soltanto un orizzonte umano, ove si muovono unicamente uomini, tutti vicendevolmente responsabili delle scelte che operano nella concretezza della vita di ogni giorno. Insomma è la relazione tra gli uomini che conta, l’uomo è principalmente soggetto, più che oggetto, per questo l’uomo sartriano evolve da un essere “in sé” (autocentrato, bruto e massiccio) ad un essere “per sè”, ovvero detentore del libero arbitrio, sempre nel baratro di poter essere qualcunque cosa, come il nulla. Ma Gombrowicz aveva anticipato Sartre, infatti nel Ferdydurke (1937) raffigura l’esistenza come l’uomo che crea l’uomo; non vi è una essenza di uomo, l’uomo è nel vuoto, ossia l’esistenza è nient’altro che l’esistenza in divenire.

Jean-Paul Sartre.

Certo Gombrowicz come altri filosofi del tempo contribuisce fortemente allo sviluppo del pensiero esistenzialista, ma ciò che ci ha colpito è la sua cinica denuncia dell’infantilismo della sua società. Egli si occupa anche di psicanalisi. L’immaturità che vede è nelle ideologie a buon mercato, parole come “patria”, “razza”, “proletariato”, “consumi” ed altre sono scatole vuote per uomini infantili. L’immaturità gli appare come la categoria più efficace per definire la condizione dell’uomo moderno; una immaturità addirittura artificiale, ove un uomo spinge l’altro all’immaturità. 

Cornelis van Haarlem, La caduta dei Titani, 1588-1560, olio su tela, Statens Museum for Kunst, Copenaghen.

È qui che vi è il punto centrale: la Forma va intesa nel suo duplice significato: 1) maschera che gli altri ci impongono e che dobbiamo mantenere; 2) comportamento al quale ci conformiamo da soli per essere accettati (vogliamo essere liberi ma temiamo di più di rimanere isolati). Francesco Cataluccio, nella sua bellissima introduzione al libro di Grombowicz Corso di Filosofia in sei ore e un quarto, 1971, riformula: La Forma è opposta al Caos, come la superiorità e opposta all’inferiorità. Gombrowicz scopre amaramente che lottiamo incessantemente per la Forma e la Superiorità, ma siamo attratti costantemente dal Caos e dall’inferiorità, perché ci sembra che in essi si possa essere più liberi. In realtà l’unica possibile, seppur parziale, libertà risiede nella creatività artistica. L’artista, seppur impossibilitato a sfuggire alla Forma o a raggiungere la Forma perfetta, può almeno sentirsi libero di “giocare” con lei.

Le due maschere, tragica e comica, del teatro latino, mosaico del I secolo a.C., Musei Capitolini.

Quindi per Gombrowicz l’uomo in modo infantile si maschera dietro forme, spingendo altri uomini a fare lo stesso; solo l’artista, pur non venendo meno a questa fanciullesca necessità, almeno la registra nelle sue opere, e forse per questo in parte ne sfugge.

Abbiamo molto parlato di intelligenza e di AI, i pensatori e gli intellettuali di oggi, man mano che l’intelligenza artificiale è sempre più intelligente, riscoprono la necessità di dare un ruolo alla coscienza. La coscienza rimarrebbe  ultimo baluardo della nostra umanità se dovesse definitivamente crollare l’esclusività umana dell’intelligenza. Ma Gombrowicz già nel ’71 si domanda “Ma la nostra appartenenza all’umanità è davvero costruita sulla coscienza?”. Per il filosofo polacco, la coscienza non è individuale, non è in noi ma nasce tra di noi. Non esiste una coscienza individuale, esiste una esistenza collettiva, che porta ad una “coscienza”, che ci sembra individuale ma è in realtà il risultato di un agire, pensare e dedurre collettivo.

Theo-Zasche, Passaggio lungo la Ringstrasse, acquerello, 1908.

Per dimostrare la sua posizione attinge alla sua esperienza e riportiamo esattamente le sue parole:

Non vediamo di continuo che la coscienza non ha quasi voce in capitolo? L’uomo uccide e tortura perché è arrivato alla conclusione che ha il diritto di farlo? Uccide perché altri uccidono. Tortura perché altri torturano. L’atto più orrendo diventa facile se gli spianate la strada; e per esempio nei campi di concentramento la strada per la morte era stata lastricata così bene, che il borghese, incapace a casa di uccidere una mosca, sterminava la gente come niente fosse.

George Grosz, The Eclipse of the Sun (particolare).

Qui ci fermiamo, perché sull’esistenzialismo vorremo tornare, ma non prima di formulare la nostra solita riflessione sul futuro dei nostri sistemi di AI. Se Gombrowicz ha ragione, se davvero la nostra coscienza è un procedere collettivo… allora dobbiamo prepararci a condividerla con le macchine; molti di noi infatti hanno già sperimentato come un “semplice” software come ChatGPT sia molto più ragionevole nel dare consigli su questioni sensibili, di quanto non siano la maggior parte dei nostri amici. Ha questo un significato inquietante?

le puntate precedenti di queste riflessioni su coscienza, pensiero filolosofico e intelligenza artificiale le potete trovare qua:

Dio è nei dettagli? No, nei computer. Un’ipotesi sull’uomo, la Natura e l’Intelligenza Artificiale

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