C’è una certa malinconia nell’accorgersi che un viaggio sta giungendo alla sua conclusione, soprattutto se trascorso attraverso luoghi irripetibili ed esperienze culinarie che, spero, vi abbiano confortato in questo tour de force. Rimangono ancora tre tappe che sono assolutamente fondamentali per poter diventare un vero grand tourist con tanto di certificazione, tre tappe che non toccheranno città come Milano o Torino perché in realtà, come dichiarato dall’inizio questa non vuole essere una guida ortodossa, come del resto del tutto eterodosso è chi la scrive. Il viaggio in Italia non è raggiungere una serie di città che appaiono abbastanza importanti sulla cartina dello Stivale, ma è scovare i luoghi sacri dell’arte e della cultura che possano descrivere le nostre tradizioni millenarie ed, in questo, arricchire l’anima del viaggiatore… pertanto non me ne vogliano i milanesi se non dedico parole alla loro Madunina o il sabaudo se non cito neanche di striscio la Mole. Dedicheremo articoli appositi ad entrambi. Lasciando una Roma a base di Raffaello e cacio e pepe, il vostro bel treno veloce sponsorizzato da Trenitalia o Italo farà rotta verso Arezzo, si avete ben capito Arezzo e non Firenze.
La scelta dietro la logica di evitare il capoluogo toscano è abbastanza semplice e si riconnette alla visione di “guida alternativa” che anima questi nostri appuntamenti dal primo articolo pertanto, una volta raggiunta la splendida cittadina toscana che confina con le terre umbre, percorrerete le strade del centro che portano dalla stazione ferroviaria fino alla basilica di San Francesco, in taluni casi definita basilica museale per una serie di cose che andremo ad illustrarvi. Innanzitutto all’interno del complesso religioso troverete il secondo protagonista della nostra rubrica “nomi assurdi e dove trovarli”, tal Margaritone d’Arezzo.
Questo artista dal nome decisamente buffo fu uno degli esponenti più illustri della cultura pittorica toscana tra il 1240 ed il 1290 ed è molto interessante notare come lo descrive Giorgio Vasari nelle sue Vite indicandolo come uno di quegli “uomini che alla greca lavoravano”. Il riferimento al lavorare alla greca è particolarmente adatto proprio per il crocifisso che lui realizza appunto per San Francesco, dove si manifesta l’adesione del pittore aretino all’iconografia del Cristo Patiens che era ormai famosa in Toscana grazie alla prima opera realizzata con questa tipologia iconografica ideato a Pisa da una anonimo pittore greco.
Fino a quel momento appunto, i pittori toscani ed anche il nostro Margaritone, avevano utilizzato la figura del cosiddetto Cristo Triumphans: crocifisso sì, ma bello vivo e vispo, con occhi belli aperti e corpo slanciato sulla croce che trionfa sulla morte… poi però si sono accorti che la storia non reggeva. Nell’elegante croce lignea si muove sinuoso lungo tutta la superficie pittorica questo splendido corpo di Cristo che sembra quasi danzare all’interno dello spazio, un’anatomia quasi erotica che viene controfondata da questo tappetto a fantasie romboidali rosse e nere, capace di rendere tutta l’ambientazione estremamente chic.
Nonostante il buon Margaritone ci offra una prova di capacità tecnica di ottimo livello, bisogna notare come questa generazione di pittori abbia ancora qualche problema alla voce “organizzazione delle figure in uno spazio” come ci dimostra il simpatico San Francesco ai piedi della croce al quale pare mancare un pezzo. Ovviamente chiunque di voi avrà goduto di questo spettacolo non avrà avuto difficoltà a notare che ciò che funge da sfondo naturale a questo gioiello aretino è uno dei complessi ad affresco più importanti dell’intera storia umana: le Storie della vera Croce di un Piero della Francesca all’apice assoluto della sua creatività.
Avrei potuto consigliarvi cose come la Madonna del Parto di San Sepolcro ed invece è qui che volevo portarvi fin dall’inizio: all’interno di uno dei capolavori più maestosi di tutto l’occidente democratico. Si è detto già tutto di Piero e della sua infinita centralità nelle dinamiche che hanno portato l’arte italiana ad uscire dal periodo medievale per sbocciare nel pieno Rinascimento ma la teoria pittorica che realizza per San Francesco ha del divino. Iniziati da Bicci di Lorenzo e terminati proprio da Piero tra il 1452 ed il 1466, questi affreschi contengono alcuni dei miei frames preferiti in assoluto come il particolare del gruppo di donne in adorazione della Vera Croce o il dettaglio (estremamente comico) del valletto tirato per i capelli ed scannato nella Battaglia di Eraclio e Cosroe.
La pausa culinaria la rimandiamo alla tappa successiva perché, esaurito il passaggio aretino, monterete nuovamente sul vostro bel trenino veloce per arrivare a Bologna, viaggio peraltro abbastanza veloce. Una volta arrivati al piazzale della stazione avete due opzioni: la prima prevede una piccola passeggiata fino a via Volturno 5 dove trovate il leggendario Ristorante Diana, il tempio indiscutibile della tipica cucina bolognese con quel tocco un po’ retrò nei camerieri ancora in livrea. L’altra possibilità è quella di prendere un taxi e recarsi al ristorante del Golf Club di Bologna: Il Boccone del prete, ottimamente gestito dal mio caro amico Francesco, offre una varietà di cucina ricca e sofisticata abbinata ad una carta dei vini di grande livello (hanno anche una loro personale linea di champagne) e soprattutto una vista che dai colli muove verso Bologna da rimanere senza fiato. Mangiate in fretta, e non appesantitevi: vi aspetta Niccolò.
Nella chiesa di Santa Maria della Vita troverete la più potente opera d’arte mai espressa da mani umane, il gruppo scultoreo in terracotta che più di ogni altro atterrisce e stupisce lo spettatore: Il Compianto sul Cristo morto di Nicolò de Apuliae, meglio noto come Niccolò dell’Arca. Questo genio pazzo, sul quale le fonti sono decisamente lacunose per essere eufemistici, riesce a realizzare un dettagliato campionario umano dedicato al dolore ed alla disperazione. Da Giovanni evangelista, raccolto nel suo intimo pianto con quella mano sul volto tremendamente novecentesca, a Nicodemo che con gli strumenti della passione in mano guarda sbigottito l’osservatore, fino al capolavoro assoluto realizzato con Maria di Cleofa e Maria Maddalena, il cui urlo diventa tanto iconico da ispirare quello di Munch.
In termini puramente personali posso dirvi che l’intero viaggio vale la visione di questo splendore assoluto. Usciti dalla chiesa, vi consiglio di fare con calma perché e bene avere lentezza quando le cose stanno finendo… prendersi il tempo del viaggio verso l’ultima tappa per pensare e ricordare ciò che si è visto, cercare di fissare quali siano state le sensazioni ed in cosa questo grand tour ci ha veramente arricchiti.
Passando attraverso Parma arriverete a Cremona… perché Cremona? Vi chiederete. Beh è molto semplice: l’intera cultura del realismo, del verismo pittorico ed anche buona parte della tradizione grottesca lombarda (ed italiana in senso più largo) partono proprio da qui, pensate banalmente ai Mangia ricotta di Vincenzo Campi o al bellissimo disegno realizzato su carta azzurrina (ed oggi in Inghilterra) da Sofonisba Anguissola con una Fanciulla morsa da un ramarro. In questa piccola terra di provincia esiste un complesso religioso situato nella zona dell’ospedale della città che io chiamo affettuosamente “la Capella Sistina della Lombardia” e mi riferisco alla chiesa San Sigismondo.
La chiesa fu luogo del matrimonio più importante d’Italia nel 1441 quando convolarono a nozze Bianca Maria Visconti e Francesco Sforza dando inizio ad uno dei periodi più fulgidi per il Ducato di Milano. All’interno della struttura abbiamo tutto il meglio del campionario cremonese che spiega le ali con Camillo Boccaccino, Giulio, Antonio e Bernardino Campi unitamente ad un altro pittore interessantissimo che è quel Bernardino Gatti che fu anche riferimento per Sofonisba. Vederli tutti insieme, nel loro momento di apice assoluto ed in una stratigrafia perfettamente leggibile vi darà il senso pieno di cosa abbia significato l’esperienza artistica per l’Italia e per Cremona in particolare: un’opportunità di essere guida del mondo ma anche uno strumento per poter risalire dalle profondità degli orrori che l’hanno, comunque, attraversata.
Ed ora, col vostro bel carico di esperienze che vi avranno sicuramente fatto riflettere almeno un po’, avete licenza di tornare a casa.
7 – Fine.
Le puntate precedenti del Grand Tour le abbiamo pubblicata qua:
Grand Tour (pt. 1): commuovetevi a Venezia, la Serenissima merita le vostre lacrime
Grand Tour (pt. 2): da Padova scendendo verso Sud, tra architettura e natura
Grand Tour (pt. 3): tra i tesori e le bellezze della Puglia
Grand Tour (pt. 4): La prospettiva jonica verso la sicilia
Grand Tour (pt. 5): Inarrivabile Palermo, tra Caravaggio, Antonello e lo sfincione
Grand Tour (pt. 6): Napoli e Roma, capolavori nascosti tra barocco e contemporaneo