“Se una persona usa la grafica come mezzo espressivo fin dalla giovinezza; se per molti anni crea immagini impiegando invariabilmente strumenti come matrice di legno, lastre di rame e pietre litografiche, oltre al torchio, all’inchiostro e a ogni tipo di carta per la stampa, alla fine questa tecnica diventa la sua seconda natura”, scriveva Maurits Cornelis Escher il 16 novembre 1953. “Al tempo stesso, tutta questa tecnica è solo un mezzo, non un fine in sé, L’obiettivo che sta perseguendo è qualcosa di diverso da una stampa perfettamente eseguita, Il suo scopo è rafforzare sogni, idee o problemi in modo tale che altre persone possano osservare e riflettere sopra. L’illusione che l’artista desidera creare è soggettiva e molto più importante dei mezzi fisici oggettivi con cui cerca di crearla”.
A quel tempo, il celebre artista e incisore aveva già 55 anni e una carriera più che avviata alle spalle: aveva viaggiato in Italia, trasponendo i meravigliosi paesaggi del Bel Paese nelle sue stampe (rimanendo affascinato da quelle architetture che poi ritroveremo nei suoi disegni impossibili); e aveva dedicato gran parte della sua vita alla grafica, all’incisione e ai misteri della geometria non-euclidea.
Una grande mostra a Palazzo Bonaparte a Roma raccoglie la più vasta selezione mai vista in Italia di opere del maestro incisore. Visitabile fino al 1° aprile 2024, la rassegna celebra il centenario della prima visita di Escher nella Città Eterna, dove visse per ben 12 anni, dal 1923 al 1935, al civico 122 di via Poerio, nel quartiere di Monteverde vecchio. Sono circa 300 le opere in mostra, tra cui diverse stampe inedite: si parte dai primi lavori del grafico olandese, influenzati dall’Art Nouveau, in cui ritorna spesso il tema floreale e degli insetti; per poi ripercorrere la produzione legata all’Italia, e a seguito una sala in cui è suggestivamente ricostruito lo studio che Escher aveva a Baarn in Olanda.
Nel 1936, Escher soggiorna a Granada, in Spagna: qui, ispirato dalle decorazioni degli edifici moreschi, sviluppa la tecnica della tassellatura, che costituirà un punto di svolta cruciale nella sua ricerca artistica. “Un piano, che immaginiamo si estenda in tutte le direzioni, può essere riempito o diviso all’infinito, seguendo un numero limitato di sistemi, con figure geometriche simili che siano contigue in tutti i lati senza lasciare spazi vuoti“, scrive lo stesso artista, dando vita a quei pattern geometrici che segneranno l’inizio di una svolta formale unica nel suo genere. Si arriva così alle figure che si modificano gradualmente fino a trasformarsi in altro: il tema della metamorfosi, in grado di amalgamare fantasia e geometria, diventa con in tempo una caratteristica fondamentale della sua arte, ed è proprio da questo principio che nascono i suoi capolavori più celebri.
Non mancano i lavori basati sui paradossi geometrici e sugli effetti ottici: un inganno, quello dimensionale, che è intrinseco alla rappresentazione figurativa stessa. Non a caso, parlando di Drago (1952), l’incisore scriverà: “Per quanto questo drago cerchi di essere spaziale, rimane completamente piatto. Nella carta su cui è stampato, sono infatti praticati due intagli piegati in modo da lasciare due aperture quadrate. Ma questo drago è una bestia ostinata e, nonostante le sue due dimensioni, persiste nell’assumere di averne tre; per cui infila la testa attraverso uno dei fori e la coda attraverso l’altro”.
Alla fine del primo piano espositivo, non può che trionfare la celebre Mano con sfera riflettente (Autoritratto allo specchio) del 1935, con una sala interamente dedicata (in cui è possibile scattarsi delle foto emulando la posizione del noto protagonista con delle sfere specchianti messe a disposizione dei visitatori. Il gioco interattivo prelude al secondo piano, caratterizzato da diverse installazioni pensate per rendere il percorso di visita più coinvolgente, mettendo il visitatore al centro degli inganni visivi di Escher. Ancora oggi la comunità scientifica internazionale considera l’opera di Escher una “pietra angolare” delle interrelazioni tra arte e scienza: a partire dagli anni Cinquanta, il suo lavoro gode di una fama critica e una popolarità planetaria, una vera e propria “eschermania” che tutt’oggi porta migliaia di visitatori ad ammirare i suoi paradossi visivi.
Anche decenni dopo la sua morte, l’artista ha continuato a ispirare intere generazioni di artisti, architetti, matematici, musicisti e designers. Il percorso espositivo si conclude quindi con una sezione dedicata all’eredità lasciata dal grafico fino ai giorni nostri, attraverso una selezione di opere d’arte ed oggettistica recente.