La storia del Rock, si sa, è costellata di plagi e furti sensazionali, tanto clamorosi quanto difficili da sostenere. Le note sono sette e le lettere dell’alfabeto latino una ventina, più o meno, a seconda delle zone del mondo. E così, dai Led Zeppelin a Fabrizio De Andrè, la lista dei plagiatori conclamati, di testi e liriche, almeno fino a prova contraria, è ben nota. Del resto è pure noto che sono state tutte cause perse, o quasi, quelle intentate dagli autori ignoti sottratti delle loro opere da celebrità potenti.
Siamo qui in presenza di un caso assai curioso di presumibile plagio video musicale: quello toccato ai Sete, da parte, nientemeno, che dei Rolling Stones. Ovviamente il plagio non è probabile, ma è apprezzabile, quantomeno, la sconcertante coincidenza nell’ispirazione, mirabilmente anticipatrice, dal momento che il video dei Sete fu reso pubblico, insieme al disco, oltre una quindicina di anni or sono.
Dove sta l’incrocio fatale tra i Sete e i Rolling Stones? Nel video, basta guardarlo: l’idea è la stessa, cartelloni pubblicitari animati che inquadrano scene del gruppo mentre esegue il pezzo. I Sete si muovono in una Milano appena uscita da Tangentopoli, quasi rarefatta ma ancora ben riconoscibile e memorabile, nella sua identità anni ’80, con squarci di periferie deserte, quasi metafisiche, ambienti adatti a fare da sfondo pure a un noir o a un pulp cannibalesco.
Il video degli Stones è invece, a dispetto del brano, ossequiente e ligio alla tradizione melodica e canora del gruppo, sdilinquito e compiaciuto nella sensualità procace di Sydney Sweeney, arrembante attrice hollywoodiana, ondeggiante su una capote abbassata al vento caldo della sera della Sunset Street, mentre sfilano i filmini della carriera della band sui cartelloni pubblicitari di una Los Angeles patinata e nostalgica.
Ma chi erano i Sete, prima dell’incontro fatale con i Rolling Stones? I Sete erano una band milanese degli anni Novanta, composta dai quattro elementi base per fare buon rock and roll: Enrico Vanossi (chitarra), Roberto Capetti (basso), Fabio Minelli (batteria) e il compianto Max Gorgoni (voce), scomparso prematuramente. Erano tutti navigati musicisti, cresciuti nelle periferie della città ma cresciuti bene, nel clima ancora caldo dell’ormai quasi estinto pianeta Rock, graffiando corde di chitarra, intonando i gridi rapaci, potenti e commoventi che provenivano da ugole lubrificate con biberon al whisky.
I Sete, presi uno per uno erano infatti ben noti agli ambienti del pop rock italiano, avendo già sommato esperienze, fin dai primi anni Ottanta, e collaborazioni con artisti famosi della scena nazionale. Vanossi, per esempio, che firma testo e musica della canzone nel video, aveva accompagnato, giovanissimo, con la sua chitarra, le tournée di Enrico Ruggeri, mentre collaborava al Logich Studio dei fratelli La Bionda, autentiche leggende della produzione musicale pop nostrana, con successi conclamati anche fra il pubblico estero. Oggi il Vanossi accompagna invece Andy dei Bluevertigo (anche apprezzato artista pop) in duo, con arrangiamenti inediti di cover celebri del firmamento pop rock.
Ma lo stesso vale anche per gli altri tre componenti della band, tutti apprezzati e ricercati turnisti nelle estati dei concerti, durante un’Age d’Or che stava al suo culmine: Minelli ha tenuto il ritmo a Ivana Spagna in tour, Capetti ha accompagnato al basso i Living Colors, e il buon Max, purtroppo, ha smesso di ruggire troppo presto. Ma in tempo per il grande raduno di fine millennio: i quattro decisero di chiamarsi Sete e di fare un disco proprio, che uscì dalla sala d’incisione, regolarmente, nel lontano 1998. Ma non fu adeguatamente promosso.
E con il disco uscì anche il video, oggi risorto nel concept e nelle trovate narrative, ma all’epoca concepito e realizzato – non meno efficacemente, anche se la tecnologia era meno matura – da Max Mancusa, altro ex pargolo dei bassifondi urbani, sodale fin dall’infanzia dei Sete, compartendo la medesima estrazione, ma pieno di talento creativo, una mano fatata per il disegno, tanto da diventare una delle punte dello Studio Convertino, di cui oggi è associato.
Un bel parterre di menti e cuori vividi insomma, battenti al ritmo dei quattro quarti del rock, e il risultato si vede ancora oggi. Anzi, soprattutto oggi, grazie ai Rolling Stones. Chissà, forse sono stati loro i primi a scoprire i Sete.