Il dente del male: Michelangelo e il mistero del “quinto incisivo”

Qualche anno fa, lo storico dell’arte Marco Bussagli, che tra gli altri filoni di ricerca ha niente meno che la Cappella Sistina, guardando e riguardando quelle immagini universalmente note, scoprì che i demoni della parte bassa del Giudizio ostentavano un grosso dente proprio in mezzo alla bocca, tra i quattro incisivi. Bizzarra bruttura per imbarbarire le creature infernali, si poteva pensare. E sarebbe finita lì se il nostro ricercatore non fosse stato insistente nell’esaminare le bocche degli altri personaggi della Sistina. Sorpresa, trovò in non poco di essi il famigerato dente. In realtà questa anomalia anatomica esiste. Sono i denti soprannumerari, vale a dire in eccesso, che a volte occupano il luogo del quinto incisivo (tutto questo raccontato nel volume I denti di Michelangelo, Medusa editore, ndr).

Ma perché Michelangelo lo dipinge in alcuni sì e in altri no? Non fu difficile trovare la risposta: ce l’hanno le persone che sono fuori del piano di Dio. Le Sibille, per esempio. Comunque un ricercatore di razza non smette mai d’interrogarsi. E la domanda successiva era: è questa un’invenzione di Michelangelo o esiste qualche tradizione al riguardo? Così si mise a cercare – impresa titanica e impossibile – in tutta la storia dell’arte. Il risultato è un nuovo libro: Il male in bocca. La lunga storia di una iconografia dimenticata, Medusa, 376 pagine, 35 euro). Iconografia dimenticata veramente, perché in duecento anni di storia dell’arte nessuno si era posto il problema.

Insomma, Bussagli scoprì che il cosiddetto mesiodens si trova già nelle statue antiche, come il Marsia rosso e perfino il Laocoonte. Seguono tutte le chimere medievali fino ad arrivare al rinascimento. La domanda si pone da sola: quelli della Sistina erano fuori dalla grazia di Dio, ma tutti questi altri? Bussagli scopre che, a partire dalla Medusa, il dente impuro significa disarmonia, male in definitiva. E come un fiume carsico è tornato in vari periodi della storia.

Allora si pose un problema chiave, che richiede quanto meno molto coraggio. Le figure di Cristo dipinte o scolpite da Michelangelo hanno il mesiodens? Una ricerca tutta particolare nella scultura della pietà vaticana rivelò che effettivamente ce l’ha. Crollo della teoria! Ma qui si vede la qualità del ricercatore nel porsi la domanda successiva: perché?

Ora qui devo riassumere ma in realtà è il punto più importante. Naturalmente tra i lettori ci saranno quelli che ci credono e quelli che non ci credono, quelli che sanno un po’ di teologia e quelle che non ne hanno idea. Ma l’importante è sapere che all’epoca ci credevano tutti e che gli artisti, per lo meno per le opere importanti, avevano dei buoni consiglieri. Ebbene, come si è realizzata la redenzione? Non è che il Padre ha mandato il Figlio a pagare per tutti e fine. No. Isaia dice, e lo ripetiamo ogni venerdì santo,

“Egli è stato trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità.
Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui;
per le sue piaghe noi siamo stati guariti”
(53,5).

E san Paolo carica ancora le tinte: “Colui che non ha conosciuto peccato, egli lo ha fatto diventare peccato per noi, affinché noi diventassimo giustizia di Dio in lui” (2 Cor 5,21).

In altre parole, Cristo ci ha redenti assumendosi tutti i peccati degli uomini come se li avessi commessi lui. Ecco l’angoscia nell’orto degli ulivi. E allora, il dente.

Si può aggiungere che il famoso dente compare anche in alcuni santi. E questo – di nuovo la teologia – è dovuto alla forte identificazione di queste persone con Cristo, al punto di essere – e a volte essere chiamati – alter Christus.

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