Il fascino del grottesco e l’arte di Ksenia Pasyura alla Fondazione Mudima

Con una mostra che offre un’immersione nel grottesco e nel sublime, la Fondazione Mudima presenta la prima personale a Milano dell’artista londinese Ksenia Pasyura. 

Seguendo il percorso espositivo siamo immersi in un tripudio di figure: corpi aggrovigliati,  arti allungati, occhi sporgenti, piedi ingranditi e parti del corpo che fluttuano. Tutto sembra  oltrepassare l’opera, coinvolgendoci sorprendentemente.  

È difficile non venire avvolti da questa atmosfera. Ma da cosa siamo così attratti? Cosa rende  tutto così affascinante?  

Dove il grottesco regna sovrano”, titolo dell’esposizione, vuole già evocare un’immagine  potente, a tratti inquietante della realtà, suggerendo qualcosa di distorto, bizzarro e spesso  spaventoso. Quando si afferma che il grottesco “regna sovrano” si sottolinea come queste  caratteristiche dominino e influenzino in modo preponderante la scena. 

Grottesco e sublime: attorno a questi due termini si muove la mostra e l’arte stessa di Ksenya Pasyura. Partendo proprio da qui prende forma una serie di riflessioni per provare  inevitabilmente a comprendere la reale potenza di questi due aspetti. Sia in ambito artistico che letterario, il grottesco agisce come uno strumento sovversivo, di rottura e di innovazione.  

Doveroso forse fare un passo indietro. La designazione del termine entra nel lessico della  decorazione nel XVI secolo per indicare le pitture parietali riscoperte, da fine Quattrocento, in edifici sepolti, grotte antiche dell’antichità romana. Queste decorazioni con fantastici motivi vegetali e animali, motivi geometrici con figure umane, ibridi o mostruosi, che Giorgio Vasari, tra gli altri, definì come “sconciature di mostri” per gli accoppiamenti innaturali e  incomprensibili accoppiamenti tra figure, furono reinterpretati soprattutto nel corso del Cinquecento, ad esempio da Raffaello nelle Logge Vaticane, o da Leonardo negli studi delle  sue teste. 

Come nell’arte figurativa, il termine grottesco appare anche in retorica: lo stile di  un’argomentazione può risultare grottesco e produrre un effetto di straniamento, di ridicolo, se si avvale di frasi decontestualizzate o riadattate. Il grottesco si caratterizza per la sua oscillazione fra la sfera comica e quella tragica, la carica tura e il mostruoso, il riso e l’orrido, l’affermazione e la negazione.  

Sembra semplice ai giorni nostri associare questa parola al tragico, al comico, al buffo o al  ridicolo. L’estetica possiede una molteplicità di elementi che la tradizione ha chiamato categorie estetiche ma quand’è che il grottesco entra a far parte di queste e acquista un’autonomia nel mondo dell’arte?

Nel momento in cui vengono messe in discussione l’autonomia del bello classico e si sviluppano riflessioni su categorie quali il sublime, il brutto, e il tragico, nasce una pluralità di valori e sfumature che ampliano la prospettiva dell’estetica.  

Sarà solo Victor Hugo che nel 1827 con la “Prefazione” al Cromwell riuscirà veramente a  intuire la potenza del grottesco, utilizzando quest’ultima categoria per indagare i confini  dell’arte e della natura. Il termine da forma espressiva, grafica, diventa una vera e propria  categoria estetica al pari del sublime affermandosi come categoria letteraria del romanticismo francese.  

Grottesco e sublime fanno parte dello stesso programma, sono legati da uno stretto rapporto  di dipendenza: la tensione di questa coppia suppone un’arte che sfrutta tale contraddizione  come mezzo di evidenza, di risalto; entrambi hanno bisogno l’uno dell’altro e l’uno senza l’altro subisce una mutilazione limitante. 

Si ampliano da questo momento nuove possibilità di creazione dell’arte stessa: compaiono  smorfie, deformità, elementi che suscitano disgusto o riso che finora erano rimasti esclusi,  elementi che provocano in chi osserva meraviglia, orrore, paura. L’arte non deve essere una  rappresentazione da ammirare, ma il suo compito è quello di aprire un dialogo con i suoi  fruitori. L’arte ingloba dentro di sé lo spettatore che era prima solo un osservatore distaccato  e distante, lo tiene in considerazione come parte fondamentale; l’arte chiama in causa le reazioni di chi guarda e l’artista non ha più il compito di imitare il reale ma inizia, attraverso la sua opera d’arte, a dialogare con lo spettatore e quindi stupisce, provoca, lascia a bocca  aperta, disgusta. 

Artista, opera d’arte e spettatore sono ora strettamente collegati e interagiscono tra di loro. Questa dinamica arriva inevitabilmente fino ai giorni nostri, passando per moltissimi critici,  filosofi, scrittori che hanno affrontato l’argomento. Ancora oggi tutto questo agisce con una  carica potente invitandoci a mettere in discussione tutto il mondo in cui viviamo. 

La stessa artista Ksenya Pasyura si ispira all’analisi del filosofo e critico russo Michail Bachtin sui carnevali popolari tradizionali e sull’immaginario grottesco.  

“Pasyura cerca di catturare la connessione tra satira, immagini deprecabili e loro potere mo ralizzante e metamorfico nella cultura”. 

Tutta la forza del grottesco e delle sue sfaccettature si sente completamente attraverso i  personaggi di Ksenya. Emerge una straordinaria libertà di espressione sia nella pittura sia  nell’intento di rappresentare soggetti a loro volta liberi di manifestare le proprie emozioni:  fumano, ballano, piangono, si emozionano. Tutto sfidala canonicità e la tradizione classica.  Inevitabile non perdersi tra i tutti i dettagli e tra le vibrazioni del colore.  

I suoi protagonisti mettono in discussione le norme convenzionali di bellezza,  incoraggiando a considerare la soggettività della percezione estetica.

Affermare dunque che “il grottesco regna sovrano” implica un riconoscimento della  prevalenza del bizzarro e dell’anomalo nella nostra realtà. Questo può essere visto come una  chiamata alla consapevolezza critica, una sfida a cercare di comprendere l’influenza di ciò  che è grottesco nel nostro mondo, un invito a riflettere più in generale sulla condizione  umana.  

I dipinti di Ksenya Pasyura ci ricordano il fragile confine tra il centro e il margine, l’umano  e l’animale, il sè e l’altro, incoraggiandoci a rovesciare dal piedistallo i concetti delle norme  sociali prestabilite”. 

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