Il linguaggio della laguna in Terra d’Acqua, monografica di Cédric Dasesson

Il linguaggio della laguna è accessibile a pochi, forse neppure a chiunque abbia la fortuna di indugiarvi regolarmente. Criptico può risultare nella duplice carica di fascino e timore che il suo caleidoscopio ambientale è in grado di trasmettere a chi la scruti rapito dal suo paesaggio sonoro, dalla sua tenue alternanza cromatica, dai suoi pungenti odori; così accade a Cagliari, dove il denso e complesso spazio urbano è alleggerito, sul versante occidentale, da una delle più importanti aree umide d’Europa per estensione e rilevanza della biodiversità: la laguna di Santa Gilla, in mostra presso il Centro Comunale d’Arte Il Ghetto di Cagliari fino al 1° marzo 2024. 

Queste ed altre geografie hanno infatti ispirato Terra d’Acqua, progetto fotografico realizzato grazie alla collaborazione tra la coop. Agorà Sardegna, CoopCulture ed il Comune di Cagliari, nella quale quale Cédric Dasesson (1984), attentamente focalizzato sulla sull’indagine dei territori e sulla restituzione della varietà dei paesaggi acquatici, ha tentato di mettere a nudo la complessità di un mondo umido complesso e multiforme dove il piano ambientale – faunistico e floristico – si interseca con le ragioni umane e sociali dei pochi abitanti incontrati, superstiti legittimazioni vitali dell’antropizzazione lagunare, dove l’incontro di acqua e terra, sempre bilanciate, ancora dirige gli sforzi di chi resta.

Non è un connubio banale: gli scatti dell’autore raccontano la trasversalità ibrida della laguna fissando, non senza la grazia di soggetti inediti, come i sorrisi del lavoro o del riposo a bordo delle barche, il contrasto deciso ma non cruento tra le moderne strutture cementizie del Porto Canale, a tensione industriale, che “divide” la laguna, e lo sforzo ritmato e fermo dei lavoratori incontrati nel rione marittimo di Giorgino, dove il Villaggio dei Pescatori si afferma come avamposto resistenziale in una terra già nuova. Terminus post quem è il 2021, quando si conclude l’abbattimento – immortalato nella mostra, in posizione dominante – dei due grandi silos per lo stoccaggio del grano presenti nel Porto di Cagliari, preludio topico alla postura analitica del fotografo nei confronti della laguna di Santa Gilla, dove a partire dall’anno successivo condurrà la sua indagine atta a catturare i caratteri del cambiamento paesaggistico e dell’instabile equilibrio fra uomo e ambiente, sempre più incalzato da una palpabile distrazione ecologica. 

A ben vedere, disagevole risulta una lettura del lavoro di Dasesson senza riconoscere nell’elemento acqua quel ruolo di leitmotiv della poetica fotografica con la quale egli interpreta il suo rapporto col mondo, che è capace di illustrare su più fronti: quello estetico e formale, più orientato verso la resa artistica delle sue composizioni, e quello già etnografico – è il caso di Terra d’Acqua – in cui lo spazio è esperito nella concreta componente edificata e nella plastica presenza di chi lo spazio produce. È sufficiente guardarsi indietro di poco per apprezzarne il percorso di crescita, cominciato con la prima personale di Level (Cagliari, 2017), seguita da Di notte il mare non dorme mai (2018), Costellazioni (2020) e dalla recente Oltreterra (2023), ancora più addentro all’intimità senza parole fra uomo e acqua. 

Al lavoro dell’autore cagliaritano, in effetti, non sembra rendere sufficientemente giustizia – a parere di chi scrive – un allestimento quasi obbligato, a tratti dispersivo pure se ambientato nella compatta Sala delle Mura del Ghetto, incapace di comunicare il respiro di una mostra senza dubbio pregnante dal punto di vista della storia fotografica della città – oltreché dello stesso artista, poliedrico anche nel rigore tematico – nonostante la relativa esiguità della collezione presentata. Verranno altre occasioni che guadagneranno a Cédric Dasesson una più robusta efficacia narrativa. Nel frattempo, Terra d’Acqua è un sapiente esercizio di curiosità analitica. 

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