Il nuovo report Deloitte, tra flessione globale, nuovi linguaggi e trasformazioni generazionali

Il mercato dell’arte nel 2024 ha confermato una tendenza ormai strutturale: il rallentamento iniziato nel 2023 non si è arrestato, ma ha mostrato piuttosto una trasformazione profonda, sospesa tra crisi e adattamento. I dati diffusi da Deloitte nel report annuale Il mercato dell’arte e dei beni da collezione 2025 segnalano una contrazione del fatturato globale del 26,2% rispetto all’anno precedente. Un calo che va oltre la semplice ciclicità economica, suggerendo una ridefinizione più ampia del sistema, dei suoi protagonisti e delle sue logiche operative. Più che una battuta d’arresto, siamo forse davanti a una fase di rifondazione.

Colpisce in particolare il calo dei lotti aggiudicati sopra i 2 milioni di dollari, in diminuzione del 29%. È un dato che racconta due dinamiche: da una parte la cautela di molti collezionisti di lungo corso, dall’altra la crescente difficoltà delle case d’asta a reperire opere di alta qualità, in grado di sostenere le aspettative del mercato internazionale. La pittura, che resta il segmento dominante (con il 70% del mercato), ha risentito in modo evidente di questo clima. La flessione del 25,6% nel suo fatturato riflette la diffidenza verso investimenti percepiti come meno liquidi e meno redditizi nel breve periodo. La crescita del tasso di invenduto e la riduzione del valore medio delle aggiudicazioni sono segnali coerenti con una fase di riflessione, più che con una crisi verticale.

In questo contesto di apparente contrazione, tuttavia, si fanno spazio nuove energie. Il caso di L’empire des lumières di René Magritte, venduto per 121,2 milioni di dollari da Christie’s a New York, è emblematico: se da un lato è l’eccezione che conferma la regola, dall’altro dimostra che per opere iconiche e storicizzate la domanda rimane solida. È come se il mercato si fosse diviso in due velocità: una, lenta e attendista, che riguarda la fascia media delle opere; l’altra, più rapida e reattiva, riservata ai capolavori museali.

Ciò che realmente sembra cambiare è il profilo dei protagonisti. La crescita degli acquirenti appartenenti alla Gen Z e ai Millennial, che rappresentano oltre il 30% dei nuovi collezionisti, ha un impatto tangibile sulle dinamiche del sistema. Rispetto ai baby boomer, questi acquirenti sono meno interessati alla storicizzazione e più attratti da esperienze, branding, esclusività e immediatezza. La loro attenzione si rivolge all’arte contemporanea, ma anche a oggetti di design, moda e sport, in un’ottica di collezionismo più fluida, meno legata ai canoni tradizionali.

Un esempio evidente è l’esplosione del mercato dei memorabilia sportivi. Le aste record della maglia di Babe Ruth, delle scarpe indossate da Michael Jordan o dell’armadietto di Kobe Bryant indicano non solo un interesse verso nuovi oggetti di culto, ma anche una diversa percezione del valore: emotivo, simbolico, mediatico. In questo senso, il collezionismo contemporaneo è più vicino alla cultura pop che alla storia dell’arte. E questo spostamento ha implicazioni profonde.

A sorprendere è anche il successo del design da collezione, che ha registrato un incremento di fatturato superiore al 20%. È un dato che non stupisce se si considera come l’arredo – specialmente quello italiano o europeo in serie limitata – stia diventando sempre più un’estensione del linguaggio artistico. I collezionisti non cercano più soltanto quadri o sculture, ma oggetti che possano abitare lo spazio in modo coerente e distintivo. Il design, in questo senso, incarna una nuova estetica del lusso e della quotidianità colta.

Il 2024 è stato anche l’anno dell’ingresso a pieno titolo dell’intelligenza artificiale nel mercato dell’arte, un passaggio tutt’altro che marginale. L’opera creata dal robot Ai-Da e venduta da Sotheby’s per 1,1 milioni di dollari ha segnato un punto di non ritorno. Non si tratta più soltanto di strumenti di analisi o previsione, ma di veri e propri agenti creativi. L’integrazione dell’AI come medium artistico solleva inevitabilmente interrogativi sulla natura dell’autorialità, sull’originalità del gesto e, in definitiva, su cosa significhi oggi “creare”. È un campo minato: affascinante, ma potenzialmente omologante. Il rischio di una standardizzazione dell’immaginario è concreto, e meriterebbe una riflessione critica più ampia.

Sul piano geografico, si conferma il predominio di New York, anche se Parigi continua ad avanzare, complice un ambiente fiscale più favorevole e un ecosistema culturale in fermento. Da osservare con attenzione anche la crescita del Medio Oriente, dove Christie’s e Sotheby’s stanno investendo in nuove sedi e iniziative, come le aste a Diriyah. La globalizzazione del mercato dell’arte non è una novità, ma la sua frammentazione attuale rappresenta un passaggio delicato, in cui l’equilibrio tra piazze storiche e nuovi poli è ancora tutto da definire.

Interessante anche la performance dell’antiquariato, che con un incremento del 7,5% dimostra una sorprendente resilienza. È forse il segmento più controcorrente: mentre tutto sembra andare verso il nuovo, il tecnologico, il flessibile, i beni antichi confermano un’attrattiva che non si lascia scalfire dalle mode. In tempi di incertezza, la solidità della storia può tornare ad avere un valore rassicurante.

In definitiva, il 2024 restituisce un’immagine del mercato dell’arte meno euforica rispetto agli anni d’oro post-pandemia, ma non per questo meno vitale. I numeri parlano di contrazione, ma sotto la superficie si muove una ridefinizione profonda: delle forme, dei gusti, dei soggetti e delle geografie. È un mercato che si sta interrogando su se stesso, forse per la prima volta dopo anni di crescita accelerata. E questo, nel lungo periodo, potrebbe essere un segnale di maturità più che di crisi.

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