In volo con Licini: l’arte tra sogno e mistero a Palazzo Bracci Pagani

Dove alberga quello spirito creativo che supera i confini del reale per una narrazione originata da pensieri intrisi di libertà? Forse, laddove c’è “Amalassunta su fondo blù”, una bizzarra figura bianca sospesa in un cielo notturno striato d’azzurro. Siamo nelle Marche a Palazzo Bracci Pagani di Fano, nella regione che ha dato i natali ad Osvaldo Licini (Monte Vidon Corrado 1894), l’autore dell’opera emblema della mostra “In volo con Licini” curata da Stefano Papetti. Un’immagine che sintetizza lo stile liciniano della figurazione fantastica, nel ciclo caratterizzato da personaggi che non abitano più la terra, ma uno spazio celeste dove la fantasia dell’irrequieto “errante, eretico, erotico”, viaggia e trova riparo.

Per un periodo, insieme a Giorgio Morandi, amico di una vita, Licini aveva interpretato le linee trasgressive del pensiero futurista e in lui tutto è stato l’esito di un viaggio, di trasgressione, libertà, di un fare controcorrente. Le sue figure immaginarie nascono nella quiete del paese natale dove Osvaldo farà ritorno, per restarvi fino alla morte, dai suoi frequenti viaggi in Europa, da quella Parigi teatro della sua formazione e di incontri con grandi personaggi come Modigliani, Picasso, Matisse, Braque. Monte Vidon Corrado è stato il luogo dove per Licini era possibile andare restando fermo, disegnare un itinerario dentro sé stesso, alimentarsi della fascinazione leopardiana con lo sguardo rivolto al cielo nella “sera che si veste di velluto.

La notte a parlare ad alta voce con la luna quando saliva sull’altana a scrutare la volta celeste in uno scenario che libera il sogno e l’istintività, e dare forma all’intuizione. Nasceranno così le celebri Amalassunte che sono la metafora de “la Luna nostra bella, garantita d’argento per l’eternità, amica di ogni cuore un poco stanco. Ma è anche un po’ una Vergine, assunta non troppo bene, oppure la figlia di Teodorico, incontrata per caso in un sussidiario”.

Quando è la forza di una altra intrigante figura, circondata da un luminoso giallo che se ne sta in mostra con orgoglio, ad interpretare e confermare il fascino di un linguaggio straordinario. A ricordarci che “la bellezza sfuggirà sempre ai nostri calcoli” e che l’arte di Licini restituisce forme libere, istintive e provocatorie che hanno il “sorriso di lontananze ignote”. Come i suoi celebri “angeli ribelli”, figure solitarie che hanno i caratteri del sogno, destinate a vagare dopo la loro caduta, personaggi irriverenti, ironici se vogliamo, declinati anche con la coda e qualche volta “mi diverto a morderla questa coda”.

Più farseschi che drammatici, gli angeli ribelli esprimono non la terribilità ma l’inevitabilità del male, come nota Stefano Papetti. Interprete indiscusso dell’arte del Novecento, più volte invitato alla Biennale di Venezia, nel 1958 Licini riceverà dalla prestigiosa istituzione il Gran Premio Internazionale della Pittura dalle mani del presidente Gronchi. Morirà un mese più tardi nella casa che era stata teatro delle sue visioni per raggiungere quella dimensione onirica dove abitano i suoi misteriosi personaggi messaggeri di un possibile che solo l’arte può restituire con meraviglia.

L’arte, dichiarava Licini nel 1937, è di natura misteriosa e non si definisce. Lasciamo la mostra, mentre ci accompagna la fascinazione di un “angelo su fondo blu” e riflettiamo sull’arte che attraversa il tempo, che ci permette di godere di una storia vissuta sempre sull’enigma del cosmo. Sul senso dell’esistere nell’attesa di un angelo, che, scriveva Licini, “a prendermi scenderà”.

Fino al 27 ottobre 2024.

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