Jacopo Miliani è l’artista che attraverso la creazione di un linguaggio artistico universale supera la definizione di genere.
Se avete mai sognato un mondo in cui non servono parole per definire chi siete, se non vi riconoscete nelle etichette che la società vi impone e se sentite di non appartenere ad alcuna categoria di genere, forse siete queer. Queer significa eccentrico, ovvero un’identità sessualmente, etnicamente o socialmente “lontana dal centro”, che non si colloca all’interno delle definizioni di normalità codificate dalla cultura dominante. Se anche voi vi sentite un po’ queer e se state ancora cercando un linguaggio artistico in cui identificarvi, forse dovreste conoscere Jacopo Miliani, uno degli artisti italiani più interessanti del panorama contemporaneo. Classe ‘79 e attivo a Milano, Jacopo Miliani lavora sui concetti di queerness e di genderfluid.
Da anni ha deciso di dedicare la sua ricerca artistica allo studio della parola, individuando in essa l’origine della costruzione delle nostre identità: “Il rapporto che ho con la parola è una lotta. Forse un gioco d’amore, sicuramente una relazione di quelle struggenti e importanti. Il linguaggio è come ci definiamo e come definiamo gli altri e lo usiamo continuamente senza accorgerci che veniamo usati da lui. Il linguaggio è sicuramente maschio per il momento.” Nelle sue performance combina la tradizione del balletto e della musica classica alla cultura pop della moda, della musica e della danza contemporanee. Il ballo rappresenta per Miliani uno strumento attraverso il quale è possibile spezzare le catene dell’apparenza e del pregiudizio, dando libero sfogo a tutte le forme del nostro io. Un riferimento centrale nelle sue opere è dedicato allo stile del vogue, un genere di danza contemporanea nata nei sobborghi di New York e resa celebre dall’omonimo brano di Madonna, uscito nel 1990. Il vogueing consisteva nell’imitare le pose delle modelle ritratte nelle pagine della nota rivista da cui il ballo prende il nome.
Dietro a quelle movenze fluide e agli abiti sgargianti si nascondeva la necessità di costruire linguaggi condivisi all’interno della comunità omosessuale e transgender americana che in quegli anni cercava la propria voce attraverso il ballo e che trovava nella ballroom l’unica arena in cui battersi per la propria affermazione identitaria. Oggi Jacopo Miliani recupera quel linguaggio e soprattutto quella stessa necessità di rovesciare il tradizionale concetto di genere, trasformando lo spazio della performance in un palcoscenico in cui rappresentare la lotta tra interiorità ed esteriorità. In Deserto, opera in mostra al Gucci Garden di Firenze, Miliani costruisce una realtà in mutamento, proprio come quella del deserto: luogo in cui la sabbia non assume mai una forma definita. Nel video due mani recitano un monologo corporeo: una lingua inventata che aspira a creare una comunicazione universale, capace di esprimere significati molteplici senza il bisogno di spiegazioni. Richiamando il movimento del linguaggio dei segni, Jacopo Miliani crea quello che potrebbe invece definirsi un “linguaggio dei sensi”, composto da sensazioni e allusioni che fanno trasparire una realtà dai confini sfumati e aprono uno spiraglio alla nostra libertà di interpretazione. Lo trovate a Firenze al Cinema da Camera del Gucci Garden fino al 6 gennaio 2020.