Un ascensore interstellare, strana “capsula del futuro” sbalzata su un pianeta apparentemente arido e disabitato, ma dai colori fluo. E otto personaggi – uomini e donne, ma tutti dall’apparenza futuribile e vagamente robotica – che ne scendono ed abbozzano strani riti, tra l’ancestrale e il performativo, tra bizzarri martelli giganti e colorati che paiono usciti da un film di Tum Burton (claim: Break moulds, “rompi gli schemi”), danze neotribali (claim: Live Vivid, “vivi vibrante”), pennellate giganti per “cancellare l’ordinario” e atmosfere effervescenti per “creare esuberante”.
Vestiti in maniera bizzarramente distopica, ciascuno in un “totale color” diverso (rossi, gialli, arancioni, rosa), con abiti che Vogue ha paragonato, mutatis mutandis, a quelli di Simone Rocha, eclettica e raffinatissima stilista irlandese famosa per le sue creazioni romantico-rococò dal sapore archeofuturista, questi otto umanoidi tra il robotico, il futuristico e l’alieno sono i protagonisti del teaser della nuova campagna pubblicitaria Jaguar, che si è da poco rifatta il look – logo compreso – in attesa di presentare un nuovo modello di auto elettrica, la Type 00, dalle linee fortemente squadrate, che, appena lanciata (anzi, per il momento solo evocata: per ora ci sono i prototipi, il prodotto vero e proprio arriverà solo nel 2026), ha già fatto scalpore perché sarà realizzata in tre diverse versioni, una in un rosa sgargiante e metallizzato chiamato Miami Pink, un’altra in un azzurro elettrico London Blue, un’altra in oro Parisian Gold.
Una campagna bizzarra, non c’è dubbio, innovativa e coraggiosa, anche su questo ci sono pochi dubbi, che ha fatto gridare allo scandalo sui social – e già questo dice molto sulla sua potenza di penetrazione, visto che oggi farsi notare e far parlare di sé sui social non è impresa da poco, immersi come siamo in un folle e continuo guazzabuglio di immagini e video di ogni sorta e di ogni provenienza –, con accuse, soprattutto dagli Stati Uniti, di appoggiare una presunta “woke culture” (semplicemente perché alcuni dei personaggi sono vagamente androgini) e, udite! udite!, perché manca il prodotto da vendere, ovvero l’automobile. Al punto che lo stesso Elon Musk, tra i primi possibili competitor del nuovo corso Jaguar nel campo delle auto elettriche, sembra proprio essere caduto nella “trappola”, commentando il video sul suo X, con l’ironica frase: “Do you sell cars?”, “Vendete auto?”. Risultato: un’infinità di commenti, di condivisioni, anche di meme e di sfottò, che in realtà non hanno fatto altro che dare forza e far diventare letteralmente virale in tutto il mondo la campagna. Di fatto, un autogol per il patron di Tesla, che ha così foraggiato la campagna pubblicitaria di un possibile avversario.
Quel che è certo, è che si tratta di una campagna chiaramente innovativa, con un’estetica esplosiva e dall’impronta fortemente “artistica” (con le sue atmosfere surreal-futuriste, un po’ Mariko Mori e un po’ LaChapelle, potrebbe tranquillamente figurare in una mostra d’arte contemporanea, se non fosse per quei claim che scorrono sullo schermo), che, non c’è dubbio, “rompe gli schemi” non solo della tradizionale immagine del marchio Jaguar, basato su un conservatorismo di lusso rivolto a un pubblico agé, tradizionalista e assai poco propenso a colori fluo e alle atmosfere “fluide” che in qualche modo il video, e le nuove auto, potrebbero richiamare, ma anche, in generale, dell’estetica pubblicitaria attuale, poco propensa a cambi di direzione così repentini e a “salti nel vuoto” come quello che si prospetta da questo teaser.
Una pubblicità che, non a caso, un giovane ma geniale “guru” della nuova comunicazione via web, Riccardo Pirrone, ha di recente definito “un capolavoro di comunicazione, vivacità, inclusività e un po’ di provocazione”. CEO dell’agenzia di social media Kirweb, presidente dell’Associazione Nazionale Social Media Manager, Pirrone è salito alla ribalta delle cronache soprattutto per la strepitosa e inimitabile campagna della Taffo, l’agenzia di pompe funebri che ha messo in campo creatività, intuito e parecchio “humor noir” per far sdrammatizzare il tema della morte rivoluzionando di fatto l’impianto della comunicazione aziendale via web, tra cortocircuiti mentali, ironia e meme culture.
Noi lo abbiamo intervistato per approfondire dinamiche, riferimenti estetici e sviluppi della nuova campagna Jaguar.
Riccardo, partirei con una domanda un po’ provocatoria: quello di cui stiamo parlando è pubblicità o un video d’arte? Te lo chiedo perché, guardandolo, mi dà quasi l’impressione di un video d’arte contemporanea, con la sua estetica futuribile, di taglio futurpop, e con l’impressione che, come molti hanno sottolineato sui social, sembra che “non venda nulla”…
Questo video appartiene a tanti mondi differenti, al mondo della pubblicità, al mondo dell’arte, al fashion, mondi che sono tutti connessi tra di loro… del resto, io credo che la pubblicità sia una forma d’arte prestata al commercio, e quindi deve creare dei contenuti che rimangano nell’immaginario collettivo, esattamente come fanno le opere d’arte, le canzoni, i romanzi che segnano un’epoca. E poi, attenzione, non è che questo video “non venda nulla”. Apparentemente è così, ma in realtà il video è un teaser, quindi non deve “venderti” macchine, ma un immaginario, una nuova visione del brand, deve soprattutto affascinarti e sedurti. Non è il classico spot, per ora non ti sto vendendo la macchina, ma un mondo che un domani potrebbe appartenerti.
Con questa campagna, dunque, così come con la creazione di un logo tutto nuovo, Jaguar vuole riposizionarsi?
Dal punto di vista tecnico “riposizionarsi” è corretto, ma in realtà è molto di più, è come se fossero morti e rinati con una nuova veste, mantenendo però la loro anima. Stanno cercando di conquistare un target che magari fino a oggi aveva sentito parlare di Jaguar, ma non si era mai davvero interessato. Non è più un brand per pochi, ora stanno puntando a una campagna quasi pop, con un approccio più ampio.
A chi scriveva sui social che così Jaguar avrebbe potuto “perdere tutta la vecchia clientela affezionata al brand”, tu hai risposto, con la verve sarcastica e corrosiva che ti contraddistingue, “Ma quale clientela? Forse così vecchia che è anche morta”… ma perché questa scelta di puntare su un nuovo pubblico?
Beh, i dati parlano chiaro. I clienti storici sono pochi e non bastano per rendere il brand sostenibile. Serviva un cambiamento, un revamping, un rinnovamento. Ecco perché hanno creato una campagna che rompe gli schemi, come facevano le grandi pubblicità del passato, quelle che anticipavano il futuro.
A cosa ti riferisci? Vedi qualche parallelo con campagne storiche?
Beh, a parte senz’altro quelle rivoluzionarie di Oliviero Toscani, penso ad esempio alla Apple, quando lanciò la campagna “Think Different” a fine anni Novanta, dove è risultato chiaro che non vendeva solo computer, ma un nuovo modo di pensare. All’inizio quella campagna non fu compresa da tutti, ma alla fine rivoluzionò il mercato. Jaguar, con questa campagna, sta facendo un salto simile, ma il successo ovviamente dipenderà anche dal prodotto, non solo dalla comunicazione. Questa è la differenza con l’arte: nel caso dell’arte, video e prodotto sono una cosa sola; nel caso della pubblicità, il video serve a veicolare i valori che sostengono il prodotto. E il prodotto poi deve fare la sua parte, ma questo non sarà più compito dei comunicatori, ma di chi lo progetta, e dei venditori cui poi spetterà il compito di farlo acquistare.
A proposito del video, ha un’estetica molto particolare: quel mondo rosa, fluo, con la capsula-ascensore che arriva in un mondo che fa pensare a Marte, con chiari riferimenti all’immaginario fantascientifico… è proprio la promessa di un’epoca nuova?
Sì, e certamente è spiazzante. Nel mondo delle auto di lusso siamo abituati a vedere il classico maschio alfa, in giacca e cravatta, mentre qui troviamo tutt’altro. È un mondo che non esiste, ma che comunica innovazione e unicità. Molti hanno associato il video a tematiche LGBT o “woke“, ma non c’è nulla, in realtà, a mio parere, che spinga verso quella direzione. Vedo piuttosto un riferimento all’innovazione, nuovi colori, nuove linee, una nuova estetica. È un immaginario innovativo e futuribile, che vuole far parlare di Jaguar, creare curiosità, e aumentare così la sua “brand awareness”. Non è detto che piaccia a tutti, ma quel che importa è che si imponga con un’estetica innovativa e ben definita.
Quindi l’obiettivo non è piacere a tutti, ma colpire l’immaginario di molti?
Esatto. Per farti un parallelo con l’arte, è quel che è successo anche con Cattelan: non tutti apprezzano Comedian, la sua “banana con lo scotch”, molti magari non la amano, ma quel che è certo è che tutti la conoscono e tutti ne parlano, quell’operazione ha di fatto creato un immaginario, e da questo momento in poi nessuno potrà far finta che non esista.
Quindi, Jaguar come Cattelan?
Beh, guarda, Cattelan vive da sempre di provocazione, rompe gli schemi e crea opere che fanno discutere, gioca con le emozioni delle persone smontando o amplificando le loro paure, le loro nevrosi e le loro convinzioni. La pubblicità della Jaguar più o meno fa questo, smonta tutto quell’immaginario che da anni era abbinato al mondo delle auto di lusso o delle auto sportive, rompe gli schemi, come recita un po’ didascalicamente uno dei claim della campagna, provocando, smontando un immaginario consolidato, creando di fatto un nuovo dialogo con il pubblico.
Creando anche polemiche in rete…
Certo, per questo è diventato virale, perché ha scatenato tutta una serie di persone, anche quelle più nostalgiche o quelle che potremmo definire hater, che non vogliono questo tipo di contenuti perché troppo rosa, troppo eccessivi, troppo eccentrici. Ma questo crea dibattito, crea discussione, e di conseguenza crea visibilità. Alla fine l’obiettivo dello spot è creare un immaginario, ma per far questo deve ottenere più visibilità e più visualizzazioni possibili.
E gli slogan come “vivi vibrante”, “rompi gli schemi”, sono coerenti con questa filosofia?
Certo, sono volutamente semplici, didascalici, proprio per riuscire parlare a tutti. Vogliono essere chiari: rompono gli schemi, non copiano nessuno, sono vibranti. È una scelta strategica per essere comprensibili e attirare l’attenzione. In questo senso il video è “pop” anche nel senso originario del termine, cioè popolare.
Come vedi il futuro del brand dopo questa campagna?
Adesso la sfida è realizzare e far percepire il prodotto come giusto e desiderabile. Ci vorranno testimonial forti, altre campagne che diano sostanza a questo immaginario. Ma il primo passo è stato fatto, e non c’è alcun dubbio che abbia colpito nel segno.
Proprio come Cattelan.
Sì, proprio come Cattelan.
Grazie, Riccardo. Sei stato chiaro e illuminante come sempre.
Grazie a te!