Fino al 10 dicembre il digital painter Gioele Amaro presenta Just a Painting, mostra curata da Jerome Sans, alla Almine Rech Gallery di Parigi.
Si sta per concludere alla Almine Rech Gallery al 64 di Rue de Turenne, la mostra personale di Gioele Amaro, artista italiano che sta portando avanti la sua ricerca sulla pittura digitale.
Guardando le opere presentate si ha l’idea che tutta la mostra sia incentrata su un solo e unico soggetto riprodotto e riproposto in varie forme quasi fossero, più che dei “dipinti”, delle vere e proprie sculture. Jérôme Sans nel testo critico che accompagna l’esibizione si chiede provocatoriamente “la pratica di Gioele Amaro culmina in una domanda essenziale: sono ancora quadri?”. La risposta la dà lo stesso Sans “agli occhi del mondo contemporaneo non è vera pittura, ma è solo una pittura, un frammento denso e opaco di questa storia e delle sue evoluzioni future”. Di quali evoluzioni stiamo parlando?
Dopo la dicotomia astratto vs figurativo sembra che ora dobbiamo preoccuparci di quella che sta prendendo piede in questi anni che vede in contrapposizione reale vs virtuale, o anche digitale vs fisico. Per restare in tema potremmo citare una mostra che ha avuto luogo nella Galleria Garten di Camilla Moresi a Como qualche mese fa, anche con le opere di Gioele Amaro. Proprio lì era stato enfatizzato il neologismo Phygital, crasi perfetta di phisic e digital, e nel testo di faceva riferimento a questo nuovo tipo di immagini, generate o alterate dalla tecnologia, che sono diventate la base di un nuovo linguaggio estetico.
Quelli di Amaro sono quadri ma non sono dipinti, almeno non nel modo come immaginiamo quando pensiamo alla pittura. Sono in debito con le tecniche di pittura dell’arte classica come il trompe-l’oeil ma esistono grazie al digitale e all’uso di software che permettono all’artista di immaginarle prima e di renderle fisiche, dopo, davanti ai nostri occhi. Anche le precedenti opere di Gioele Amaro nascevano sempre dall’incontro delle nuove tecnologie con la pittura, la fotografia e i disegni: selfie che si dissolvono, superfici specchianti appannate, visioni offuscate, mondi velati e tele che imitano superficie metalliche opache.
Gioele Amaro, nato il 1986 a Reggio Calabria, la città di Umberto Boccioni e Gianni Versace come ha ricordato egli stesso, ha sempre avuto un debole per la pittura, passione coltivata in un primo momento come atto privato e impossibile da condividere tantomeno con la propria famiglia. Nel 2006 si trasferisce a Parigi per un master postlaurea e qui inizia a collaborare nell’atelier di Jean Nouvel, dove ha imparato ad avere dimestichezza con i software di progettazione. Sarà stato lì che la passione per la pittura ha incontrato l’idea di poter usare pennelli digitali e programmi per immaginare quello che poi avrebbe preso vita sulle sue tele? Dal 2018, l’anno della sua prima personale da Balice Hertling, Gioele Amaro non si è più fermato e ha esposto da Sotheby’s a Parigi in una mostra dedicata a ripensare opere della storia dell’arte, a Pechino è stato coinvolto nel progetto “Valentino Re-Signify Part II” e a Milano è stato scelto come primo artista italiano da Ruinart creando l’opera “Altered Horizons”.
Per tornare alla domanda di Jérôme Sans: “Sono ancora quadri?” Davanti a questi ultimi lavori forse non dobbiamo chiederci cosa sono, con cosa sono fatte, come le ha fatte e cosa ci stanno facendo vedere e perché. Affascinati dalla sua pratica e dalla sua ricerca dovremmo chiederci: dove vuole portarci Gioele Amaro?
Illusorie e ingannevoli, sfocate, inafferrabili queste opere non sono proprio sintomatiche dei nostri tempi e dei tempi futuri?