La fine della storia è stata rimandata e gli algoritmi si prendono gioco di noi

Le scorse settimane abbiamo accennato alla questione filosofica se la coscienza sia o non sia qualcosa di computabile. Oggi vogliamo scendere di livello, almeno inizialmente, e fermarci a ciò che chiamiamo “intuizione”. Lo storico Yuval Noah Harari nel suo libro 21 lessons for the 21st century ci fa riflettere sul libero arbitrio degli uomini e la sua relazione con gli algoritmi. Abbiamo già parlato di libero arbitrio, come questo “potere” che noi riteniamo di avere, sia incompatibile con la filosofia materialista e imponga una qualche tipo di coscienza “divina” (abbiamo anche accennato alla fisica quantistica), ma come promesso, lasciamo perdere, restiamo sul qui e ora e su quello che certamente possiamo constatare: Harari ci dice che il libero arbitrio presuppone almeno che un uomo abbia coscienza di se a tal punto dal sapere cosa realmente vuole, desidera e sente. Non importa chi sia più ricco, colto o intelligente, ciò che ci accomuna tutti è il libero arbitrio, tutti lo hanno e tutti ne possono disporre, se vogliamo è l’unico potere davvero democratico.

Ritratto di Yuval Noah Harari

Ma Harari ci avverte su due questioni di base, la prima è che la società occidentale solo da pochissimi secoli ha restituito davvero questo potere al popolo. Nel passato dittature, religioni e poteri temporali di vario genere hanno chiuso la maggior parte degli uomini in uno spazio di movimento personale molto piccolo. Certo anche le democrazie richiedono di limitare il libero arbitrio (ne abbiamo parlato in un precedente articolo citando Hobbes), ma certo gli ultimi due secoli sono stati quelli ove l’uomo comune ha potuto sentirsi sempre più libero di operare e soprattutto scegliere, esprimersi, votare. Gli algoritmi tuttavia stanno mettendo fine a questo periodo d’oro, vediamo come. Gli algoritmi sanno di noi più di noi stessi, e questa tendenza è inarrestabile. Che si tratti di quale sarà il prossimo brano musicale da ascoltare o il prossimo partner da scegliere, gli algoritmi sono in grado di prevedere le nostre scelte meglio di noi. Del resto anche Harari è arrivato a conclusioni ormai condivise dalla comunità di intellettuali e di cui abbiamo già accennato: tutto ciò che è computabile lo sarà.

Non è che gli algoritmi ci hanno tolto il libero arbitrio, è vero il contrario: siccome il libero arbitrio (ovvero la scelta di ciò che sia meglio per noi) è computabile… gli algoritmi la computano. Nulla di nuovo sotto il sole, Alan Turing aveva formalizzato la teoria della computazione quasi un secolo fa. Ma non solo i matematici hanno contribuito a questo, anche psicologi e medici vi hanno contribuito, si pensi alla formalizzazione della Programmazione Neuro Linguistica (Bandler & Glinder, La metamorfosi terapeutica). Noam Chomsky ha vissuto una intera vita a criticare il sistema politico occidentale, eppure lui stesso, con i suoi fondamentali studi sulla linguistica, ha fatto evolvere la scienza e i linguaggi formali di programmazione. Il mondo doveva andare in questa direzione e lo ha fatto: gli algoritmi “intuiranno” meglio di banchieri, avvocati e autisti. Infine Harari sentenzia: l’intuizione umana infine era solo calcolo statistico (pattern recognition).

Tristi? Certo, come non potremmo esserlo. La cosa ancora più drammatica è che tale comprensione arriva nel momento peggiore per la nostra contemporaneità, che infatti si trova in un buco di prospettiva di ideali. È sempre Harari a segnalarci che agli inizi del secolo scorso le popolazioni occidentali avevano tre prospettive: il fascismo, il comunismo e il liberismo. Poi dopo le guerre mondiali la scelta si è ridotta in due sole opzioni, comunismo e liberismo. Poi, negli anni Novanta, una sola opzione era rimasta: il liberismo. Negli anni Novanta e all’inizio del nuovo millennio ci siamo illusi di essere giunti alla fine della storia: capitalismo, libero arbitrio, tecnologia e l’inizio di tavoli di discussione per la demilitarizzazione nucleare e l’apertura di temi sociali e ambientalisti, ci hanno illuso di essere vicini ad un modello occidentale ideale da esportare nelle zone più disagiate. Ma la storia era da rimandare, la crisi del 2008 dei mercati finanziari ha mostrato tutta la debolezza, e iniquità, del modello capitalista, poi le due recenti guerre alle porte dell’Europa hanno mostrato anche come di fatti il modello di società costruito fosse tutt’altro che perfetto.

Gli algoritmi non devono essere messi sul banco degli imputati, loro sono come l’acqua, che scorre dove deve. La riflessione deve essere condotta nella direzione della consapevolezza, al fine di evitare una riduzione ad un problema di tecnologia. Non abbiamo un problema di tecnologia, ma come stiamo cercando di indagare qui su Artuu, piuttosto abbiamo un problema molto più di base, necessariamente legato alla nostra ontologia.

Tutti gli scienziati, le scoperte, l’AI e gli algoritmi sono l’acqua, possiamo scegliere di lasciarla libera di circondarci, possiamo scegliere di incanalarla… oppure possiamo semplicemente riconoscerci acqua noi stessi. Ciò che va capito è solo che non possiamo non scegliere, forse questa è la scelta più importante da fare… per preservare il nostro libero arbitrio.

(in copertina: Antoh Mansueto, Pizza Machine #12)

le puntate precedenti di queste riflessioni su coscienza, pensiero filolosofico e intelligenza artificiale le potete trovare qua:

Dio è nei dettagli? No, nei computer. Un’ipotesi sull’uomo, la Natura e l’Intelligenza Artificiale

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