La Grande Brera è arrivata, un traguardo straordinario per tutti

Finalmente. Finalmente è arrivata, finalmente Milano ha un polo museale degno della sua storia, del suo rango di capitale non solo economica ma anche della nuova cultura italiana, fatta di un presente dinamico agile e aperto che guarda al futuro ma con i piedi, la memoria e le radici ben salde nella propria storia e nel proprio sostrato artistico e culturale, oltre che delle aspettative di tutti i suoi cittadini. Non è retorica, infatti, dire che i milanesi aspettavano la “Grande Brera” da 50 anni, da quando l’idea fu “sognata” e tenacemente perseguita da Franco Russoli, storico direttore della Pinacoteca, negli anni Settanta, con l’idea di aprire la Pinacoteca agli edifici e agli spazi circostanti, con l’acquisto, in particolare, del Settecentesco Palazzo Citterio per avere uno sbocco verso l’arte moderna e contemporanea.

Non è retorica, e posso testimoniarlo anch’io, in prima persona, che lo aspettavo, letteralmente, se non da 50, certo da quarant’anni tutti: ricordo distintamente quando, ventenne, già appassionato e studente vorace e appassionato di letteratura e di arte, mi abbeveravo delle immagini, spasmodicamente ricercate sulle pagine dei libri scovati nella biblioteca di casa o sulle bancarelle dietro Piazza Duomo, dei maestri, già amatissimi, del primo Novecento, e consultavo famelicamente gli esaltanti proclami dei manifesti del Futurismo, gli scritti sull’arte di Savinio e quelli di Boccioni, le discussioni tra i “vociani” e i futuristi di Lacerba; ebbene, ricordo distintamente il me ventenne che sognava di vedere riunite, a Milano, le opere dei maestri del primo Novecento, quelle su cui io mi stavo formando, ed ero allora costretto a solcare, con palpitazione e un po’ di sconcerto, uno stretto, precarissimo uscio, al tempo malamente ricavato in fondo al cortile di Palazzo Reale, tra qualche impalcatura che ne delimitava l’accesso, di quello che allora si chiamava Cimac, Civico Museo d’Arte Contemporanea, che riuniva appunto (grazie all’intelligenza dell’allora direttrice Mercedes Garberi) alcune delle opere, malamente ristrette in spazi inadeguati, provenienti dalle Raccolte d’arte milanesi, e da alcuni lasciti di collezionisti privati. E avrei dovuto aspettare fino al 2010 per vederle collocate, quelle stesse opere, nel ben ristrutturato, ma anch’esso certo non abbastanza adeguato quanto a spazi, Museo del Novecento nell’Arengario (oggi anch’esso, se Dio vuole, in fase di ampliamento). Ma non bastava, non per me, non per noi, non per Milano, città che correva a pazza corsa verso il futuro, col suo sviluppo esaltante di nuovi distretti e nuovi grattacieli e nuove aggregazioni di eventi (Salone del Mobile, Triennale, moda, gallerie d’arte, nuovi poli del contemporaneo tra Fondazione Prada e Hangar Bicocca), ma cui ancora mancava un polo che facesse da contraltare al pur felice connubio del restaurato Palazzo Reale con le sue buone esposizioni temporanee e il nuovo Museo del Novecento che racchiudeva in uno spazio bello, e ben ristrutturato da Italo Rota, ma ancora un po’ asfittico, le raccolte comunali di arte del primo e secondo Novecento.

Ed ecco, allora, parallelo a quello, il sogno di Franco Russoli di realizzare appunto una “Grande Brera” che riunisse in un solo, ampio ambito (com’è ad esempio, fatte le debite differenze, la berlinese “isola dei musei”), Pinacoteca, Biblioteca Braidense, Orto Botanico, e, acquistato ai tempi ad hoc dallo Stato, il settecentesco Palazzo Citterio, che avrebbe dovuto testimoniare la presenza delle opere d’arte, imprescindibili, del primo Novecento, già salvate e in parte esposte, in spazi però ristretti e poco godibili, all’interno della Pinacoteca, provenienti dalle Collezioni Jesi e Vitali, e del contemporaneo più stretto: e fu dunque, anche quello, un eterno aspettare, cui pure i precedenti direttori della Pinacoteca, primo fra tutti James Bradburne, si sono dedicati a lungo.

Angelo Crespi

Oggi, dunque, felicemente, con la nuova direzione di Angelo Crespi, e una volontà politica di portare alfine a termine il lavoro, il sogno e le aspettative sono diventate realtà. Palazzo Citterio, a poche centinaia di metri dalla Pinacoteca, finalmente aperto, con un restauro magistrale, raffinato e non invasivo, sale ordinate, seppure non amplissime ma splendide, razionali e luminose, un allestimento minimalista e rispettoso della storia del palazzo e delle opere realizzato dallo studio di Mario Cucinella, uno spazio ipogeo, ristrutturato da James Stirling negli anni Ottanta, atto a contenere il contemporaneo, oggi aperto con intelligente intuizione del direttore in collaborazione con la Gnam di Roma con le opere di Mario Ceroli, maestro indiscusso ma non scontato della nostra storia più recente, e infine un ultimo piano, degnamente dedicato proprio alla storia di questo sogno di rivitalizzare e storicizzare un quartiere come Brera, per troppi anni lasciato in mano ai baretti acchiappaturisti, alle bancarelle, alle fattucchiere, e invece oggi riportato, con questa lungimirante operazione, al suo rango di storico collettore di energie e di creatività, d’intelligenza, di bellezza e di storia con la Pinacoteca, l’Orto Botanico, l’Accademia col suo crocevia tutt’ora vivo e pulsante di studenti e il lascito ancora vivo, quasi sensorialmente attivo, degli artisti, da Fontana a Manzoni a tutti i protagonisti del fervore artistico e culturale degli anni Cinquanta riuniti intorno al Bar Giamaica, agli storici colorifici tutt’ora attivi dei fratelli Crespi e di Pellegrini (e, poco più in là, in corso Garibaldi, oggi, anche la rinata Casa degli artisti, un tempo spazio occupato e autogestito da un gruppo di artisti, capitanato da Luciano Fabro e Hidetoshi Nagasawa, oggi riportato alla sua storica vitalità con progetti che coinvolgono artisti italiani e internazionali, e di recente anche gli studenti dell’Accademia, con laboratori di ricerca, d’arte, di idee): ebbene, eccolo, dunque, il sogno di Russoli finalmente fattosi realtà.

Di cui le sale di Palazzo Citterio sono il cuore vivo e pulsante, con i suoi, i miei, i nostri amati maestri primonovecenteschi esposti in bell’ordine, Morandi, Boccioni, De Chirico, De Pisis, Sironi, Savinio, Campigli, Arturo Martini, Marino Marini: quadri e sculture provenienti dalle raccolte di due collezionisti illuminati e generosi come Emilio Jesi e Lamberto Vitali, con l’aggiunta, nella collezione Vitali, di piccoli ma significativi pezzi archeologici, come idoli cicladici, ritratti romani di ambito egizio, opere tre e quattrocentesche, piccoli gioielli di un collezionista raffinato e caparbio; e ancora, non certo ultimi, pezzi di Modigliani, Picasso, Braque… e su su fino ad alcuni degli artisti che rivoluzionarono la pittura italiana nel primo dopoguerra, come Afro e Licini: una gioia per gli occhi, una felice iniezione di bellezza, di storia, di cultura visiva. Senza dimenticare piccole ma preziose “chicche”, come le celebri e splendide Fantasie di Mafai, e una parte significativa della Collezione Zavattini, con i “mini-ritratti d’artista” di appena 8×10 centimetri.

E, ad aprire le danze, al piano nobile, il magistrale e imponente Fiumana di Pellizza da Volpedo, apripista non solo iconico ma anche simbolico, denso com’è della memoria di ideali, di battaglie, di sogni di giustizia sociale e di cultura, metafora ideale di una città che si sviluppa verso il futuro ma che non deve, o almeno non dovrebbe, dimenticare le istanze di solidarietà e di giustizia sociale su cui si basa la sua storia e il suo senso più autentico e più profondo.

La Grande Brera è arrivata al traguardo, dunque, finalmente, grazie ad Angelo Crespi, e grazie anche al lavoro dei suoi predecessori, ma oggi arrivato a compimento non solo per la volontà politica di chi l’ha sostenuto e la tenacia del direttore, ma anche per la capacità dello stesso Crespi, raffinato intellettuale oggi rivelatosi anche ottimo manager, di attrarre energie private in un virtuoso connubio con il pubblico, con la creazione di quel “circolo di mecenati” che andrà ora a costituire il consiglio consultivo, che si riunirà tre volte l’anno per progettare, insieme ad artisti, curatori ed esperti del settore, linee e prospettive per il futuro, con gli amministratori delegati e presidenti di grandi compagnie e di fondazioni bancarie come (tra gli altri) Banca Ifis, Pomellato, Bmw Italia, Swarovski Italia, PwC: segno di una politica culturale non buona, ma ottima, che non è la politica culturale delle inutili ciance su un’ “egemonia” politica da sostituire ad un’altra, ma di intuizione, pragmatismo, intelligenza del fare, buone mostre, operatività ed efficienza, oltre che di studio, cultura, apertura, inclusività e lungimiranza.

Viva la Grande Brera, allora, viva chi l’ha voluta, Angelo Crespi, buon direttore delle cose finalmente portate a buon fine, e chi dietro le quinte, con caparbietà e intelligenza, ha lavorato per portare ai milanesi un nuovo, eccellente polo di musei, d’arte, di cultura.

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