“Io non dipingo ciò che vedo, vedo ciò che dipingo. Sono giunto a questo. Dopo venticinque anni di pratica quotidiana, ogni giorno ho dipinto, anche quando non l’ho fatto fisicamente ero nella pittura”
In queste parole di Mirko Baricchi è sintetizzata l’identità espressiva non solo della sua ricerca, ma anche del suo essere artista sempre: un’esigenza espressiva, un bisogno, una necessità del dipingere, che non scende a compromessi e con il quale ci si relaziona, si instaura un rapporto imprescindibile di dialogo, di confronto – scontro.
Abbiamo intervistato Mirko Baricchi presso il suo studio nella campagna veneta: un luogo affascinante, immerso nella natura, quella natura che è divenuta protagonista delle sue opere, anche se come ci spiega lo stesso artista, il soggetto pittorico è un pretesto, non è vincolante e non si rende indispensabile nel suo estendersi al reale.
Prima erano determinanti alcuni “attori” come Pinocchio, la lepre o la casa: il primo una sorta di alter ego, mentre la lepre, proveniente da una dimensione alchemica, è simbolo di libertà ed indipendenza, o come ci suggerisce Joseph Beuys: “Figura che passa liberamente da un livello di esistenza all’altro, che rappresenta l’incarnazione dell’anima o la forma terrena di esseri spirituali con accesso ad altre regioni”. Ecco che queste presenze, così come “il mondo di natura”, il paesaggio divengono iconografie allegoriche, apparizioni sempre riferite a un modo per poter predisporsi all’atto della contemplazione, della riflessione e del silenzio, che precede la completa immersione all’interno di quella sottile linea che vive tra spazio e tempo, che consente di rendere visibile ciò che non lo è.