La sfida agli stereotipi di genere di Niki de Saint Phalle al Mudec

“Ho 14 anni e non sono pronta a diventare madre”. Sono le parole riportate su una litografia realizzata da nel 2001 Niki de Saint Phalle. Sono passati 23 anni e queste parole non potrebbero essere spaventosamente più attuali. Realizzata negli Stati Uniti durante la politica di George W. Bush, con questa litografia dal titolo Abortion – Freedom of Choice, Niki de Saint Phalle prende posizione affermando la libertà di scelta della donna, sempre e comunque.

Niki de Saint Phalle ph Carlotta Coppo

La mostra al Mudec è la prima retrospettiva in un museo civico italiano. Aperta fino al 16 febbraio 2025, racconta la storia di Niki de Saint Phalle, dei suoi obiettivi personali in quanto donna e artista, come lei stessa amava definirsi. Conosciuta principalmente per il Giardino dei Tarocchi a Garavicchio, in Toscana, Niki era prima di tutto una femminista, portavoce delle minoranze, e Lucia Pesapane, la curatrice, in collaborazione con Niki Charitable Art Foundation, lo restituisce appieno in questa antologica.
Attraverso un discorso inclusivo, assolutamente non gerarchico e non eurocentrico, le sue opere urlano al cambiamento, non solo ricercato e desiderato ma anche e soprattutto necessario per la costruzione di un benessere comune, benessere che ai discriminati e ai diversi è sempre stato negato.

“Ero una giovane donna arrabbiata, ma ci sono molti giovani uomini e donne arrabbiati che non diventano artisti. Sono diventata un’artista perchè non avevo scelta, non avevo bisogno di prendere una decisione. Era il mio destino” Queste sono le parole di una rivoluzionaria che da sempre sapeva quale sarebbe stata la sua strada.

Niki de Saint Phalle phCarlotta Coppo

Si tratta sicuramente di una delle artiste che ha sfidato maggiormente gli stereotipi di genere. Niki de Saint Phalle (Neuilly-sur-Seine, 1930, La Jolla, 2002) è vissuta in un’epoca di grandi cambiamenti sociali e artistici, come il movimento femminista degli anni ’60 e ’70 che non solo influenzò il suo lavoro ma la cui ideologia divenne fondamentale, per la sua ricerca artistica ma anche per la sua vita, in quanto donna e cittadina. Impossibile non citare anche il movimento artistico del Nouveau Réalisme, di cui Niki fu una delle maggiori esponenti.

In Italia purtroppo, de Saint Phalle non è ancora riconosciuta come una delle più grandi artiste del XX secolo, alla stregua dei suoi colleghi uomini del Nouveau Réalisme, come Yves Klein e Arman, la cui fama anche nel nostro paese è indiscutibile. Per questo motivo la mostra al Mudec è così importante all’interno del contesto italiano, può infatti rendere giustizia e visibilità a una delle più illustri artiste del mondo contemporaneo. 

Secondogenita di un’aristocratica dinastia di banchieri, si trasferisce in tenera età a New York con la famiglia, dove frequenta le scuole pubbliche dopo essere stata espulsa dal collegio cattolico per aver dipinto di rosso le foglie di fico delle sculture della scuola. I genitori considerarono addirittura le cure psichiatriche, quando si trattava semplicemente di una ragazza costretta a vivere all’interno di un clima familiare violento e oppressivo, tant’è vero che un fratello e una sorella di Niki si suicideranno nella prima età adulta.

Niki de Saint Phalle phCarlotta Coppo

Costretta fin da bambina a una vita tutto tranne che spensierata, saranno i viaggi in Europa col giovane musicista e scrittore Harry Mathews, che diventerà presto suo marito, a farla innamorare della forma espressiva dell’arte, attraverso le visite ai musei francesi e spagnoli e ammirando le facciate della cattedrali gotiche, oltre a far tesoro delle forme artistiche africane e precolombiane. Ma è solo nel 1953 che, dopo il grave esaurimento nervoso, Niki capisce il vero potenziale dell’arte, come forma di ribellione oltre che di racconti personali. Sarà il marito a convincerla a entrare a 22 anni in una clinica specializzata dove, secondo la medicina del tempo, le vennero praticati elettroshock e insulino-terapia, per contrastare il pensiero al suicidio che la tormentava. È in questo periodo della sua vita che concepisce l’arte anche come forma terapeutica e inizia a dedicarvisi completamente. 

Niki de Saint Phalle phCarlotta Coppo

Dai primi anni Sessanta l’artista realizza un gruppo di opere denominate Cattedrali e di cui la mostra al Mudec restituisce un’ampia selezione. Si tratta di opere materiche, parte della serie Tirs (Spari), composte dai più svariati oggetti disposti su pannelli di legno, generalmente ricoperti di pittura e gesso. Niki de Saint Phalle spara al sistema ecclesiastico. Attraverso la fucilata, le Cattedrali è come se esplodessero, riversando pittura da sacchetti nascosti, che cola come sangue sul bianco immacolato della chiesa. Insieme alla serie degli Altari, anch’essi presenti in mostra, rappresentano l’anticlericalismo dell’artista, una vera e propria critica alla morale cattolica da lei ritenuta falsa e bigotta.

Si tratta di una dununcia verso la chiesa più che verso Dio, come lei stessa ha affermato: “Non ho mai sparato su Dio. Lo trovo molto difficile e molto attraente. Io sparo sulla chiesa”. In questa sezione espositiva, una delle prime che incontriamo secondo il percorso, è interessante la presenza di un video. Il filmato girato nel 1961, della durata di 41 secondi, ritrae l’artista nell’atto di sparare alle proprie opere. In questa azione così potente, sembra quasi di assistere a un’esecuzione, in cui messo a processo è finalmente chi ha sempre deciso per la vita o la morte degli altri: la chiesa. Dal titolo Peinture au revolver, Ah Jeunesse (Pittura con rivoltella, Ah Gioventù), il video si compone di immagini più che d’impatto, in cui Niki de Saint Phalle distrugge i simboli che rappresentano il potere della chiesa come a dire che adesso ha lei il “fucile” dalla parte del manico. Si tratta di “un grido di rabbia contro tutti gli orrori commessi in nome di qualsiasi religione”, ha annunciato l’artista. 

Niki de Saint Phalle phCarlotta Coppo

Parlando di Niki de Saint Phalle non si possono non citare le famose Nanas, sue sculture più celebri e dalle variegate dimensioni. È alla fine degli anni Sessanta che l’artista inizia la produzione di queste figure femminili dai lineamenti morbidi e sinuosi, portando avanti una diversa visione del corpo della donna, lontana dai canoni estetici tradizionali. Le Nanas sono fiere delle proprie curve e del proprio corpo, sono “la versione pop della Grande Madre dei miti arcaici – spiega la curatrice – moderne Veneri di Willendorf dal corpo abbondante che si espande in una gravidanza cosmica.”

Celebrando il diritto all’uguaglianza di genere, le Nanas manifestano la necessità di costruire una nuova società matriarcale. Impossibile fermarle, impossibile fermarci, il cambiamento è già in atto e non potete farci niente, sembra quasi di sentire urlare l’artista. Tra le Nanas più imponenti in mostra vi sono certamente Le tre Grazie, realizzate tra il 1995 e il 2002, colte nella celebre danza che le contraddistingue. Le sculture, ricoperte da un mosaico di specchi, creano giochi di luce sulle pareti e sul soffitto del museo, rendendo ancora più scenografica la fruizione. 

Tra le numerose Nanas un’importante serie è composta da Nanas nere. Il tema della discriminazione razziale è sempre stato caro all’artista e Niki non è certo rimasta in silenzio. Cresciuta a New York, in un’epoca in cui la segregazione razziale era accettata, Niki de Saint Phalle esprime la sua vicinanza alla comunità afroamericana attraverso diverse opere, tra cui NO! della serie Remembering (1997). Il pugno nero con le unghie laccate di rosso di quest’opera, riassume decenni di battaglie per i diritti civili, gesto emblematico che si è fatto anche portavoce del movimento Black Lives Matter che dal 2013, come un uragano, ha riportato l’attenzione sulle discriminazioni di ogni genere che, inconcepibilmente, esistono ancora oggi. 

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