“La vergogna è il sentimento centrale della nostra epoca, il significante di nuove lotte”, scrive Frédéric Gros in Shame is a Revolutionary Feeling, dove analizza questo sentimento come motore di riforma e di ribalta, come fondamento di qualunque rivoluzione. È solo quando ci vergognamo di condizioni così ingiuste da non poter essere ignorate che nasce in noi il germe della sovversione, non solo la volontà ma anche la necessità di un cambiamento radicale.
Ed è proprio da questo concetto che Chiara Nuzzi e Gabriella Rebello Kolandra, hanno sviluppato il progetto che porta lo stesso nome del volume di Gros. Il 14 novembre 2024 le curatrici hanno infatti organizzato una giornata dedicata alle pratiche performative, ponendo in dialogo le ricerche di cinque giovani artiste e artisti, da poco diplomati all’Accademia di Belle Arti di Brera. In occasione del decimo anniversario del Comitato Fondazioni, Shame is a Revolutionary Feeling ha preso luogo negli ex spazi industriali di Fondazione ICA Milano – Istituto Contemporaneo per le Arti, realtà privata no profit alla cui base vi è da sempre uno spirito di ricerca e intensa sperimentazione.
Raffaele Greco (Giarre, 1994), Federica Mariani (Milano, 2000), Martina Rota (Bergamo, 1995), Aronne Pleuteri (Erba, 2001) e Sabrina Zanoli (Brescia, 2000), i cinque artisti emergenti, pongono in dialogo le loro personali ricerche, attraverso un discorso che da individuale diventa collettivo, grazie al forte sentimento di socialità e condivisione. La potenza del progetto sta infatti nella presenza di un discorso comune, il cui punto di partenza è il proprio corpo, nonostante ogni artista abbia un suo specifico focus e un singolare mezzo d’espressione. Nel contesto contemporaneo in cui bisogna puntare all’abbattimento dell’altro per poter aspirare al raggiungimento dei propri obiettivi, questi artisti decidono invece di approfondire l’aspetto relazionale dell’arte, evidenziandone il potenziale generativo, come unico sistema per una produzione artistica sincera e per un benessere comune.
Interessante è l’approccio innovativo che è stato adottato per le performance, in pieno stile ICA. I limiti spaziali sono stati aboliti a favore di interventi che non si limitavano alle mura degli spazi interni. I corridoi, le sale, le scale e anche il cortile, sono diventati il palcoscenico delle performance, dove il pubblico diveniva parte integrante delle opere. Fondamentale è stata la relazione con gli spettatori, coi quali alcuni artisti dialogavano durante i loro interventi.
Da non sottovalutare è anche l’importante relazione che c’è stata tra gli interventi performativi e le mostre in corso presso la fondazione. L’artista Sabrina Zanolini per esempio, dialoga perfettamente con la personale di Stefano Graziani, esposta al piano terra degli spazi di ICA, così come con quella di Tomoo Gokita al primo piano. Con la sua performance Senza titolo, Zanolini si mostra al pubblico come fosse una guardia museale o una guida che controlla visitatori e opere, vagando tra le stanze. Indagando le dinamiche di potere in cui sono inserite persone e oggetti, l’artista diventa una sua controfigura, utilizzando la finzione della guardia, mostra come la presenza di un’autorità a cui siamo subordinati sia socialmente accettata.
La performance di Federica Mariani, in collaborazione con Emma Dotti, è un reclamo all’autodeterminazione del proprio corpo, un grido collettivo a favore della libertà di scelta. Si tratta di un intervento femminile a più voci, in cui le ragazze che vi hanno preso parte diventano donne sofferenti, spaventate, che si disperano di fronte a un pubblico silente, niente di più simile a quello che succede nella società patriarcale di oggi. Morì per troppi medici è il titolo scelto da Mariani, in cui dopo aver recuperato in antichi trattati occidentali alcuni gesti considerati abortivi, storicamente prescritti sotto consiglio medico, li fa compiere alle performer. È così che vediamo le ragazze prendersi a pugni in pancia, saltare sul posto, correre, respirare affannosamente, accasciarsi al suolo, starnutire ripetutamente per poi concludere la performance disperdendosi nella stanza ed ammirare le opere di Gokita, portando avanti anche in questo caso una connessione con l’artista in mostra.
Anche l’indagine di Martina Rota riguarda il corpo delle donne, nello specifico in Dirty Sweat si concentra sul piacere femminile come strumento di rivendicazione politica e personale. L’orgasmo diventa quindi mezzo rivoluzionario, dispositivo potentissimo atto al cambiamento. La testa, la pianta dei piedi, i seni, il bacino, fanno immergere la performer in una condizione di piacere che viene condiviso con chi la osserva. È come se il corpo delle donne rivendicasse il diritto a provare piacere alla stregua di quello degli uomini, aprendo il discorso a una realtà molto più ampia di disuguaglianze di genere e mancati diritti.
Dal carattere fortemente storico-popolare è la performance di Raffaele Greco con il collettivo Compagnia Gerunda e la collaborazione dei musicisti della Banda degli Ottoni a Scoppio. Dal titolo Zona render ad alto rischio, la performance approfondisce le dinamiche della rappresentazione di specifici luoghi e comunità. Al pubblico viene fatto stipulare un contratto mentre lo si accompagna fuori dalle porte della fondazione al cui interno resta solo la banda che suona una musica popolare, Visto che: El me Gatt (Visto che: Il mio gatto). Non si riesce più a vedere quello che succede all’interno, le porte vengono chiuse, la musica continua a suonare, c’è chi canticchia, chi balla, chi non capisce. L’impressione è quella di assistere a un corteo, una rivoluzione che non si vede, come se ci fosse un cambiamento in atto di cui tutti sono consapevoli ma a cui nessuno veramente prende parte.
Anche la performance di Aronne Pleuteri prende luogo fuori dalle sale di ICA, si attiva infatti nel cortile dell’edificio. Pleuteri in Guida rapida alla filosofia della storia indaga la nozione di dromologia, la scienza della velocità, ispirandosi alle radicali teorie sul concetto di incidente ideate dal filosofo Paul Virilio, che sviscerò il significato del termine fino a capovolgerlo. Un uomo gira per il cortile della fondazione sulla sua piccola motocicletta seguendo le indicazioni delle luci che proietta sul terreno: STOP ACCELERA STOP ACCELERA STOP, continua a leggere davanti a sé e a eseguire a comando.
Shame is a Revolutionary Feeling propone uno sguardo attento all’arte performativa, nello specifico nei confronti delle nuove generazioni, che si pongono l’obiettivo di una trasformazione collettiva, un cambiamento che può avvenire solo con l’unione e mai con una concezione egoriferita e separatista.