Le opere d’arte hanno scandito il passare del tempo divenendo le autentiche icone dell’umanità e la presenza dei capolavori ha segnato la rilevanza dei differenti periodi storici. Lo stesso Novecento ne annovera alcuni, pur nel clima dissacratorio delle Avanguardie storiche. L’incredibile scultura Forme uniche della discontinuità nello spazio di Umberto Boccioni, riprodotta sulle monetine da 20 centesimi, la dissacratoria Fontana di Marcel Duchamp, un’urinatoio riqualificato ad opera d’arte, i tagli, i fori slabbrati delle Fine di Dio di Lucio Fontana, la Merda d’Artista di Piero Manzoni, datata 1961 e anticipatoria della temperatura del Sessantotto, oggi non hanno bisogno di ulteriori spiegazioni sulla loro natura e significato, assorbite progressivamente dal senso comune.
Naturalmente ci sono molte altre opere iconiche nella storia e Viandante sul mare di nebbia (1818) di Caspar David Friedrich è sicuramente una di queste, divenuta l’immagine del Romanticismo per antonomasia. Il 2024 è l’anno di Friedrich, nel suo 250mo anniversario della nascita, protagonista della grande mostra allestita al Metropolitan di New York titolata The Soul of Nature (Lo Spirito della Natura) e chiusa lo scorso 11 maggio. Una delle ragioni per cui nel Viandante ci si riconosce con facilità è che ognuno di noi ha attraversato, pur in modi differenti e più o meno consapevoli, il proprio momento romantico del primo amore, delle faticose e rimpiante poesie notturne, dell’instabilità sentimentale da abbandono. Ma si possono citare infiniti spunti in cui si combinano le tematiche della solitudine dell’uomo e le sensazioni di personale e universale pur senza riuscire a definirne i contorni, accettando di venire sballottati tra un sentire e l’altro, più o meno consapevoli di vivere un momento di crescita nella dimensione del dolore.
Friedrich s’immedesima nella natura come unità cosmica e totalizzante, vissuta come categoria dello spirito. Molto si è detto e scritto sull’artista, ma soprattutto nel recente passato, nel tentativo acefalo di attualizzare la storia, vengono attribuiti significati alla sua poetica lontani dal suo sentire, così come rappresentato con chiarezza nelle opere. Lo spaesamento di Friedrich, il suo farsi penetrare consapevolmente, sono derivazioni dirette dello Sturm und Drang, tradotto nei modi più svariati (al corrente “Sconvolgimento ed impeto” preferisco il forse meno noto ma preciso anche etimologiamente “Tempesta ed impeto”, fino al più estremo ma fascinoso “Tempesta e assalto”) ma comunque sempre gravido di energia, fino al punto di farsi travolgere dai propri impulsi. Ma si tratta sempre di sensazioni scaturite e contenute dalla consapevolezza, dal desiderio mirato di farsi straziare dai sentimenti, applicandosi con minuzia perché ciò avvenga in poesia, in pittura, in letteratura: è della Weltanschauung che si parla, della propria concezione del mondo e della vita.
Il Viandante di Friedrich non manifesta affatto fragilità come spesso si legge, la sua postura è bilanciata, sicura, il suo sguardo domina oltre le nuvole, il suo spirito sorvola le umane traversie pur facendosene carico, la situazione appare travolgente ma sotto controllo, pronta per trasmettere tutta la forza da cui farsi poi attraversare, vibrando, magari vacillando dentro, ma sempre con la volontà che questo produca pensiero, che sia scaturigine del sentimento della natura, del tempo, della storia. Il Viandante soffre di sehnsucht, quel senso di struggimento indefinibile che il romantico prova dinanzi alla maestosità della natura, di fronte all’inafferabile che conduce al sublime e quel che ne trae è una sensazione inebriante, spaesante, una vertigine interiore che tocca tasti sconosciuti. La figura che si staglia è assoluta, comunica l’idea estetica del sublime attraverso i significati reconditi della natura, assorbiti con la coscienza della propria finitudine rispetto alla loro invincibile potenza, ma pur sempre con quella misura interiore che diviene irrinunciabile per riuscire ad accettare il confronto con la morte, agognando allo stesso tempo una speranza di salvezza. Attori quindi della propria storia, pur consci dell’enorme difficoltà della sfida. La figura di spalle giganteggia ieratica: è sola e la sua solitudine suggerisce una scelta: non subìta, quindi, ma anzi cercata in modo che la violenza della natura penetri in profondità, attraversi il nostro essere squassandolo senza la possibilità di esorcizzarlo con la condivisione: la morte, il mistero, la sorte non si affrontano nella moltitudine.
Friedrich morirà in miseria, il suo racconto sarà troppo avanti rispetto al proprio tempo per potersi uniformare al realismo imperante, troppo colta la sua sfida orientata verso profondità abissali. Ma se si vuole cogliere appieno la sua natura incendiaria, lontana anni luce da presunte fragilità, è sufficiente un rapido colpo d’occhio al suo ritratto datato 1808, realizzato da Gerhard von Kügelgen e attualmente esposto alla Kunshalle di Amburgo: lo si osserva indomito, lo sguardo fiero, gli occhi fiammeggianti.
Sincronizzandosi con le tematiche care a Friedrich, assimilandone le vibrazioni, facendosi sedurre dalla profondità, rispondendo così in modo compiuto allo Zeitgeist, lo spirito del tempo, anche oggi ci si può far travolgere consapevolmente raggiungendo analoghe profondità, cogliendo gli stessi dettagli e mantenendo lo stesso sguardo.