Le diable au corps, la nuova pittura italiana tra paura e desiderio

A Canneto sull’Oglio, comune posto sulla riva sinistra dell’Oglio in prossimità del Naviglio, in passato terra di confine tra i domini dei Gonzaga e della Serenissima, esiste uno spazio di archeologia industriale dalle dimensioni museali, storicamente dedicato all’arte contemporanea. Si tratta di BonelliLab, la sede originaria della Galleria Giovanni Bonelli che ora ha preso luogo nel quartiere Isola di Milano. E di carattere museale è la grande collettiva che ne ha riaperto le porte ad Aprile, dal titolo “Le diable au corps”, a cura dei critici, esperti di pittura italiana, Daniele Capra e Massimo Mattioli.

Li abbiamo qui intervistati per conoscere le motivazioni profonde e le istanze che hanno portato alla nascita di questo progetto espositivo, dalla lunga gestazione, che rimarrà visitabile fino alla fine di Ottobre 2024.

La mostra “Le diable au corps”, che avete curato presso BonelliLAB, riunisce dodici artisti della scena italiana che riflettono sul tema dell’erotismo e del desiderio amoroso attraverso una pluralità di espressioni pittoriche che trascendono la pura mimesi figurativa. In che modo avete effettuato la selezione delle opere e degli artisti in mostra?

Daniele Capra: È stato un lungo processo poiché abbiamo cominciato a ragionare sulla mostra con Giovanni Bonelli già da dicembre del 2022. Sin da subito abbiamo scelto il corpo e il desiderio come punti di partenza per sviluppare il progetto, cui è seguita la decisione di affidarci esclusivamente alla pittura figurativa per la sua centralità nel discorso odierno, ma anche per la sua immediatezza. Poi, dopo varie discussioni, abbiamo optato per un taglio generazionale in modo di essere più diretti e precisi. Circostanziare anagraficamente l’esperienza è stato anche un modo per rendere la mostra più leggibile per il visitatore. Inoltre dall’autunno abbiamo lavorato molto con gli artisti e va detto che sono stati incredibilmente capaci di cogliere la particolare situazione emotiva e visiva che ricercavamo. Una mostra come Le diable au corps è infatti il prodotto della sincronia tra articolate complessità di visione. C’è il corpo, c’è il desiderio che ciascuno restituisce in immagine in forma personale, ma c’è un forte senso partecipativo, rafforzato dal fatto che tutti gli artisti vivono/praticano la pittura.

Giulio Catelli Sul terrazzo 2024 olio su tela cm 200×120

Le opere in mostra testimoniano la presenza di una generazione di artisti emergenti, nati tra gli anni Ottanta e Novanta, che utilizzano la pittura secondo tecniche, formule e metodi diversi per esprimere un argomento così intimo ed esistenziale. Credete che si possa ancora parlare oggi di gruppi o scuole regionali? Potete rintracciare tratti o stili ricorrenti nell’uso del linguaggio pittorico?

Daniele Capra: L’estrema frammentazione del linguaggio e l’assenza di una prospettiva ideologica collettiva è una caratteristica tipica della nostra epoca. A questo molti artisti reagiscono inseguendo delle mode o dei generi che sentono affini, mentre altri – forse i più interessanti – cercano delle soluzioni indagando intimamente le proprie ossessioni e i propri temi. Ciononostante è innegabile che nel nostro paese stiano emergendo molti artisti che praticano la pittura, che si sono formati all’Accademia di Venezia, e in particolare presso i corsi dell’Atelier F, da cui provengono molti degli autori in mostra. Sarebbe però scorretto leggere tale fenomeno su una base di natura stilistica, poiché invece è di carattere metodologico e relazionale. E questo, nel panorama internazionale, è una vera novità.

Chiara Calore Pussy Kitty 2024 olio su tela cm 180×200

Il corpo, desiderato e desiderante, è soggetto e oggetto principale delle opere di questi autori. A partire dalle avanguardie del Novecento, sono scaturiti nuovi ideali e nuovi modi di sentire e percepire il corpo. Nietzsche da un lato e Freud dall’altro (con la pubblicazione del libro “L’interpretazione dei sogni” citato anche da Mattioli nel suo testo in catalogo) hanno dato inizio a quella emancipazione rispetto al sentimento di mortificazione del corpo, mettendo in discussione i concetti di vergogna e pudore. Dalla loro riflessione possono prendere avvio le poetiche di artisti come Klimt e Schiele, Dalì e Grosz, Modigliani e Man Ray, per arrivare a Balthus, Francesco Clemente e Lucian Freud. Come rappresentano il corpo gli artisti selezionati in mostra e quali istanze, in particolare, avete voluto rappresentare?

Daniele Capra: Il romanzo di Raymond Radiguet è una sorta di contenitore emotivo, che ha avuto per noi e gli artisti la funzione di rendere esplicito un atteggiamento libero, anticonformista e di sfida nei confronti del desiderio e del piacere. Con alcuni artisti abbiamo discusso spesso delle vicende del libro, ma non vi sono rapporti diretti coi personaggi e la narrazione. La mostra sonda dal punto di vista espressivo e psicologico il corpo nelle sue capacità di generare immagini, sogni e voglie conturbanti. Tale complessità si può cogliere nell’intimità del piacere personale immaginato da Romina Bassu o nella delicata provocazione della pelle che appena si sfiora di Adelisa Selimbašić. Nella malinconia dei ragazzi di Giulio Catelli e negli abbracci degli amanti in caduta di Olga Lepri. Nei dettagli erotici floreali di Paolo Pretolani e nei riti amorosi collettivi di Sabrina Annaloro. Nelle mani smaniose di contatto di Flaminia Veronesi e nell’imperturbabile distanza delle icone di Davide Serpetti. Negli uomini sospesi di Nicolò Bruno e negli sguardi tormentati dei volti di Nebojša Despotović. Nell’incontenibile accostamento di micronarrazioni di Chiara Calore e nelle scene orgiastiche di Maria Giovanna Zanella.

Olga Lepri Labisso che è in te 2024 olio su tela cm 185×120

Oggi viviamo in un’epoca virtuale, in cui è ulteriormente cambiato il valore attribuito al corpo e alle pulsioni. Il grande sociologo Zygmunt Bauman ha descritto questo nuovo approccio nel suo volume “Consumo, dunque sono”: viviamo nella ‘società dei consumatori’, il cui valore principale risiede nella continua ‘ricerca della felicità’, una felicità immediata che non proviene solo dall’appagamento dei desideri bensì dalla loro quantità e intensità, e il corpo, perfetto e giovane, è il tramite per ottenere godimento e piacere. Sempre online sono sempre più frequenti fenomeni come body shaming, cyber bullismo, sextortion, sexting e altri ancora. Credete sia un tema con il quale oggi gli artisti contemporanei possano rapportarsi?

Massimo Mattioli: Questi aspetti non sono entrati tematicamente nella mostra, ma di certo la nostra condizione attuale, anche in maniera inconsapevole, determina il clima in cui siamo immersi e orienta le nostre sensibilità. Lavorare a questa mostra, confrontarci con questo nucleo di giovanissimi nel pieno della loro ricerca di identità, non più ragazzi ma non ancora pienamente padroni della propria personalità, ci ha messi davanti a inattese scoperte. Una delle più forti, almeno per me, è che per questa generazione lo shock del Covid ha avuto un impatto ben maggiore di quel che si pensi. Credo che il forzato isolamento li abbia allontanati dai fenomeni che comportano ingaggio ‘sociale’, come questi che tu citi. E li abbia piuttosto spinti a concentrarsi su se stessi, sulle proprie necessità, sui propri dubbi. E in loro come pittori abbia prodotto una sorta di azzeramento, alla fine virtuoso. Nessun riferimento univoco al passato, assenza di un centro nelle composizioni, un melting pot creativo affatto nuovo, che supera le categorie di astratto, figurativo, narrativo, simbolista

Romina Bassu Aderenza 2024 acrilico su tela cm 100×80

La mostra è accompagnata da una pubblicazione con i vostri testi critici, scritti secondo modalità narrative completamente differenti. Daniele Capra ha voluto seguire un approccio più filosofico, che riflette su temi quali il desiderio, il corpo e l’immagine, mentre Massimo Mattioli ha costruito un racconto a più voci che sembra ricalcare la narrazione dell’omonimo romanzo “Le diable au corps” di Raymond Radiguet che ha ispirato il titolo della mostra. A Daniele chiedo di sintetizzarmi le conclusioni critiche a cui è giunto con il suo saggio mentre a Massimo chiedo innanzitutto chi sia Carlo, il protagonista della sua storia e come mai abbia scelto questa modalità dialogica e narrativa per descrivere e approfondire le opere degli autori.

Daniele Capra: Nel mio testo ho cercato di raccontare come il desiderio sia un ‘dispositivo’ che nasce nel corpo ed è generato dalla mancanza e dalla necessità. Viene costantemente solleticato dalle immagini dei corpi, come anche la pittura dei nostri giorni suggerisce, con un livello di complessità sconosciuto alle rapidi immagini da social network. Il desiderio è un impulso ineludibile, finalizzato alla scoperta dell’identità individuale. Ed è di frequente una messa in discussione dello status quo, poiché contribuisce ad allargare le strade che la società ritiene percorribili. Il desiderio è una forma di anarchia che ci modella, quasi plasticamente. Deforma, accresce, leviga, comprime, indurisce o scioglie.

<em>Nicolò<em> Bruno Scirocco 2024 olio su tela cm 150×205

Massimo Mattioli: Io invece ho fatto una scelta stilistica differente. Da qualche tempo ho iniziato a domandarmi se la modalità classica del testo critico fosse sincrona con i tempi attuali, in cui purtroppo si dedica sempre meno tempo alla lettura e vince la velocità. Allora ho provato a mischiare le carte: piuttosto che un compassato saggio con dotte citazioni pensate prevalentemente per gli addetti ai lavori, ho scelto di scrivere un dialogo fra due immaginari personaggi, dalla cui interlocuzione emergono spunti critici e risposte sui contenuti della mostra. Nella convinzione – infondata forse? – che questo approccio possa coinvolgere maggiormente il lettore, anche per il linguaggio colloquiale utilizzato. Chi è in questo caso Carlo? Sarebbe facile, e anche banale, dire che io stesso mi identifico in lui. Direi piuttosto che lui sia una sorta di Virgilio, il saggio che tutti noi desidereremmo avere vicino  per ottenere risposte e verificare le nostre convinzioni…

Adelisa Selimbašić Ventaglio olio su tela 2024 cm 111×91

Mi indichereste uno o più motivi per cui il pubblico dovrebbe visitare la mostra “Le diable au corps” presso BonelliLab?

Massimo Mattioli: Perché non incontrerebbe solamente una selezione di opere importanti ordinate in una mostra: a Canneto il visitatore trova un’operazione culturale strutturata. Perché alla base del progetto c’è come detto un romanzo, e questo fornisce al visitatore un filo conduttore che lo può aiutare a entrare più a fondo nelle modalità espressive dei diversi pittori. E poi perché le linee che ci hanno guidati nella selezione degli artisti configurano un nucleo che riesce a dare un’immagine alquanto verosimile di quanto accade in una generazione creativa chiave come quella dei 25/40enni. A prescindere da storie personali, da proiezioni del sistema dell’arte o da collocazioni sul mercato. Inoltre visitando la mostra si scoprirebbe un luogo ricco di magia, uno di quei piccoli paesi (Canneto sull’Oglio) pieni di risorse che ben figurerebbe in un libro di Mario Soldati. E poi, perché no, la mostra andrebbe vista perché noi curatori, col team della galleria, ci abbiamo lavorato quasi due anni!

Le diable au corps, a cura di Daniele Capra e Massimo Mattioli

Bonellli Lab, Via Camillo Benso Conte Di Cavour 29, Canneto sull’Oglio

artisti in mostra: Sabrina Annaloro, Romina Bassu, Nicolò Bruno, Chiara Calore,  Giulio Catelli, Nebojša Despotović, Olga Lepri, Paolo Pretolani, Adelisa Selimbašić, Davide Serpetti, Flaminia Veronesi, Maria Giovanna Zanella

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