intervista di Paola Martino
L’acciaio, nella sua apparente rigidità, diventa sotto le mani dell’artista un tessuto leggero che cattura la luce e l’essenza del movimento. Le sculture di David Begbie sembrano sospese tra il fisico e l’invisibile, come se il metallo potesse respirare, trasformandosi in un ponte tra il mondo terreno e le dimensioni eteree.
Durante la Milano Fashion Week, LDR22 presenta Steel Lives, la mostra personale di David Begbie, realizzata in collaborazione con la galleria Cris Contini Contemporary e curata da Jessica Tanghetti presso l’Ex Galleria di Milano. La mostra sarà ospitata nello showroom di LDR22 in via Manin 13, Milano, fino al 13 dicembre. All’interno di questo spazio, arte, moda e design si fondono in un dialogo continuo, offrendo un’esperienza immersiva.
“Volevo decostruire la scultura. Per me la scultura era troppo solida e statica. Cercavo un materiale che avesse la sensibilità e la sottigliezza che si trovano nella pittura e nel disegno. Ed è così che sono arrivato a utilizzare questo particolare medium. Prima usavo il materiale per nascondere oggetti solidi. E poi ho capito che si poteva modellare il materiale stesso” ci ha detto lo stesso Begbie.
In Steel Lives, David Begbie tesse una trama sottile tra la tangibilità della materia e l’evanescenza dell’essenza. La rete metallica, solitamente associata alla solidità e al peso, nelle sue mani si trasforma in un velo trasparente, un tessuto di ombre e luci che danza tra il visibile e l’invisibile. È come se l’acciaio stesso avesse appreso il linguaggio del respiro, diventando capace di fluttuare, di dissolversi nell’aria, sfidando la gravità e la percezione stessa.
C’è un delicato paradosso in queste opere, un dualismo tra materialità e immaterialità, tra la pesantezza intrinseca del metallo e la sua metamorfosi in forme che paiono fluttuare come apparizioni effimere. Le sculture di Begbie sono spiritelli sospesi in un limbo tra il mondo concreto e quello etereo, come se il confine tra corpo e anima fosse talmente sottile da sfumare completamente. La rete metallica, con i suoi vuoti e pieni, diviene metafora della condizione umana: una presenza definita solo dal suo rapporto con l’assenza, un equilibrio fragile che esiste in bilico tra ciò che è tangibile e ciò che sfugge alla comprensione sensoriale.
“Mi ispiro all’arte della Grecia classica e dal Rinascimento italiano, e da artisti moderni come Rodin. E all’Italia, ovviamente, Michelangelo, Canova e Medardo Rosso. Tutti questi artisti sono riusciti a trasformare un materiale solido e statico in qualcosa di fluido, molto simile all’acqua. Io invece, ho scelto un materiale che non è solo come l’acqua, fluido e pieno di vita, ma anche trasparente perché il medium, anche se è molto sensuale, ha anche un lato spirituale molto forte. Ha davvero un carattere spirituale, ed è per questo che un soggetto come un angelo funziona così bene“
Ogni opera dunque esprime un’ambiguità ontologica: sono forme che oscillano tra l’essere e il non-essere, dense di significato ma prive di peso, come se il metallo stesso potesse scomparire alla vista e ricomporsi al solo mutare della luce.
In questa tensione tra forma e dissolvenza, si insinua una meditazione sulla transitorietà: le figure umane, scolpite con precisione, sembrano attraversare il tempo come eco di antiche divinità classiche, congelate in un istante di movimento eterno, ma sempre pronte a scomparire. La loro fisicità si rivela illusoria, un gioco tra presenza e assenza che riflette la condizione precaria dell’essere, la fragilità delle certezze, il fluire continuo della trasformazione.
“Il mito archetipo contemporaneo, della nostra cultura di oggi, è molto umano. Quindi si tratta di fisicità, perché è molto importante come vediamo gli altri e come gli altri ci vedono. Realizzo figure senza testa in modo che abbiano un forte richiamo classico e quando creo i volti li faccio separatamente perché per me rappresentano un insieme di tensioni completamente diverse. I volti e la psicologia che si ottiene dai volti è qualcosa di abbastanza separato dal nucleo del mio lavoro, che riguarda come ci vediamo l’un l’altro, come interagiamo, le nostre relazioni reciproche. La maggior parte delle figure femminili che realizzo ha una leggera mascolinità e viceversa le figure maschili hanno un qualche tipo di femminilità“
L’opera centrale, AIRWAVE Maquette, è il fulcro definitivo: una barca sospesa tra mondi, emblema di scoperta e di passaggio tra il conosciuto e l’ignoto. Realizzata anch’essa in rete metallica, galleggia su un onde invisibile, un’arca onirica che evoca il viaggio mistico che l’uomo compie nell’esplorazione di sé stesso e dell’universo.
Le carpe KOI, simboli di trasformazione e rinascita, completano questo mondo fluttuante, sfidando la gravità con la loro leggerezza apparente, come messaggere di un universo dove i confini tra il reale e il sogno si dissolvono. Le loro forme, riflettendo la luce in giochi ipnotici, ci conducono in una dimensione in cui l’acqua, fluida e mutevole, diventa l’emblema del cambiamento perpetuo, della metamorfosi continua che lega uomo e natura in un vincolo indissolubile.
In questa dimensione rarefatta, le opere di Begbie parlano di un rapporto sacro con la natura, di un dialogo continuo con l’infinito, dove l’uomo non è altro che una trama tra luce e ombra, tra materia e spirito, sospeso, come le sue sculture, in un fragile equilibrio tra l’essere e il divenire.