Tra le manifestazioni dedicate all’arte contemporanea, dal 1991 ha luogo la Biennale di Lione. Affermata con sempre maggiore risonanza negli ultimi anni, è oggi una piattaforma di sperimentazione e di confronto per la scena artistica contemporanea francese e internazionale.
Visitabile fino al 5 gennaio 2025, quest’anno l’edizione è curata dalla direttrice Isabella Bertolotti e dalla curatrice Alexis Fabre, che scelgono come titolo Les voix des fleuves Crossing the water. Una dichiarazione manifesto che si rivolge alle singole posture nei confronti dell’ambiente e del collettivo, alla luce dell’emergere di uno spirito di contestazione e di resistenza.
Les voix des fleuves Crossing the Water, con 280 opere e 78 artistә partecipanti, si svolge a Lione su un percorso che si espande rispetto agli anni precedenti. Seguendo la configurazione urbana della città, la mostra non si indirizza solo ad artistә e professionistә del settore, ma si rivolge alla cittadinanza con l’obiettivo di creare un ponte tra arte, comunità e spazi urbani.
“Quella di quest’anno è una retrospettiva legata all’identitaria vocazione della Biennale di Lione, che sino dalle sue origini promuove un modello incentrato sul proprio ecosistema regionale e territoriale” Isabella Bertolotti.
Tra istituzioni, musei e luoghi pubblici coinvolti, nove sono i suoi siti visitabili, molti dei quali terzi spazi prima inaccessibili, come il Grandes Locos: un complesso industriale, inaugurato nel 1846 e testimone di una parte della storia delle ferrovie francesi.
Come i fiumi che si intrecciano nel loro scorrere, alimentando un corrente più grande, Les voix des fleuves Crossing the water mette in relazione un numero di progetti che si interrogano sulle connessioni tra esseri viventi e ambiente. Dall’idea di rendere visibile questo dialogo, la mostra è un parallelo tra geografia naturale e urbana, che propone la lettura della città attraverso il percorso idrologico del fiume Rhône.
I corsi d’acqua sono testimoni del confluire di storie, tempo e culture. Con la volontà di riflettere sul divenire che li caratterizza, è proposta una selezione artistica eterogenea, che spazia per pratiche, età anagrafica e provenienza. Tra lә artistә, Christian Boltanski (1944, 2021, Francia), Annette Messager (1943, Francia), Jeremy Deller (1966, Regno Unito), Otobong Nkanga (1974, Nigeria), Robert Gabris (1986, Slovacchia), Lina Lapelyte (1984, Lituania), Jérémie Danon & Kiddy Smile (1994, Francia e 1988 Francia) Jesper Just (1974, Danimarca) e Grace Ndiritu (1982, Regno Unito).
Con The Blue Room, all’artista Grace Ndiritu è stata riservata una sezione del museo macLYON. L’opera è il frutto di una ricerca che coinvolge diverse collezioni di musei locali e internazionali, tra cui il Musée du Louvre, il Lugdunum Musée et théâtres romains, lo stesso macLYON e tanti altri Da ciascuna collezione Ndiritu seleziona circa cento pezzi di diversa natura, preistorici, romani, egizi, medievali, moderni e contemporanei, che ripropone in un nuovo ordine nello spazio del macLYON.
All’interno di una struttura architettonica ramificata, che ricorda un pergolato, The Blue Room invita il pubblico a creare proprie connessioni tra le opere e gli oggetti esposti, stimolando una metodologia associativa che attinge da temi di incontro e trasformazione. Tra attivismo e creazione multidisciplinare, Ndiritu invita a immaginare nuovi legami per esplorare modi differenti di percepire il tempo e comprendere le forme.
La riflessione sul come tempo e spazio siano introiettati, torna in uno dei progetti di maggiore risonanza per l’intera manifestazione. Nell’Hall 2 del Grandes Locos, Oliver Beer presenta Resonance Project (The Cave) opera audiovisiva che riceve particolare attenzione venendo considerata tra le opere a fulcro dell’edizione.
L’artista britannico espone un’installazione ad otto canali, che restituisce un lavoro di ricerca all’incrocio tra arti visive, sound design, etnografia e ritualità. Entrando nella sala, buio e freddo. La sensazione è quella di essere in un luogo sacro. Tutto è avvolto nell’oscurità fino a quando il ciclo di proiezioni, di trenta minuti, ha inizio. Sui grandi schermi compaiono visi, corpi e scorci di caverne preistoriche, accompagnate da otto canti, che nel loro intersecarsi sembrano comporne uno solo.
L’opera vede come protagonistә otto cantantә professionistә, provenienti da Haiti, Australia, Libano e Francia, a cui Beer chiede di condividere e interpretare un ricordo d’infanzia legato alla musica. Dal 2021, nella grotta paleolitica di Font-de-Gaume, in Dordogna, Beer registra i canti delle loro radici identitarie, che nell’installazione danno vita a una polifonia indistinguibile. Il lavoro dell’artista esplora il fenomeno della risonanza acustica secondo cui un’onda sonora produce a sua volta un’oscillazione, che è sempre differente in base ai luoghi con cui entra in relazione.
Dalla consapevolezza che la storia della musica occidentale abbia una tradizione legata all’egemonia imperialista, e cosciente del vuoto derivante da questo narrazione, da più di dieci anni, Beer, riflettendo sull’ideologia musicale attraverso il linguaggio della composizione, cerca di confrontare diversi modi per entrare in dialogo con il suono.
Concependo ogni spazio come uno strumento unico, con le proprie armonie, Beer parla di una dimensione porosa tra architettura, forme e suono, in cui ogni cosa può modellarsi e mutare, sebbene radicata in un’epoca, una cultura e una tempo politico specifico.
Confluenze e tensioni. La Biennale di Lione 2024 propone una selezione di opere che permette a ciascun progetto di respirare autonomamente, per cui anche la preoccupazione “di non riuscire a vedere tutto” si affievolisce. Non sembra trasparire la volontà di enfatizzare l’autorevolezza delle scelte artistiche, ma quella di favorire il dialogo tra le opere, privilegiando il confronto tra i progetti anziché il protagonismo delle singole partecipazioni. Nonostante i limiti intrinseci a festival dalla portata biennale, Les voix des fleuves Crossing the water interroga il pubblico sulle grandi problematiche del presente, invitando al confronto, piuttosto che offrendo risposte rivelatorie.