Liliana Moro, una mostra “sinestetica” al PAC di Milano

Restano ancora pochi giorni per visitare la personale di Liliana Moro al PAC di Milano: una mostra esaustiva e ragionata che ripercorre l’attività dell’artista attraverso lo strumento del suono e l’interazione con il pubblico.

Nel varcare la soglia degli spazi del PAC dedicati alla mostra di Liliana Moro, si viene subito investiti dall’opera che si potrebbe definire manifesto della poetica artistica di Moro, la quale consente un’immersione quasi immediata nel microcosmo dell’artista. Questo spazio liminale impone un confronto serrato tra sé stessi e l’installazione, non lascia alternativa alla compenetrazione: tutti i sensi sono appagati, la vista attraverso una gigantografia del paesaggio milanese di via Breda, l’udito con la diffusione di “Bella Ciao”, noto canto della resistenza antifascista italiana.

Liliana Moro Senza Fine PAC Milano foto Nico Covre Vulcano Agency

Come il brano però è divenuto emblema della lotta all’oppressione a favore dell’autodeterminazione in molte parti del mondo, anche l’opera di Moro diviene suggello della ricerca dell’artista; Senza fine è la ripetizione ininterrotta di un inno alla rivolta, che si relaziona con un’immagine sospesa e al contempo eloquente di un microfono che pare voglia amplificare l’acustica del prodotto umano milanese, regalando una riflessione sul tempo che scorre.

Liliana Moro, Moi, PAC Milano_foto Nico Covre, Vulcano Agency

Il suono è il fil rouge che consente una lettura coerente della mostra, le cui sottosezioni si intersecano costantemente con l’elemento sonoro. Quest’ultimo viene proposto come guida e al contempo messaggero di una notizia mai rivelata nel profondo, la cui decifrazione spetta solo al pubblico. In “Moi” l’artista impone allo spettatore di assumere una posizione centrale all’interno dell’installazione, per investirlo attraverso microfoni disposti in forma circolare, con la sua voce che racconta la performance “Studio per un probabile equilibrio in movimento.

<br>Liliana Moro PAC Milano foto Nico Covre Vulcano Agency

Lo spettatore è chiamato costantemente al confronto con l’opera, come nel caso di “  “, installazione del 2001 che propone un ambiente che va a costituirsi solo attraverso il meccanismo di propriocezione a cui da vita il corpo di chi lo percorre; frammenti di vetro sparsi divengono metafora dell’incertezza e dell’adattamento ad un ambiente che appare ostile nella sua forma, oltre che fonte di un piacere sinestetico che deriva dal calpestio dei cocci.

Sublimazione del sonoro come strumento immersivo e di interazione è In Onda, dove si richiede l’ascolto di un mondo distante, quello marino, la cui bellezza risulta per l’umano spesso scontata e sacrificabile alle logiche della sua attività. La mostra sembra voler indagare tutte le componenti che costituiscono quella che è possibile definire come “opera d’arte”, non solo attraverso il fattore acustico, bensì anche attraverso lo spazio (con la proposta, ad esempio, dei modellini dei progetti espositivi della carriera dell’artista, esaltandone la dimensione interattiva) e il pubblico stesso, che viene invitato alla partecipazione collettiva, non solo attraverso una proposta poetica come quella dell’artista, bensì anche da una prospettiva sociale e civica volta all’attivismo come in “Voci”.

Liliana Moro Andante con moto PAC Milano foto Nico Covre Vulcano Agency

Ultima riflessione, che racconta l’eredità creativa di Liliana Moro, è lasciata all’opera che dà il titolo alla mostra Andante con moto, dove si riproduce una messa in scena teatrale che rimanda a L’ultimo nastro di Krapp”, piecè teatrale del 1958 di Samuel Becket. La lettura del dramma da parte di Moro viene diffusa da casse acustiche, proponendo un omaggio ad uno dei maestri che l’ha ispirata, come Moro stessa racconta: “Il mio approccio all’arte non è partito dal saper disegnare molto bene, è stato più un approccio filosofico e attraverso le parole di Beckett ho iniziato a immaginare uno spazio”.

Liliana Moro, Spazi, PAC Milano, foto Nico Covre, Vulcano Agency

Un incontro, quello con il teatro inglese e poi con la drammaturgia beckettiana, che riassume e convoglia tutte le sfaccettature non solo di questa esposizione, bensì dell’intera produzione di Liliana Moro; sulla stregua di un’idea dannunziana del teatro come “arte totale”, l’artista ne coglie i nessi con la complessa interazione tra opera, arte e spettatore che solo la drammaturgia consente, poiché, come racconta a proposito Fabio Cherstich: “Per Moro pensare di poter rinunciare a uno scambio vivo tra arte, società e pubblico è impensabile, e il saccheggio del contemporaneo, sia esso un fatto di cronaca, una canzone, uno slogan politico o i molti oggetti protagonisti delle sue installazioni, è pratica intenzionale e costante del suo metodo artistico”.

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