L’intima fedeltà alla natura nelle incisioni di Luigi Bartolini a Roma

Frutta, ortaggi, pesci, topolini, calabroni, conchiglie. Una pianta selvatica, una fronda, canne palustri di granoturco. Acqueforti con fiori, ortaggi, davanzali fioriti. E’ questa “Luigi Bartolini Incisore” in esposizione alla GNAM di Roma.

Una mostra ideata da Vittorio Sgarbi con la figlia Luciana, offre un percorso antologico nella città dove “è il suo spirito,” nella terra dove Bartolini ha lavorato e frequentato l’Accademia di Spagna. Organizzata da A.M.I.A, con la consulenza scientifica di Stefano Tonti e Arianna Trifogli, il sostegno di Fondazione Roma e il patrocinio di Fondazione Marche Cultura, è l’ultimo grande evento celebrativo a 60 anni dalla morte del maestro marchigiano.

Curata da Alessandro Tosi, l’esposizione presenta circa 100 lavori tra acqueforti, acquetinte, puntesecche, documenti inediti, fotografie e opere letterarie. Nato a Cupramontana (An) nel 1892 e scomparso a Roma nel 1963, Bartolini espresse il suo talento anche attraverso la poesia e la scrittura. Tra le sue molte opere di narrativa e collaborazioni con quotidiani e riviste, ricordiamo “Ladri di biciclette” del 1946, il romanzo che ispirò il film premio Oscar nel 1948, sceneggiato da Cesare Zavattini e diretto da Vittorio De Sica.

Luigi Bartolini

Nel 1962, l’Istituto del Libro di Urbino pubblica 150 copie numerate de “L’antro di Capelvenere”, sette racconti con sette acqueforti originali dell’autore. Tra i suoi estimatori, l’intellettuale Paolo Volponi. Bartolini, che aveva studiato l’incisione attraverso maestri come Rembrandt, Tiepolo, Goya e Canaletto, è considerato, insieme a Morandi, uno dei più grandi incisori italiani. Come Morandi, sviluppa un percorso personale svincolato dalle avanguardie.

Se il maestro bolognese trasfuse nelle incisioni il suo mondo pittorico con lo stesso sentire, Bartolini tradusse nelle acqueforti il suo diario emozionale con una certa ombrosità rispetto alla vivacità che anima la sua pittura. Nei suoi paesaggi incisi e nelle figure, traspare una intima fedeltà alla natura che diventa sintesi fra parola e immagine. Le graffiature esprimono l’aura di una sofferenza, di una tormentata interiorità, di inquietudine interiore, con il nero in costante ricerca della luce.

L’osservazione della natura, della donna e del paesaggio spesso si trasforma in meditazione sulla finitezza e la fugacità della vita, talvolta in un dialogo con la morte. Le incisioni sono spesso intrise di desolazione e di “incontenibile tormento,” come dirà Vittorio Sgarbi. “Ho goduto anche quando ho inciso i topolini morti, le spine di pesce, le farfalle imbalsamate, le cose più maldestre per gli altri; per me, costituiscono dei poemi che mi sollevarono in paradiso,” affermava Bartolini nel testo introduttivo della personale alla Quadriennale di Roma del 1935.

Invitato a cinque edizioni della Biennale di Venezia tra il 1928 e il 1950, nel 1942 vinse il premio per l’incisione. Nel 1932 aveva già ricevuto il primo premio all’Esposizione del “Bianco e Nero” alla Galleria degli Uffizi di Firenze, ex aequo con Umberto Boccioni (alla memoria) e Giorgio Morandi, col quale rimase in amicizia fino al 1933. Le sue opere sono state esposte al Museum of Modern Art di New York e oggi sono presenti al Gabinetto delle Stampe di Parigi, al MOMA, al British Museum, al Musée Jeu de Paume di Parigi e alla National Gallery of Art di Washington.

La mostra di Roma rappresenta la testimonianza più ricca di un’arte caratterizzata da una grande voglia di misurarsi e di ricercare, frutto di una scrupolosa operatività e di uno sguardo sul mondo come narrazione del quotidiano. Arte come riverbero del sublime, bacio del tempo che afferra il senso ultimo delle cose, come un sentimento del tempo di ungarettiana memoria. Metafora di un cammino esistenziale, di un viaggio che l’artista fa dentro se stesso con una poetica libera e insieme rigorosa, tra complessità e semplicità, tra tecnica ed emozione. “La nostra necessità d’esser liberi per concepire i nostri disegni incisi è parallela alla nostra necessità di respirare aria libera e buona,” testimoniava Bartolini, sottolineando l’arte come necessità imprescindibile nell’esperienza umana.

Nel percorso espositivo, si possono ammirare le incisioni che celebrano le donne della sua vita: zingare, lavandaie, donne intente al lavoro domestico. Anna, amante e musa, cui dedicherà anche un’opera letteraria, è raffigurata in diversi contesti, ogni momento svelato da linee e segni che racchiudono un universo di passione e sentimento. Poi Emma e Ilse, donne tra intimità e abbandono, con la compagna di vita sposata in punto di morte. Opere nel nome del segno come profonda ricognizione della vita e dei suoi aspetti nascosti.

Se la storia dell’arte è una storia di profezie, come dirà Walter Benjamin, e il linguaggio dell’incisione continua ad affascinare come eterna conquista, identità culturale che porta con sé il respiro del passato, è anche merito di un artista come Luigi Bartolini.

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