Nata nel 1946 a Belgrado, è oggi unanimemente riconosciuta come la Madrina di tutte le performer. Stiamo parlando ovviamente di Marina Abramović, che oggi, in occasione del cinquantesimo anniversario della sua carriera artistica, viene celebrata dalla Royal Academy of Arts di Londra (incredibilmente come prima artista donna in assoluto a essere oggetto di una personale nelle gallerie principali dell’istituzione londinese), con una grande retrospettiva, aperta fino al primo di gennaio 2024, che ripercorre la sua straordinaria attività e tutte le sue performance più iconiche. Ricevendo anche reazioni e recensioni diverse e contrastanti da parte della critica. Se infatti il “Times” ne ha parlato come di uno “spettacolo spietato”, per “Guardian” la mostra è “terrificante e vitale”, mentre il “Telegraph” ha scritto che l’ideatrice di Rhythm 0 (una delle sue performance più famose, dove, nel 1975, presso lo Studio Morra a Napoli, l’artista serba posò in piedi per sei ore consecutive davanti a un tavolo con settantaquattro oggetti, tra cui una pistola) ha “perso enormemente la strada”.
Ma non ci sono solo performance nella mostra londinese: anche installazioni, sculture, video, fotografie e oggetti di scena. Tra gli altri, viene proiettato anche il celebratissimo lavoro The Artist is Present eseguito per tre mesi di fila al MOMA nel 2010. Questa volta, però, la protagonista delle performance non sarà l’artista stessa, ma i membri del Marina Abramović Institute che, formati secondo il metodo Abramović presso il suo istituto di New York, riprodurranno quattro delle più celebri performance. Anche perché, come afferma l’artista in un’intervista, “Ora – a seguito di un’embolia – c’è una nuova restrizione nella mia vita. Per sei mesi non posso prendere l’aereo. Di solito prendo un aereo ogni due, tre, cinque giorni. Quindi questa è una restrizione incredibile, non pianificata. Per venire a Londra, per la mostra alla Royal Academy, ho dovuto prendere la barca da New York”.
Le quattro performance che il pubblico può veder rivivere sotto i propri occhi sono Imponderabilia, Luminosity, The House with the Ocean View e Nude with Skeleton.
I 42 giovani coinvolti, che realizzano le performance per conto della Abramović, verranno controllati costantemente da un medico, uno psicologo e un nutrizionista.
Rivediamo, una per una, tutte e quattro le performance.
1) Imponderabilia
Imponderabilia, eseguita per la prima volta nella Galleria comunale d’arte moderna a Bologna nel 1977 con il partner Ulay, consisteva nello stare nudi uno di fronte all’altra in un varco ridotto (per l’occasione, Ulay costruì nell’ingresso del museo due scatole verticali per ridurre lo spazio di accessibilità) dove i visitatori per entrare avrebbero dovuto mettersi di sbieco e passare in mezzo ai corpi spogli. Su una parete del museo venne appeso un testo esplicativo con su scritto “L’imponderabile. Fattori umani imponderabili come la sensibilità estetica. La soverchiante importanza degli imponderabili determina il comportamento umano”. La performance, in teoria, avrebbe avuto la durata di sei ore, ma fu interrotta a circa tre ore dall’inizio da due poliziotti che chiesero, prima, i passaporti agli artisti (che entrambi non avevano) e poi affermarono che l’esecuzione, secondo la legge italiana, era considerata oscena.
2) The House with the Ocean View
La seconda performance che i giovani artisti mettono in scena a Londra è The House with the Ocean View, un lavoro molto ambizioso che prevedeva la realizzazione di tre grandi piattaforme munite di divisori attaccati alla parete dello spazio a circa un metro e mezzo da terra e collegate al pavimento con una scaletta (nella performance originale, al posto dei pioli, erano previste delle lame affilate rivolte verso l’alto). Eseguita per la prima volta a New York, nella galleria di Sean Kelly il 15 novembre del 2002, l’esecuzione aveva una durata di dodici giorni dove la performer aveva il solo compito di eseguire determinate attività quotidiane: usufruire dei servizi igienici, lavarsi, stare seduta o supina sul letto, bere solo ed esclusivamente acqua e soprattutto stare sul bordo di una piattaforma, al di sopra delle lame, il più lungo possibile. Gli abiti usati per i dodici giorni erano stati ispirati dall’opera di Aleksandr Michajlovič Rodčenko, pittore, grafico e pittore russo e i colori erano stati scelti secondo i principi del quadrato vedico indù. Gli stivali, invece, erano quelli usati durante The Lovers: The Great Walls del 1988 (performance in cui l’artista e Ulay percorsero la muraglia cinese partendo dalle estremità, per poi incontrarsi al centro. Dopo l’incontro si lasciarono definitivamente). Altre condizioni erano l’assenza di cibo, l’impossibilità di parlare, scrivere o leggere, la possibilità di dormire sette ore al giorno e di lavarsi tre volte al giorno.
3) Luminosity
In Luminosity l’artista, completamente nuda, si bilancia su un sellino di una bicicletta (senza che tocchi per terra) con una luce proiettata su di lei cambiando costantemente la luminosità. La posizione riprende quella dell’Uomo Vitruviano. La Abramović afferma che “è un pezzo molto difficile ed impegnativo, perché la donna è così vulnerabile ed esposta, ma allo stesso tempo c’è una qualità spirituale molto forte in questo pezzo. È davvero un lavoro sulla solitudine, sul dolore e sull’elevazione spirituale. Sulla luminosità e sulla qualità trascendentale dell’essere umano in generale, il corpo è solo uno strumento. Lo spirito non può essere bruciato o distrutto”.
4) Nude with Skeleton
Marina Abramović lavorò diverse volte usando ossa e scheletri come in Balkan Baroque, dove, nel corso della Biennale di Venezia del 1997, per quattro giorni (sette ore al giorno), dovette pulire duemila carcasse di ossa di vacca. Analogamente in Count on Us, nel 2003, la performer, con addosso uno scheletro, aveva diretto un coro formato da bambini che cantavano l’inno dell’Onu. In Nude with Skeleton, invece, la performance originale vedeva l’artista nuda e supina sotto uno scheletro evocando un esercizio tipico del buddismo tibetano. Infatti i monaci dormono insieme al corpo (morto) in vari stati di decomposizione acquisendo una comprensione del processo della morte. Come affermò la Abramović, “respirando lentamente, lo scheletro si anima e si muove insieme a me. Il lavoro consiste davvero nell’affrontare la propria mortalità. Riguarda la paura del dolore e la paura di morire. È qualcosa che nella nostra vita temiamo di più”.