Marta Mez, le vite degli altri spiate dietro i vetri di una finestra illuminata

È un thriller psicologico quello girato dal maestro indiscusso del cinema del mistero Alfred Hitchcock, La finestra sul cortile, nel 1954 (titolo originale, Rear Window). Una storia, indimenticabile come tutti i capolavori di Hitchcock, di gesti catturati da una finestra all’altra, di curiosità per le “vite degli altri” spinta al limite del voyeurismo, di sospetti, di scoperte, di delitti, immaginati o realmente avvenuti; una storia, soprattutto, di suspence e di mistero. Ma Rear Window non è l’unico film incentrato sul voyeurismo di chi ama immaginare le esistenze degli altri spiando i loro gesti attraverso ai vetri delle finestre. Le esistenze celate, e rivelate solo per accenni, dietro le finestre delle case sono, da sempre, un’irresistibile calamita per chi ami immaginare storie.

Non è allora un caso che il titolo dell’ultima personale di Marta Mez, al secolo Marta Mezynska, pittrice polacca trapianta in Italia che lavora da sempre sulla superficie del paesaggio urbano, con un approccio estremamente dettagliato dal taglio fortemente cinematografico, sia ispirata proprio al capolavoro hitchcockiano: Rear Windows, curata da Giuditta Elettra Lavinia Nidiaci per Galleria Vik Milano (aperta fino al 6 aprile 2025) è, come spiega la curatrice, un gioco a rimpiattino con lo sguardo dello spettatore, attratto dai dettagli che fanno capolino dai vetri dei palazzi (ombre, luci, riflessi, gesti appena abbozzati, o dettagli degli oggetti ordinatamente allineati nelle vetrine dei negozi), ma in qualche maniera ha un effetto psicologico sul fruitore, quasi come se dietro quelle finestre dipinte, tra strane ombre che paiono muoversi furtive in stanze che non conosciamo ma di cui possiamo immaginare gli umori, le atmosfere e persino gli odori, noi stessi ci sentissimo per un momento vulnerabili: “gli edifici”, scrive la curatrice Giuditta Elettra Lavinia Nidiaci, “sono protagonisti tanto di questo cinema quanto della pittura di Marta Mez, e non sono soltanto quelli in cui l’uomo abita e dunque si rifugia, o magari all’interno dei quali si consumano litigi e tragedie, ma anche quelli che egli vive da animale sociale, che è osservata dallo spettatore ma che al contempo osserva lo spettatore stesso: guardiamo le opere di Marta Mez”, conclude la critica, “che a loro volta ci guardano attraverso le finestre, proprio come se queste fossero occhi”.

Un’altra artista, una performer che di Marta è amica e compagna di viaggio, Giovanna Lacedra, tempo fa aveva scritto, a proposito della sua pittura: “Le luci nelle case degli altri. Mondi dietro a finestre illuminate, nella sera. Facciate di condomini buie e accese solo dalla privacy di una lampadina a 60 watt, che illumina vite oltre a tende chiuse, vite come sagome, come anime, come lontananze. A osservare le facciate delle case, dei palazzi, delle vilette a schiera, sembra quasi che un mondo dentro al mondo brulichi sommessamente. Brulicano vite dietro alla vetrina di una libreria o di un fast food. E ti lasciano indossare uno sguardo da voyeur. Tu acceleri il passo, non vorresti saperne nulla. Ma se ti trovi davanti a un dipinto di Marta Mez, sei costretto a guardare”.

Lì, dietro queste finestre, si possono consumare amori, passioni, anche terribili tragedie. Come quella, drammaticamente celebre, raccontata da Dino Buzzati nel novembre del 1946 a Milano, quando una donna, Rina Fort, massacrò a martellate la famiglia del suo amante, e Buzzati si soffermò sotto le finestre di via San Gregorio scrivendo un pezzo che rimarrà memorabile nel lungo racconto della “nera” milanese: “L’altra sera noi eravamo a tavola per il pranzo quando, poche case più in là, una donna ancora giovane massacrava con una spranga di ferro la rivale e i suoi tre figlioletti. Non si udì un grido. Negli appartamenti vicini continuavano, fra tintinnio di posate e stanchi dialoghi, i pranzi familiari come nulla fosse successo, e poi le luci a una a una si spensero, solo rimase accesa nel cortile quell’unica finestra al primo piano, e i ritardatari, passando, pensarono che lassù forse un bambino era ammalato, o una mamma era rimasta alzata tardi a lavorare…”.

Possono essere tragedie oppure storie di amori straordinari e appassionati, quelle che si possono solo immaginare dietro le “finestre degli altri”: storie di gioia, di sesso, di passione, ma anche di angoscia o di attesa, di cui a volte siamo noi i muti e involontari spettatori, altre volte siamo noi stessi i protagonisti. “Ci sono episodi che nemmeno immaginiamo, nella vita degli altri”, scrive Chiara Gamberale nel suo La luce nelle case degli altri. “Episodi di cui non siamo a conoscenza, né lo saremo mai, dettagli minimi, inconfessabili, raggi ultravioletti che non possiamo percepire, ma che hanno condizionato tutto”.

Sono queste le storie che ci immaginiamo quando guardiamo i quadri di Marta Mez. “Se non fosse una pittrice, la Mez sarebbe probabilmente un regista di cinema”, ha scritto di lei Angelo Crespi, ottimo critico che ha lavorato a lungo sulla pittura italiana, e oggi è Direttore della Pinacoteca di Brera. “Il suo sguardo in soggettiva perlustra maniacalmente la superficie dell’edificio, ridandoci in chiava quasi da astrattista geometrica, ma senza il rigore algido tipico del precisionismo americano o russo di inizio Novecento, una porzione di esso, che sia in diurna o in notturna, di primo acchito ci conforta lo schema di pieni e di vuoti, tra pareti dense e trasparenti. Ad una seconda lettura, nasce l’inquietudine”. “Perché”, annota ancora Crespi, “dietro le finestre si scorgono, appena annunciate, piccole cose, arredi, quasi movimenti inconsulti di chi vi abita, la vita che scorre dietro vetri e muri. Ed è come se la Mez spiasse queste vite: ne esce una sorta di sceneggiatura degna de Le vite degli altri, premio Oscar 2007, o ancora meglio di una delle pellicole più celebri della storia, La finestra sul cortile di Hitchcock, splendida metafora del voyerismo ed anche del cinema come riflessione sul guardare e sull’essere guardati”.

Sì, sembrano davvero guardarci, i quadri di Marta Mez, e noi guardiamo loro: godendoci i mille particolari di storie che sembrano per un momento rivolgersi e parlare solo a noi, alla nostra immaginazione, al nostro eterno desiderio di sognare e inventare storie e vite che non ci appartengono, ma che, per un qualche impercettibile scherzo o deviazione della storia e del destino, avrebbero potuto essere anche le nostre, quelle dei nostri cari, amici, famigliari. Le vite di cui forse, se qualcosa fosse andato in modo diverso, avremmo potuto essere proprio noi i protagonisti. E allora saremmo proprio noi, e non altri personaggi, reali o immaginari, a muoverci, vivere, amare, gioire o soffrire, dietro quelle finestre, che oggi guardiamo solo come spettatori.

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