Modigliani e quell’affresco sparito da Rosalie di Montparnasse

In questa rubrica vi raccontiamo storie, aneddoti, gossip e segreti, veri, verosimili o fittizi riguardanti l’arte e gli artisti d’ogni tempo. S’intende che ogni riferimento a persone esistenti o a fatti realmente accaduti sia puramente casuale…

Della vita, delle passioni, del genio e delle sregolatezze di Modì si è detto e scritto di tutto. Numerosissimi sono, naturalmente, gli aneddoti riguardanti la sua propensione al bere, quella “dispersione perpetua”, come fu definita, nel suo lasciarsi andare a discorsi veementi, allucinati, folli da rischiare a volte d’essere profetici, nelle notti parigine, tra bistrot e caffè dove, non avendo mai da pagare, regalava a destra e manca disegni che nel tempo furono andati per la maggior parte perduti. Li distribuiva, dirà Jean Cocteau, “come una zingara legge la mano”. “Lo vedo distribuire i suoi schizzi agli amici in cambio di un bicchiere”, ricorderà Maurice de Vlaminck. “Porgeva il foglio, sul quale a volte metteva persino la firma, con gesto da milionario, come se allungasse una banconota a qualcuno che gli aveva appena portato un bicchiere di whisky”.

Ed erano disegni che eseguiva proprio lì, sotto gli occhi di tutti, tra un bicchiere e l’altro e tra una chiacchiera, e un vaneggiamento, e l’altro. “Seguiva sempre lo stesso metodo. Iniziava con i due punti essenziali, prima il naso, che in tutte le sue opere poi gli occhi, la bocca e infine il profilo del volto, che tratteggiato delicatamente”, ricorda un personaggio oscuro, astrologo e occultista dalla personalità complessa e paranoide (che in seguito perseguiterà Henry Miller, che faticherà non poco a liberarsi di lui), Conrad Moricand, che di Modì era amico e amava guardarlo disegnare durante le sue notti alcoliche. Mentre disegnava, pare tendesse il volto in certe terribili smorfie, rimanendo sordo a tutto ciò che gli accadeva intorno, comprese le continue battute, gli sfottò e le frecciate che gli venivano rivolte. “Era capace di eseguire in questo modo quattro o cinque disegni superbi, a volte anche di più”, dirà ancora Moricand: “il resto si dissolveva di solito nell’alcol”.

Rosalie nel quadro Gli agnelli di William Adolphe Bouguereau

Così come accadeva che regalasse i suoi disegni per un bicchiere di un buon vino o di whisky, così accadeva che si procurasse, nei tanti momenti di estrema povertà, anche il cibo. Come a Milano con le famose sorelle Pirovini, anche Montparnasse aveva una sua “ostessa”, che dava da mangiare ai pittori squattrinati in cambio di un disegno: era Rosalie. Italiana di origine (il cognome era Tobia), arrivata a Parigi come cameriera della Principessa Ruspoli, Rosalie aveva poi posato per diversi pittori, da Bouguereau, ad Alexandre Cabanel a Odilon Redon a Whistler, e in età avanzata aveva aperto una trattoria italiana a Montparnasse, al numero 3 di Rue Campagne Première. Qui, dava da mangiare, oltre che ai muratori, ai lattai, alle sguattere, ai bottegai e ai piccoli commercianti della zona, anche agli artisti che trascorrevano lì le loro serate o i loro pomeriggi, da Picasso a Max Jacob a Suzanne Valadon a Soutine a Chagall, i più dei quali erano naturalmente senza un becco di un quattrino. E loro la ripagavano con dei disegni. Alle pareti della trattoria “Chez Rosalie”, infatti, erano infatti appesi decine e decine di disegni di Picasso, Utrillo, Kisling e molti altri.

Modigliani, però, era quello che lei chiamava “il suo Dio”. Bello, gesniale, focoso, e pure italiano: non poteva non sedurre, seppure solo platonicamente, l’ormai già anziana ostessa di Montparnasse. Che a lui riservava un trattamento particolare: lo ricoverava sui sacchi di farina nel retro quando era troppo sbronzo per tornare a casa, lo vezzeggiava e coccolava come un bambino. Lui la ripagava con nient’altro che quelli che Rosalie, che pure di pittori se ne intendeva, chiamava ‘scarabocchi’. Lei, infatti, li prendeva a mucchi e li cacciava in un cassetto di un mobile, o addirittura lasciava che finissero, alle volte, come carta su cui far scolare i piatti o i bicchieri, o per la maggior parte mangiucchiati dai topi, dei quali il locale, come avveniva ai tempi, in un modo o nell’altro pullulava (ci rimarrà malissimo, la povera Rosalie, quando, dopo la morte di Modì, la sua locanda fu battuta dai mercanti in cerca di disegni lasciati in giro dal pittore, e lei, cerca cerca, non trovò che carta straccia, sbiadita, mangiucchiata dai topi). Qualche disegno, però, di Modigliani e di altri pittori, Rosalie lo teneva appeso alle pareti del locale. Accadeva poi che lei non ne potesse più, e allora intimava a Modì di pagare almeno qualche volta il conto. Lui le rispondeva con malgarbo, e cominciavano a bisticciare, e più d’una volta lui prese, per rabbia, a strappare i disegni dalle pareti, e così anche quelli andarono perduti.

Un giorno, però, Modigliani volle farle una sorpresa, per sdebitarsi con lei (a raccontare l’episodio è Marija Marevna nelle sue memorie, pittrice cubista di origine russa, frequentatrice dei caffè di Montparnasse e dell’ambiente bohèmien dell’epoca). Si racconta dunque che Modì si recasse un pomeriggio nella trattoria Chez Rosalie, in un momento in cui la vecchia proprietaria era assente, e, pennello alla mano, prese a dipingere freneticamente su uno dei muri della trattoria. Voleva fare un bel regalo a Rosalie, per sdebitarsi dei tanti pranzi gratis. Il figlio della proprietaria, Luigi, sapendo dell’amore della madre per quel giovane pittore, lo lasciò fare. Peccato che, fossero stati i fumi dell’alcol, quelli dell’hashish o soltanto la giornata poco fortunata, l’affresco, si dice, riescì non male: malissimo. Quando Rosalie arrivò al locale e lo vide, trasecolò, e si mise a gridare, nel dialetto ciociaro da cui proveniva, che di quel giovanotto ne aveva fin sopra i capelli, e che era stufa di mantenere lui e quella banda di sfaccendati fannulloni e buoni a nulla, e altre contumelie del genere. Alla fine, si rivolse al figlio: lapidaria, disse soltanto: “Ridipingi questa schifezza”. Fu così che andò perduto l’unico murale di Modì che si conosca.

Le puntate precedenti degli aneddoti sulle vite degli artisti le potete trovare qua:

Picasso e quella strana passione per il bagno

Manet, Monet e quel giudizio velenoso su Renoir

Annibale Carracci, i tre ladroni e l’invenzione dell’identikit

Quando Delacroix inventò l’arte concettuale

Il senso di Schifano per la logica e per gli affari

Gentile Bellini, lo schiavo sgozzato e il mestiere della critica

Bacon e il giovane cameriere bello come il Perseo del Cellini

Filippo Lippi, quando l’arte lo salvò dai turchi

Turner: il mio segreto è disegnare solo ciò che vedo

Renoir e il fuggitivo di Napoleone III travestito da pittore

Di quando Renoir fu scambiato per una spia

Renoir e la politica del turacciolo

Corot, il falso Corot e la crociata contro gli Albigesi

Tamara de Lempicka e D’Annunzio, di un ritratto mai fatto e di un amplesso mai consumato

Il prossimo aneddoto sulla vita degli artisti lo trovate qua:

Prassitele e il trucco della cortigiana Frine

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