E se ci fosse un modo per viaggiare in totale libertà? Esiste una compagnia aerea in grado di soddisfare il desiderio di spostarsi, senza barriere reali, economiche, politiche o culturali? La Unprivileged Airways si trova nei sotterranei della città milanese, nella stazione ferroviaria Lancetti, in quella che fu un ex-edicola. Un involucro esterno di acciaio, grandi vetrate che ne circoscrivono il perimetro assumendo le fattezze di una serra, esposta allo sguardo di un pubblico eterogeneo.
Per un mese l’Unprivileged Airways avrà sede tra le correnti fredde che arrivano dal sottosuolo dove scorrono i treni sui binari, e quelle che provengono dal cielo grigio sopra la città meneghina. È qui che si colloca spazioSerra, in cui gli artisti e le artiste ospiti realizzano una produzione specifica per gli ambienti. Si tratta di una iniziativa di arte pubblica nata nel 2017, inserita nel progetto della Fondazione ARTEPASSANTE, con l’obiettivo di riattivare spazi non convenzionali che si trovano all’interno della rete ferroviaria milanese di Trenord. Luoghi di passaggio anch’essi e di attraversamenti reali e culturali, per loro natura provvisori.
Ecco possiamo partire da questo senso di provvisorietà per parlare dell’ultimo episodio, del progetto espositivo suMisura, pensato per l’anno 2024. Se il luogo si conferma uno dei più sperimentali della città, Departures / مغادرون di Mosa One – Mosa Keshk (1997, Roma) non avrebbe potuto trovare una collocazione migliore, e per più di un motivo.
Entrambi territori di confine soggetti al vincolo del transito, in cui ci ritroviamo come precari abitanti di una geografia definita da un arredo urbano o suburbano. Estranei e stranieri ovunque, per citare l’ultima Biennale di Venezia appena conclusa, riconoscendole il debito di aver messo in luce nella semplicità di un titolo, l’oggettività della condizione umana. E questo presupposto ci rende uguali. Indipendentemente dalle origini, dalla propria storia personale, spesso un groviglio meraviglioso di incontri, in altri casi esito di scontri e conflitti. Eppure, tutti condividiamo il medesimo desiderio di attraversare un altrove, che sia concettuale o reale, senza vincoli o impedimenti.
Lo status del viaggiatore è, da un punto di vista socio-antropologico, transitorio. Nel viaggio (che qui utilizziamo nella sua accezione generica inteso come spostamento, cammino, un andare verso un altro luogo), si fa l’incontro con l’ignoto. E in questo limen si colloca Departures / مغادرون, una stazione di partenza per viaggi impossibili. Mosa One ha immaginato un’isola che sta nel mezzo tra l’utopia della normalizzazione di una modello senza barriere, e la sua distopica presenza in uno spazio da cui è impossibile farlo.
Eppure, nel nostro immaginario la serra assume le sembianze di un aeroporto privo di controlli di accesso, di visti e passaporti. Una frontiera aperta a chiunque, anche a chi non può lasciare il proprio paese per motivi diversi, che si tratti di questioni legate alle guerre, piuttosto che alle criticità nell’ottenimento dei documenti. Ragioni che nell’insieme rappresentano barriere o prigioni, come scrive Zakaria Aït aka Marocchino (1999, Marocco), nella riflessione che accompagna la mostra “[…] una mappa che diventa la nostra prigione…, stranieri sulla carta, e uomini tra gli uomini”.
E così la natura camaleontica di spazioSerra si trasforma dopo il luminoso locale in affitto di Zeroscena e di Silvia Francis Berry di (febbraio), dopo il giardino plastico di Martina Cioffi (maggio) e quello futuristico di XAARCHIVE (Sofia Lorenzo & Nayla Cefarelli di ottobre), in un aeroporto con tanto di insegna che campeggia all’esterno. All’interno i giubbotti arancioni di salvataggio tipici degli aerei, presenza salvifica e rassicurante (o almeno lo possiamo credere). Ma anche grandi pannelli di tessuto sospesi. Come sospese sono le vite raccontate attraverso le immagini e le scritte in lingue diverse, sopra di esse. Storie di chi non può partire, di chi resta imbrigliato in una rete da sburocratizzare, o in un groviglio di questioni politiche e sociali da dissipare.
Per l’artista italo egiziano, nato a Roma, la città diventa la sua tela con interventi in spazi diversi non convenzionali, adottando un linguaggio riconoscibile nel fenomeno del graffitismo (più moderna rappresentazione della scrittura umana di derivazione preistorica), e patrimonio visivo e narrativo della società contemporanea. Espressione di una libertà creativa, di una modalità che attinge anche alla sua storia personale, attraverso la tradizionale scrittura calligrafica, l’uso del colore e della performance, che lo conducono a inserirsi in contesti più istituzionalizzati (Museo MACRO di Roma, UNICEF) e a lavorare per importanti aziende (Netflix e Nike).
Negli interstizi dello spazioSerra la sua indagine umana stravolge il pubblico passante, che nelle sue varie definizioni si presta a essere esso stesso parte di questa partenza. In qualità di spettatore che ogni giorno attraversa la stazione. E come passeggero che partecipa a questo atto nella sua condizione transitoria. La performance della serata inaugurale mette in scena quella cortina tra i privilegi di alcuni e le difficoltà degli altri. All’interno di una scatola trasparente collocata dentro la serra, Mosa One si chiude in una dimensione ovattata. Interviene con le bombolette spray dipingendo le pareti mentre una musica si diffonde nella stazione, e una voce annuncia la partenza della Unprivileged Airways.
E voi siete pronti a partire?