In questa rubrica vi raccontiamo storie, aneddoti, gossip e segreti, veri, verosimili o fittizi riguardanti l’arte e gli artisti d’ogni tempo. S’intende che ogni riferimento a persone esistenti o a fatti realmente accaduti sia puramente casuale…
Degli amori eccentrici, tormentati e impossibili di Peggy Guggenheim con gli artisti che “collezionava al modo in cui si collezionano le opere d’arte”, si è detto e scritto di tutto. Anzi, lei stessa ne ha raccontato a profusione nelle sue autobiografie e nelle molte interviste che ha rilasciato nel corso della sua lunga e burrascosa vita. Del suo amore con Max Ernst si sa che fu una relazione a dir poco turbolenta: bisticciavano di continuo e i loro litigi erano drammatici: sembrava sempre sull’orlo di un crollo. Alla fine lei disse, lapidaria, che “la tranquillità era tutto ciò di cui Max aveva bisogno per dipingere, e l’amore era tutto ciò di cui avevo bisogno io per vivere”, e, “dal momento che nessuno dei due poteva dare all’altro ciò che più desiderava, la nostra unione era destinata a fallire”.
Del suo sodalizio con Samuel Beckett, invece, Peggy amava ricordare di quando, in un hotel, rimasero a letto a fare l’amore per quattro giorni di fila: lo scrittore, raccontò lei stessa, si alzava dal letto solo per ricevere il servizio in camera. Il matrimonio con un altro artista, Laurence Vail, fu ancora più tumultuoso, anzi decisamente tossico e violento: le liti tra i due erano infatti leggendarie, e Peggy subì da lui ogni sorta di violenze e di angherie. “Gli piaceva particolarmente buttare le mie scarpe fuori dalla finestra, rompere le stoviglie e gli specchi e spaccare i lampadari. Le risse duravano ore, a volte giorni, una volta anche due settimane”. Una volta, lui cercò di annegarla in una vasca da bagno, un’altra volta le spalmò la marmellata sul cuoio capelluto, un’altra ancora le strappò i vestiti in pubblico e la gettò a terra: si trovavano a Parigi, sul Boulevard de Strasbourg, e Vail la spinse a terra prima di dare fuoco a una banconota da cento franchi (e la polizia francese, ci dicono le cronache dell’epoca, lo arrestò per aver bruciato la banconota, non per averla picchiata).
Quanto alla sua relazione con Roland Penrose, sarebbe andato tutto bene, se non fosse per il particolare che l’artista, quando dormiva con le donne, legava loro i polsi con qualsiasi cosa gli capitasse a portata di mano. Una notte, raccontò in seguito Peggy, tirò fuori un paio di braccialetti d’avorio del Sudan che erano attaccati con una catena e un lucchetto di cui lui solo possedeva la chiave, glieli strinse ai polsi e poi andò a dormire. “Era estremamente scomodo passare la notte in questo modo”, commentò Peggy, “ma se volevi trascorrerla con Penrose, era l’unico modo per farlo”. Quanto a Brancusi, lei era così innamorata delle sue sculture che pensò di sposarlo per ereditarle tutte: “Ma”, commentò in seguito, “credo che avesse altre idee in proposito, e non desiderasse affatto avermi come erede”.
Tali e di tal tenore erano le relazioni di Peggy Guggenheim con gli uomini, in particolare se artisti o scrittori di talento, che non si comprese mai il motivo per cui, una sera, estromesse senza mezzi termini dalla sua casa veneziana, il celebre Palazzo Venier dei Leoni, William Burroughs con tutta la combriccola degli scrittori della Beat Generation. La scena, che ci possiamo facilmente figurare, è la seguente: siamo nel 1956, in un ricevimento offerto da Peggy Guggenheim in onore del console britannico; immaginiamoci tutti i gondolieri in livrea bianca con fascia turchese, per quel tipo di sontuosità che piace tanto agli arrampicatori sociali e ai parrucconi che si muovono spesso intorno al mondo dell’arte, dove i pasciuti borghesi speranzosi di far bella figura in società amano fingere di frequentare il mondo degli artisti per toccare con mano un po’ di trasgressione, sì, purché sia innocua e molto concettuale (così loro stessi finiscono per non capirla affatto, e questo li fa sentire insieme molto stupidi e molto intelligenti); per il resto, quel che amano di più sono i soliti, noiosissimi discorsi che si fanno tra borghesi, e poco altro.
E ora proviamo a immaginarci William Burroughs, il fuorilegge della letteratura, il vagabondo, che arriva nella cornice di casa Venier con le sue statue di Brancusi e di Marino Marini e si guarda intorno, un po’ alticcio, è ovvio, accompagnato dal suo gruppo di amici, tutti scrittori e poeti della Beat Generation, e tutti ugualmente alticci e impertinenti, e non riconosce quasi nessuno tra tutti quei parrucconi dove tanto poco felicemente si mescola la buona società danarosa internazionale con la peggiore (pardòn, la migliore) crème dell’avanguardia artistica dell’epoca. E proviamoci allora a immaginare Burroughs che si rivolge al suo mentore, il suo Virgilio in quell’ambiente che così poco gli si confà, nello specifico un tale chiamato Alan Ansen, il quale gli suggerisce che forse, al momento delle presentazioni, è il caso di baciare la mano a Peggy Guggenheim (che proprio in quel momento si sta avvicinando a loro per accogliergli), giacché quello era il costume in uso nella sua corte, sebbene corte artistica e molto, molto all’avanguardia; e immaginiamoci – giacché così effettivamente è successo, in una calda giornata di luglio veneziana, di quelle in cui la laguna rimanda ventate di calore e umidità fino al calare della sera – Burroughs che dice, incurante della corte di persone del bel mondo e della stessa Peggy Guggenheim che è giunta ormai di fronte a lui, e che gli sta per l’appunto porgendo la mano: “Sarò lieto di baciarle anche la fica, se questa è l’usanza”.
Quel che riportano le cronache, è che Burroughs fu per l’appunto bandito dalla corte di Peggy, quella stessa Peggy che dai suoi amanti e dai suoi mariti aveva sopportato ben altre ingiurie e ben altre contumelie. Burroughs, sibilino, si limitò a commentare, qualche tempo dopo: “Mi sembra che sia un po’ irragionevole muoversi in circoli dichiaratamente bohémien e allo stesso tempo pretendere un comportamento così convenzionale”. Si vede che, nei parametri di Peggy, dopotutto c’era modo e modo di essere unconventional.
Le puntate precedenti degli aneddoti sulle vite degli artisti le potete trovare qua:
Picasso e quella strana passione per il bagno
Manet, Monet e quel giudizio velenoso su Renoir
Annibale Carracci, i tre ladroni e l’invenzione dell’identikit
Quando Delacroix inventò l’arte concettuale
Il senso di Schifano per la logica e per gli affari
Gentile Bellini, lo schiavo sgozzato e il mestiere della critica
Bacon e il giovane cameriere bello come il Perseo del Cellini
Filippo Lippi, quando l’arte lo salvò dai turchi
Turner: il mio segreto è disegnare solo ciò che vedo
Renoir e il fuggitivo di Napoleone III travestito da pittore
Di quando Renoir fu scambiato per una spia
Renoir e la politica del turacciolo
Corot, il falso Corot e la crociata contro gli Albigesi
Tamara de Lempicka e D’Annunzio, di un ritratto mai fatto e di un amplesso mai consumato
Modigliani e quell’affresco sparito da Rosalie di Montparnasse
Prassitele e il trucco della cortigiana Frine
Bruegel il Vecchio e quella gente che non voleva proprio uscire dalla chiesa
Di Vedova e Turcato, e di un wc intasato
Il prossimo aneddoto sulla vita degli artisti lo trovate qua:
Di Rembrandt, della sua avidità e di quella strana abitudine di falsare il prezzo delle aste…