Quando Depero per poco non ammazzò Balla a pistolettate

In questa rubrica vi raccontiamo storie, aneddoti, gossip e segreti, veri, verosimili o fittizi riguardanti l’arte e gli artisti d’ogni tempo. S’intende che ogni riferimento a persone esistenti o a fatti realmente accaduti sia puramente casuale…

Che Fortunato Depero si dichiarasse “giocondo, ottimista, veloce”, e che in tal modo sostenesse di vedere la vita e la natura (“giocondamente, ottimisticamente, velocemente”), è cosa più o meno nota. Ma che, nella realtà, fosse anche piuttosto irascibile, anzi, iracondo al massimo grado, è altrettanto incontrovertibile. Famoso è il suo testo Antibiennale, appassionata “requisitoria in 84 punti” contro la Biennale di Venezia, accusata di incosciente malafede, del 1954: “Visto e considerato che la misura della pazienza, i limiti della modestia, del tacere e della sopportazione sono raggiunti… ho deciso di rompere i miei rapporti con gli attuali dirigenti di questo ente e di esprimermi sui torti, sugli errori, sulla ingiustizia e sui danni subiti e causatimi… per colpa di ignoranza, di arbitrio e di cosciente od incosciente malafede…”, e via di questo passo.

Fortunato Depero

Quello che è assai meno noto è che tale suo carattere collerico e bilioso lo portò a un passo dall’ammazzare, anzi, “ammassare”, come diceva lui, a revolverate, “giusto delitto allegro per la mia superbia”, come l’avrebbe definito il suo quasi coevo poeta, anch’egli collerico, bilioso e tutt’altro che accomondante, oltre che dichiaratamente anarchico, Gian Pietro Lucini, il suo riconosciuto mentore e compagno di futuristiche avventure, Giacomo Balla.

Ma partiamo dall’inizio. A portare Depero nell’allora sparuta pattuglia futurista fu proprio lui, Balla, di cui in seguito lo stesso Depero si proclamerà compagno “d’astrattismo futurista”, e in qualche maniera allievo e collaboratore. Fu Balla, infatti, a “raccoglierlo”, letteralmente, sui gradini della Galleria Sprovieri, in via del Tritone, a Roma, in un pomeriggio d’inverno del 1914, in occasione della Prima Esposizione futurista. Ad avvistarlo per primo (“magro, pallido, lacero, smunto”, “sudicio e massacrato”, “le ciabatte rotte e infangate, aperte come le bocche dei pesci”, “impillaccherato di tutte le vie del pellegrino”), era stato Francesco Cangiullo, napoletanissimo e per ciò inevitabilmente “poeta scugnizzo futurista”, come lo definì Marinetti, oltre che suo storico collaboratore.

Giacomo Balla

“Non mangio da parecchi giorni”, assicurò l’emaciato (“Parlava con affanno come i tisici”, commenterà ancora Cangiullo): “sono scappato di casa… vengo da Rovereto… ho fatto tutta la via a piedi e sui carretti… perché lessi sul giornale che qui vi era un’Esposizione di Pittura Futurista, e pensai che avrei potuto esporre”. “Cadde il tapino, di peso, stanco morto come l’evaso, sulle scale dell’Esposizione”, racconterà in seguito Cangiullo. “E con il suo corpo-straccio cadde anche la cartella che sembrava avesse attaccata al braccio, che non gli cadesse per tutto l’oro dell’Universo!”. Balla s’accovacciò, aprì la cartella e tirò fuori un pezzo di tela dipinta. Guardò la firma e lesse: Depero. Da quel momento, quel ragazzo “con gli occhi piccoli come quelli dei cinesi, ma grandi le occhiaie dei morenti”, i capelli lunghi, incolti e polverosi, “simili ad una criniera selvaggia”, fu ufficialmente un futurista, seppure all’inizio un po’ malsopportato da Boccioni, che lo chiamerà, forse per sprezzo, De Pero.

Francesco Cangiullo

Fu così che Marinetti lo invitò a partecipare all’Esposizione Libera Futurista, che si sarebbe tenuta ad aprile, con Balla, Boccioni, Prampolini, Rosai, ma anche Kulbin e Kandinskij. Manifestazione che si inaugurò in pieno stile futurista, dove Marinetti “disse, cantò, urlò a un pubblico enorme parole in libertà”, “coadiuvato dalla celebre troupe di nani… sig.na Tofa (Sprovieri), sig. Putipù (pittore Balla), sig. Scetavaiasse (pittore Sironi), sig. Triccaballacche (il poeta futurista Radiante)”. “La sala”, riportarono le cronache, “era illuminata a lampadine rosse che raddoppiavano il dinamismo del fondale dipinto da Balla. Il pubblico salutò con un applauso frenetico l’apparizione del corteo della suddetta troupe nana, irta di cappelli fantastici di carta velina, che girava intorno al poeta Marinetti mentre declamava. Ammiratissimo il vascello variopinto che portava sulla testa il pittore Balla. Spiccava in un angolo la natura morta color verde-bile di tre filosofi crociani, gustosa stonatura funerea nell’ambiente ultracceso di futurismo. Il pubblico accompagnò con la voce e col gesto il meraviglioso frastuono che scoppiava a quando a quando nella declamazione abilissima di Marinetti, la quale resultava evidente ed efficace nella sua fusione con gli strumenti onomatopeici”. “Indi”, continuavano le cronache, “i futuristi celebrarono i funerali del filosofo passatista, morto di crepacuore sotto gli schiaffi del futurismo. Il poeta Radiante e il pittore Depero (colla testa nascosta entro enormi tubi neri forati al posto degli occhi e del naso) portavano sulle spalle la testa del filosofo, creta scolpita a schiaffi dal parolibero Cangiullo, puntellata da un volume tarlato e completata da due braccia di corda con mani di carta. Il pittore Balla, camuffato da scaccino, impugnava un lungo pennello a guisa di torcia, col quale percuoteva a quando a quando un campanaccio da vacca, salmodiando con voce nasale: nieeet-nieeeet nieeet-nieeeeet nieeet-nieeeeet…”.

Terminata quella che oggi si chiamerebbe “performance”, iniziò la mostra. Tra i tanti quadri esposti, l’unico che vendette tutto fu proprio Depero. Sette quadri presentati, e altrettanti quadri venduti. La sua stella non era che al principio. E così il suo sodalizio con Balla, che nella comune ricerca di una sintesi e di uno stile che andassero oltre la cornice del quadro, oltre la divisione tra le arti, oltre la “psicologia dell’io”, da sostituirsi con l’ “ossessione lirica della materia”, come teorizzava Marinetti e come aveva profetizzato lo stesso Boccioni (“Il tic-tac e le sfere in moto di un orologio, l’entrata o l’uscita di uno stantuffo nel cilindro, l’aprirsi e il chiudersi di due ruote dentate, la furia di un volante o il turbine di un’elica, sono tutti elementi plastici e pittorici, di cui un’opera scultoria futurista deve valersi”), cominciarono – chi dei due lo fece per primo, non è dato sapere – a individuare in speciali “macchine” chiamate Complessi plastici la nuova frontiera della sculto-pittura futurista, costituiti da “fili metallici, di cotone, lana, seta d’ogni spessore, colorati… Vetri colorati, carteveline, celluloidi, reti metalliche, trasparenti d’ogni genere, coloratissimi, tessuti, specchi, lamine metalliche, stagnole colorate, e tutte le sostanze sgargiantissime… Congegni meccanici, elettrotecnici, musicali e rumoristi; liquidi chimicamente luminosi di colorazione variabile; molle; leve; tubi, ecc…”, per sondare “lo splendore geometrico delle forze” e trasformare “ogni azione che si sviluppa nello spazio, ogni emozione vissuta” nell’ “intuizione di una scoperta”: il “nuovo Oggetto” futurista, “nuova realtà creata cogli elementi astratti dell’universo”, dove “l’arte diventa Presenza” e non più nostalgia passatista.

Prima che questo accada, però, un’incomprensione, una gelosia per chi dei due ci fosse arrivato prima, chi lo avesse studiato e teorizzato per primo, portò i due artisti a un passo dalla tragedia.

Fortunato Depero

La storia vuole che sia una bella mattinata d’autunno quando, all’improvviso, Depero irrompe a casa Balla, a Roma. È, sorpresa delle sorprese, armato di pistola, e deciso a vendicarsi di un torto che, a suo dire, avrebbe subito dall’amico, mentore e collega. Convinto infatti che Balla gli avesse copiato l’intuizione dei Complessi Plastici, si ritrova ancora, come la prima volta che è comparso a Roma, ad essere accolto da Cangiullo, che sarà di nuovo testimone oculare, e riporterà poi fedelmente: “Torvo, con gli occhi a terra, come un mio nemico”, racconterà Cangiullo, Depero irrompe dunque a casa del suo mentore urlando: “Oggi lo ammasso! Son venuto qui per uccidere quell’uomo grottesco, miserabile e buffone!”. “Guarda”, dirà all’attonito poeta napoletano, “questa si chiama rivoltella. È scarica? Vedrai quando il tuo amico cadrà, se è scarica!”. Agitazione, urla, un folle gesticolar di mani, di grida, di botte-e-risposte, di “calmiamoci” e di spiegazioni: il dramma è lì lì per consumarsi. Si consumerà? Si giungerà all’irrimediabile? Ovviamente no.

Fortunato Depero

L’epilogo, al contrario, è italiano, anzi, italianissimo: come in una commedia goldoniana, o degli equivoci, ecco infatti apparire in scena la signora Elsa, madre di Balla, che invita tutti a sedersi a tavola. “A tale annunzio”, dirà poi Cangiullo, “mi accorsi che quel ragazzo, tormentato dall’ambizione, da un ingegno geniale e da un cuore d’oro, aveva la faccia della fame recidiva ed innocente”. Mangiarono tutti, e a quattro palmenti. Tutto era finito, come si conviene, a tarallucci e vino, anzi, a pastasciutta e vino. Pochi mesi dopo, i due avrebbero firmato, insieme, il celebre Manifesto: “Noi futuristi, Balla e Depero, vogliamo realizzare questa fusione totale per ricostruire l’universo rallegrandolo, cioè ricreandolo integralmente. Daremo scheletro e carne all’invisibile, all’impalpabile, all’imponderabile, all’impercettibile. Troveremo degli equivalenti astratti di tutte le forme e di tutti gli elementi dell’universo, poi li combineremo insieme, secondo i capricci della nostra ispirazione, per formare dei complessi plastici che metteremo in moto…”.

Giacomo Balla

Chi aveva inventato, alla fin fine, i Complessi plastici? La storia non lo dice. Forse, come avviene sempre, un po’ l’uno e un po’ l’altro, in un coacervo di intuizioni che rimandano le une alle altre, in un incrociarsi di influenze reciproche e di sinapsi che, accendendosi in uno, rimbalzano poi anche sull’altro. Sta di fatto che omicidio non ci fu, e noi non possiamo che ringraziare per questo la Storia, sempre maestra di vita, e con lei la signora Elsa e le sue ottime, benché poco futuristiche, pastasciutte. Con buona pace di Marinetti, che nel suo Manifesto della cucina futurista predicherà, pochi anni dopo, proprio l’abolizione della pastasciutta

Le puntate precedenti degli aneddoti sulle vite degli artisti le potete trovare qua:

Picasso e quella strana passione per il bagno

Manet, Monet e quel giudizio velenoso su Renoir

Annibale Carracci, i tre ladroni e l’invenzione dell’identikit

Quando Delacroix inventò l’arte concettuale

Il senso di Schifano per la logica e per gli affari

Gentile Bellini, lo schiavo sgozzato e il mestiere della critica

Bacon e il giovane cameriere bello come il Perseo del Cellini

Filippo Lippi, quando l’arte lo salvò dai turchi

Turner: il mio segreto è disegnare solo ciò che vedo

Renoir e il fuggitivo di Napoleone III travestito da pittore

Di quando Renoir fu scambiato per una spia

Renoir e la politica del turacciolo

Corot, il falso Corot e la crociata contro gli Albigesi

Tamara de Lempicka e D’Annunzio, di un ritratto mai fatto e di un amplesso mai consumato

Modigliani e quell’affresco sparito da Rosalie di Montparnasse

Prassitele e il trucco della cortigiana Frine

Bruegel il Vecchio e quella gente che non voleva proprio uscire dalla chiesa

Di Vedova e Turcato, e di un wc intasato

Peggy Guggenheim e quel baciamano poco convenzionale di William Burroughs

Di Rembrandt, della sua avidità e di quella strana abitudine di falsare il prezzo delle aste…

Il prossimo aneddoto sulla vita degli artisti lo trovate qua:

Franco Angeli e un ubriacone di nome Kerouac

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