Immersivo, onirico e solitario è il percorso installativo e site specific, fatto di luci e tarlatana, delle artiste Claudia De Luca ed Eleonora Conti, presentato presso il palco del teatro DamsLab, nell’ambito di ART CITY Bologna 2024. Come afferma l’autrice del testo critico, Elisabetta Mero, il progetto artistico “Quanto resta della notte” è un invito a entrare in una dimensione di veglia che trascende il tempo e che predispone alla luce. Le due artiste hanno realizzato una potente installazione visiva ed esperienziale, scolpita nella materia tessile e modellata dalla luce, che crea un’ambiente percettivo fortemente illusorio e indefinito, nel quale lo spettatore, come in un labirinto, si perde e poi si ritrova.
Abbiamo incontrato le artiste Claudia De Luca ed Eleonora Conti e le abbiamo intervistate per sviscerare il pensiero che sta alla base di questo progetto espositivo.
Claudia ed Eleonora, voi non siete un collettivo artistico, ma un duo che si è formato in occasione della installazione immersiva e site specific Quanto resta della notte. Mi raccontate chi siete e quali sono i medium artistici che utilizzate e le vostre rispettive poetiche?
Claudia De Luca: Sono una docente di storia e filosofia presso il Liceo Classico Galvani di Bologna, ma avendo conseguito anche una laurea presso l’Accademia di Belle Arti di Bologna da sempre sono solita coniugare la mia pratica artistica con una riflessione filosofica ben precisa. Concepisco l’opera d’arte come un divenire mai concluso nel quale traccio confini, soglie, sipari ed erosioni che per me sono gli elementi metamorfici che accompagnano da sempre l’incedere umano. Ciò che delineo nei miei lavori è una geografia interiore, un’anatomia intima nella quale nulla ha carattere di staticità, ma tutto manifesta una precarietà che può scivolare all’improvviso in un magma rizomatico in cui visibile e invisibile, verità ed illusione si confondono e si fondono. Nei miei lavori utilizzo sempre la tarlatana, un tessuto che io intendendo come benda di supporto che protegge e “cura” sia il processo semantico che quello visivo-pittorico.
Eleonora Conti: Sono una fotografa e videografa, con una formazione di tipo cinematografico. Il tempo è il grande antagonista che porta avanti la mia riflessione artistica. Realizzando fotografie o riprese video, infatti, separo lo scorrere del tempo così come viene percepito dall’essere umano ed attuo la mia personale ribellione. Il gesto di scattare una fotografia, e quindi di manipolare il tempo, rende possibile la creazione di una riflessione completamente svincolata e libera dalla rigidità del reale.
L’opera, che dall’esterno si presenta come struttura a quinte in tarlatana, incorniciata da cespugli di piante, è completamente trasfigurata da una potente fonte luminosa che crea un’illusione scenica, caratterizzata da una soprannaturale atmosfera color blu. Con questo espediente percettivo, che particolare momento avete voluto ricreare?
Claudia De Luca: Ci siamo concentrate sul momento dell’Ora Blu, ovvero quel particolare momento della giornata dopo il tramonto e prima della notte, o viceversa, dopo la notte fonda e prima dell’alba. L’Ora blu si presenta come un istante che definisco di sospensione e di confine nel quale in pochi minuti varchi una soglia temporale altra, un “altrove” certamente visivo ma anche molto personale ed intimo.
Eleonora Conti: l’Ora Blu è anche per me un momento di passaggio. Senza la consapevolezza di ciò che prima è stato, non puoi prendere atto del momento esatto nel quale ti trovi ora. Il blu può condurti verso l’alba, e di conseguenza verso la luce, così come può portarti nella più oscura delle notti. Abbiamo voluto e dovuto creare una installazione che si concentrasse su questo particolare momento per aprire una riflessione sullo scorrere del tempo e su come quest’ultimo viene percepito dal nostro io più profondo. Ho sentito anche la necessità di andare oltre la patina di indifferenza, affanno e passività con le quali sempre più percepiamo di invecchiare. Ho provato a puntare lo sguardo su un orizzonte più critico, cercando di “fotografare”, tramite un dialogo di luci e suoni, ciò che succede all’interno della coscienza quando il tempo evolve. Riferimento del mio lavoro artistico sono le parole del poeta persiano Shirāzi: “Tutti i figli di Adamo formano un solo corpo, sono della stessa essenza. Quando il tempo affligge con il dolore una parte del corpo le altre parti soffrono. Se tu non senti la pena degli altri non meriti di essere chiamato uomo”.
L’installazione è un’esperienza da vivere, non solo da guardare e contemplare. All’interno della materia tessile è posto un pozzo di cenere nere. Cosa sta a significare?
Claudia De Luca/ Eleonora Conti: lo sguardo che abbiamo posto sulla cenere è molto simile a ciò che Anselm Kiefer ha definito “ultimo mezzo espressivo”. Pur nella sua leggerezza e friabilità è ciò che permane, nonostante tutto. L’abbiamo sempre percepita come una presenza-assenza, che ha la potenza di catturare la luce e conferirle una nuova veste. Ma soprattutto la cenere ha la forza di ricordare la vita e celebrarla effimera o radicata che sia.
A cosa si ispira il titolo della mostra?
Claudia De Luca/Eleonora Conti: il titolo si ispira ad un versetto di Isaia (21, 11-12) che abbiamo voluto laicizzare e dunque rendere universale e trasversale nella sua potenza evocativa e spirituale. Non abbiamo voluto mettere un punto interrogativo perché “quanto resta della notte” non è una domanda ma un’affermazione che ogni uomo sa di avere dentro di sé. Portare la notte nel giorno e comprendere che una parte di ombra e di crepuscolo sarà sempre sulle nostre spalle, significa dare un senso al dolore e renderlo dignitoso ed utile. Il passaggio dal buio alla luce è sempre uno sforzo e noi abbiamo voluto invitare lo spettatore a superare questa soglia.
Qual è il vostro rapporto con la dimensione del tempo?
Claudia De Luca: il mio rapporto con il tempo vive nell’adesso. Non mi proietto e non mi progetto mai in una dimensione temporale lineare. Ho compreso che il tempo va vissuto con un misto di ironia e coraggio, perché è vano pensare di dominarlo o di frenarlo. La temporalità è un concetto terribile se vissuto con l’aspettativa del futuro, ma è meraviglioso se esperito con la volontà dell’oggi.
Eleonora Conti: definisco il mio rapporto con il tempo estremamente conflittuale. Se da una parte mi arrendo al suo volere e accetto che lo scorrere del tempo sia qualcosa che va al di là di spiegazioni puramente razionali e cronologiche, dall’altra parte utilizzo il suo scorrere veloce ed implacabile come moto creativo per portare avanti la mia ricerca artistica.
L’opera è installata sul palco del Teatro DAMSLab di Bologna, un luogo che non è neutro in quanto atto ad ospitare rappresentazioni sceniche e performative. In che modo si configura il vostro rapporto con il contenitore-teatro e avete intenzione in futuro di rapportarvi anche con l’esperienza performativa?
Claudia De Luca/Eleonora Conti: abbiamo avuto da sempre l’idea di trovare un teatro per questa installazione. L’opera è stata concepita come una scenografia dell’anima e dunque non poteva che essere un teatro il luogo dove realizzarla. La particolarità del teatro DAMSLAB è che non c’è un palco, ma l’opera si crea per terra, sulla terra. Ci piaceva l’idea di avere il pubblico sugli spalti, in alto. Lo spettatore doveva scendere e avere il coraggio di entrare in una dimensione che, forse, era solo un sogno, una dimensione irreale e visionaria ma non per questo meno autentica.