Renoir e la politica del turacciolo

In questa rubrica vi raccontiamo storie, aneddoti, gossip e segreti, veri, verosimili o fittizi riguardanti l’arte e gli artisti d’ogni tempo. S’intende che ogni riferimento a persone esistenti o a fatti realmente accaduti sia puramente casuale…

Abbiamo visto di come Renoir fece fuggire un giornalista repubblicano, Raoul Rigault, dalle grinfie delle guardie di Napoleone III (Renoir e il fuggitivo di Napoleone III travestito da pittore), e di come questi, nel frattempo divenuto capo della sicurezza durante la Comune, gli salvò la vita quando la folla, scambiatolo per una spia, voleva farlo fucilare (Di quando Renoir fu scambiato per una spia). Ora vedremo invece di come si fece invece passare prima per comunardo, poi per versigliese, a seconda della convenienza.

Bisogna sapere che in tempi, com’erano quelli che andiamo raccontando, di disordini e di guerre intestine, un lasciapassare giusto poteva salvarvi la vita, ma quello sbagliato poteva anche provocarvi la morte. Renoir, che voleva entrare e uscire da Parigi per andare a dipingere nella sua amata foresta di Fontainebleu, suo unico pallino e sua unica passione, chiese dunque a Raoul Rigault, l’amico cui a suo tempo aveva salvata la vita, un lasciapassare per uscire di città. Costui, prima di lasciarlo andare, gli fece una raccomandazione: “Se sarete preso dai versigliesi, evitate di mostrare il lasciapassare. Vi fucilerebbero immediatamente”.

Il principe Bibesco

C’era però un altro amico del pittore che frequentava l’altra parrocchia, per l’appunto quella versigliese: era costui il principe Antoine Bibesco, personaggio del bel mondo dell’epoca, che fu amico anche di Proust, che lo prese in parte a modello per il suo personaggio di Saint-Loup nella sua Recherche.

Costui, dunque, venuto a sapre della presenza di Renoir nel villaggio di Louveciennes, un po’ fuori Parigi, si recò a trovarlo e gli fece avere un lasciapassare versigliese. In questo modo, il pittore poteva transitare liberamente tra Parigi, Louveciennes e Marlotte, sul ciglio della foresta, per andare a dipingere en plein air nonostante infuriasse la guerra.

“Renoir scelse un albero cavo in un giardino abbandonato in fondo alla rue de Vaugigard”, raccontò il figlio, il regista Jean Renoir, nella biografia Renoir mio padre, “dove finivano le linee reazionarie e cominciavano quelle rivoluzionarie. Prima di passar la frontiera nascondeva così nell’albero il documento compromettente e lo sostituiva con quello giusto, salvo poi fare lo scambio contrario al ritorno”.

“Quando mi raccontava questa vicenda”, scrive ancora Jean Renoir, “mio padre non mancava mai di citare i versi di La Fontaine: ‘Le sage dit, selon les gens: Vive le roi, vive la ligue!’” (“Il saggio dice, a seconda delle persone, Viva il Re, viva la Lega!”): dimostrando così, diciamo invece noi, di essere, politicamente, quel che oggi si direbbe un opportunista fatto e finito. Un’altra teoria attribuita a Renoir, del resto, era quella della “politica del turacciolo“: “Bisogna seguire la corrente”, amava dire il pittore. “Di tanto in tanto si deve dare un colpo di timone o a destra o a sinistra, ma sempre nel senso della corrente“. Proprio come fanno certi italiani di ieri e anche di oggi, secondo i quali vale un altro celebre detto: “O Francia o Spagna, purché se magna…”.

Le puntate precedenti degli aneddoti sulle vite degli artisti le potete trovare qua:

Picasso e quella strana passione per il bagno

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Renoir e il fuggitivo di Napoleone III travestito da pittore

Di quando Renoir fu scambiato per una spia

Il prossimo aneddoto sulla vita degli artisti lo trovate qua:

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