San Cataldo: un porto sommerso a poche bracciate dalla costa

A poche bracciate dalla costa adriatica, nella località di San Cataldo, a una decina di chilometri da Lecce, l’acqua per secoli ha celato memorie che, solo da poco, sono state rese pubbliche e “visitabili”. Per esplorare il fondale e immergersi nella storia, è sufficiente portare con sé maschera e boccaglio, e nelle giornate in cui l’acqua è limpida – fortunatamente accade abbastanza spesso – non sono necessari neanche quelli. Munirsi di pinne non è obbligatorio, ma è utile a darsi una spinta in più.

Vastissimo il patrimonio sommerso che è stato riportato alla vista ed è giornalmente monitorato, con cura e dedizione estrema, e costanti gli interventi di rimozione della sabbia che, a causa di venti e correnti, si sedimenta sui reperti. Il fautore di molte di queste scoperte, soprattutto in Puglia, è il Centro Euromediterraneo per l’Archeologia dei Paesaggi Costieri e Subacquei ESAC, coordinato da Rita Auriemma, docente di Archeologia subacquea presso l’Università del Salento.

Per immergersi in un’altra epoca, a volte non serve fare lunghi cammini. Può bastare fare un tuffo giù e tenere gli occhi ben aperti. È quello che succede quando si visita il “Porto Sommerso”, in località “Posto San Giovanni”, lungo la costa tra San Cataldo e “Le Cesine”, nelle vicinanze dell’Edificio Idrovoro della Riforma Agraria, in provincia di Lecce.

Quello di San Cataldo è un “non così piccolo” tesoro. Si tratta di un percorso segnato da enormi sezioni di pietra che, probabilmente, andavano a costituire un antico molo che oggi appare sott’acqua a pochi metri dalla spiaggia, ricoperto a causa dell’innalzamento del livello del mare. I resti, in gran parte di età romana, proverebbero l’esistenza di un antico complesso portuale, a circa 15 metri dalla costa, verosimilmente in corrispondenza di dov’era la riva.

La struttura del molo è imponente: “larga 8 metri, realizzata in grandi blocchi giustapposti, originariamente sovrapposti ma oggi crollati e sparsi”, intervallati da grandi blocchi parallelepipedi con un lato sagomato, interpretabili come possibili bitte (colonne basse a cui venivano ancorati i cavi di ormeggio). Le ricerche condotte fino al 2023 hanno permesso di individuare per il molo una struttura continuata a forma di “L”, che raggiunge quasi i 150 metri totali.

Poche centinaia di metri più in là, è stata documentata anche l’esistenza dei resti di un edificio con “la base intagliata in uno sperone roccioso e l’elevato dei muri in cementizio”, una struttura regolare che, un tempo, sarebbe stata collegata al molo. Per anni è stato ipotizzato si trattasse di una chiesa di modeste dimensioni, poi celata dalle acque. Con maggiore probabilità si tratterebbe, invece, di una torre o un faro, il che motiverebbe anche la vicinanza al molo e alla costa. 

Le ipotesi non si fermano, però, alla “sola” identificazione dei reperti (un molo, una chiesa, forse un faro), ma vanno più in là, indagandone i tempi e le ragioni di costruzione, nonostante le difficoltà dovute agli effetti degli agenti atmosferici e all’azione distruttrice del mare. Quella più affascinante che mi è stata raccontata – che per essere confermata, richiederebbe ulteriori verifiche – farebbe risalire la costruzione ai tempi di Augusto. La riporto qui, tra leggenda e realtà.

Dopo la congiura delle idi di marzo, in cui l’imperatore Cesare fu ucciso, Ottaviano da Apollonia (attuale Albania), avrebbe dovuto trovare il modo di ritornare a Roma. La sua unica possibilità per sbarcare in Italia sarebbe stato il porto di Brindisi ma, per evitare di incorrere in pericoli e che i nemici lo attendessero proprio lì, non essendoci altri luoghi di sbarco “sicuri”, avrebbe deciso di far sbarcare truppe e navi in una zona già in parte attrezzata, che potrebbe aver potenziato. La zona prescelta sarebbe stata proprio la costa delle Cesine (a una decina di chilometri da Lecce), località che gli avrebbe permesso di raggiungere facilmente la città, dove avrebbe potuto contare sull’aiuto di persone amiche, vicine alla sua famiglia. Una volta a Lupiae, dopo aver acquisito le necessarie informazioni, si sarebbe incamminato verso la capitale dell’impero.

La tesi sarebbe avvalorata da due fatti: la struttura del “porto ritrovato” è simile alla parte sommersa del grande molo di Adriano (117-138 d.C.), poco più in là, ma non si esclude che la costruzione possa essere ancora più antica; autori antichi (Appiano e Nicolao Damasceno) ricordano lo sbarco di Augusto nel 44 a.C., da Apollonia al porto di Lupiae, struttura che doveva essere abbastanza nota e “realizzata” già all’epoca, per poter accogliere la flotta del futuro imperatore.

Questo tratto di costa merita un’attenzione diversa“, afferma la professoressa Rita Auriemma, “per la sua bellezza naturale e le tante testimonianze di storia e di storie che qui si addensano. Si tratta di un patrimonio diffuso che occorre restituire alla comunità, coinvolgendo anche quei cittadini ‘temporanei’, i turisti, oggi sempre più interessati a esperienze uniche e autentiche”.

Nell’attesa che la ricerca continui, smentisca o confermi, e getti l’ancora lì dove ancora nulla si conosce, ESAC invita alla partecipazione e alla collaborazione, nel rispetto di un patrimonio condiviso da valorizzare e proteggere, perché le nostre mura non coincidano più con le pareti di casa, ma con i confini del mondo, anche se nascosto. Anche se sommerso.

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