Scotini, “la mostra CENSORED è un’aperta denuncia ai sistemi di potere in favore della libertà di espressione”

La censura nell’arte è un tema che ha interessato ogni epoca, in forme più o meno accentuate, e riguarda anche la nostra, saldandosi con il capitalismo contemporaneo e le nuove configurazioni del potere a esso correlate. Proprio su questi aspetti intende far luce la mostra Censored: An ongoing archive of silenced voices presso la galleria Laveronica a Modica, dove, fino al 5 aprile, sono visibili opere di artisti – nazionali e internazionali – che sono state rimosse dai contesti espositivi o che mai hanno potuto raggiungerli.

Nell’intervista che segue, con il curatore Marco Scotini siamo partiti dalla mostra, per poi approfondire l’implicazione di istituzioni come Biennale e documenta nei meccanismi di censura, guardare all’eredità socio-politica di eventi come il G8 di Genova e aprire a ulteriori temi tutti strettamente interdipendenti in un discorso politico antagonista tanto urgente quanto necessario. 

installation view censored an ongoing archive of silenced voices group show curated by marco scotini 2024 laveronica gallery modica

Come è nata l’idea della mostra e come è avvenuta la selezione degli artisti?

Le politiche di controllo che stiamo subendo a livello mondiale sono terribili. È di questi giorni la notizia che, dopo la vittoria di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti, molti musei dovranno cambiare le loro politiche culturali. La National Gallery of Art di Washington ha annunciato la fine delle sue iniziative dedicate alla diversità, equità e inclusione – DEI, adeguandosi a un ordine esecutivo appena ricevuto.

Non parliamo, poi, del caso tedesco che dopo la documenta fifteen ha visto la Germania trasformarsi in uno stato totalitario dal punto di vista culturale. L’idea della mostra CENSORED è nata un anno fa insieme a Corrado Gugliotta della Galleria Laveronica per rispondere a questi casi. Tanto più che molti artisti presenti nella galleria siciliana hanno subito censure. Io stesso non sono nuovo a questo ordine di problemi, visto che parte delle mie mostre sono state censurate a Istanbul, Yinchuan (Cina) e, più recentemente, a Berlino. La scelta e il numero degli artisti hanno dovuto fare i conti anche con lo spazio espositivo ma i casi da registrare sarebbero stati molti di più. In questo senso è stato necessario pensare a una mostra in corso, ongoing, che può sempre ampliarsi in futuro.

In una precedente intervista rilasciata ad Artuu, parlando di Disobedience Archive, sosteneva che il “compito di questi materiali è in qualche modo non solo produrre la storia ma anche denunciare la sua mediatizzazione con una valenza antagonista ma anche una forte valenza affermativa”. Si può considerare CENSORED un ulteriore tassello dell’archivio della disobbedienza?

Certo i rapporti con Disobedience Archive sono molto stretti anche se le due mostre non sono sovrapponibili. Di fatto, in CENSORED, la condizione decisiva per il coinvolgimento degli artisti o delle artiste è stata quella per cui le opere esposte avrebbero dovuto essere state censurate in occasioni espositive precedenti o, addirittura, bloccate nella loro realizzazione, oppure escluse dalla circolazione. Inoltre, le opere presenti nella mostra presso la Galleria Laveronica non sono esclusivamente video come lo sono invece nell’altra. Comunque, tanto il progetto Disobedience Archive quanto la mostra CENSORED rappresentano una aperta denuncia ai sistemi di potere in favore della libertà di espressione.

Nella “nuova alleanza tra liberismo di mercato e autoritarismo nazionalista” che ruolo rivestono istituzioni artistiche come Biennale e documenta?

Un ruolo molto pericoloso! Pericoloso perché sono considerate le manifestazioni più importanti del sistema dell’arte contemporanea globale. Come tali, si presume che testimonino un avanzamento culturale e una sottrazione dalle forme del potere. Parlare di arte significa palare della libertà dell’arte. Ma se la Biennale di Venezia di oggi (così come altre biennali) si porta dietro l’eredità anarchica della sperimentazione radicale degli anni Settanta, la mostra quinquennale documenta dal 1955 in poi è, per statuto, il luogo del risarcimento delle opere d’arte contemporanea messe al bando sotto il nazionalsocialismo.

Ma se negli anni Settanta gli artisti potevano addirittura dormire negli spazi dei Giardini di Castello per completare le loro opere, oggi la Biennale di Venezia è una macchina burocratica spaventosa che non lascia spazio all’improvvisazione o al caso. Documenta, così come le altre istituzioni culturali tedesche, sta diventando una macchina censoria che, al massimo, potrà essere espressione di autocensura se non di censura politica diretta. Sarebbe lungo ricordare qui gli eventi che dall’ultima edizione a Kassel del 2022 hanno portato alle dimissioni del comitato selettivo ufficiale nel 2023 e poi alla nomina di Naomi Beckwith, una rappresentante della grande Istituzione americana e non certo una ricercatrice sperimentale. Allora il rischio quale è? Quello di far passare come espressione libertaria ciò che è preventivamente controllato e mondato dal potere statale.

installation view censored an ongoing archive of silenced voices group show curated by marco scotini 2024 laveronica gallery modica

La speranza – espressa da più parti – che dalla pandemia e dal lockdown “saremmo usciti migliori” si è evidentemente sgretolata di fronte ai nostri occhi. E infatti sono esplose vecchie e nuove urgenze con cui fare i conti, dall’autoritarismo di Stato al controllo esercitato dalle piattaforme, dall’accentuarsi delle diseguaglianze all’avanzata delle destre. L’evento periodizzante della pandemia come ha influito sui temi della mostra?

Due mesi dopo lo scoppio della pandemia, in una intervista rilasciata al quotidiano “Il Manifesto”, dicevo: “La concezione di «guerra alla popolazione” con cui Lazzarato legge l’ultimo stadio del neoliberismo e della globalizzazione mi pare si adatti perfettamente a descrivere la pandemia di oggi. In sostanza, per il capitale ogni occasione diventa una risorsa preziosa per mettere a profitto un nuovo piano securitario e un’ennesima strategia di controllo (spietata e pacificata) sulla popolazione.

Un piano che attraverso le ragioni della sicurezza avalla e riproduce nuovi razzismi, sessismi, differenze di classe, servilismi, colonialismi”. Mentre tutti affermavano che saremmo usciti più umani e gli slogan erano quelli del “care”, della “ospitalità” e retoriche simili, avevo ben capito che, da quel momento, il mondo non sarebbe stato più lo stesso: che presto ci saremmo trasformati in guerrafondai e fascisti. Un’altra retorica imperante era allora quella legata ai media e all’esperienza intensificata e accelerata del digitale. E così concludevo: “Eppure lo tsunami digitale che ci ha assalito in questi giorni, con tutta una sequenza infinita di at-home-museum, curatele instagram, guided tours virtuali a porte chiuse, online viewing rooms, pare credere nell’esatto contrario. È incredibile come il capitalismo contemporaneo faccia apparire come salvatore della società proprio ciò che più la insidia e la minaccia. E come quest’ultima, su un progetto d’irrecuperabile separazione politica (del corpo, del lavoro, del nostro essere insieme), fondi ormai la propria speranza.” Certo tutto questo è entrato a far parte ora delle mie mostre.

installation view daniela ortiz abc of racist europe 2017 left daniela ortiz the rebellion of the roots palestine 2022 right courtesy the artist and laveronica gallery

La confederazione di musei e organizzazioni artistiche L’Internationale ha pubblicato la dichiarazione Everything will stay the same if we don’t speak up, letta collettivamente a Venezia nei giorni dell’apertura della Biennale Stranieri ovunque. Nel testo si legge: “We see that the ground for silencing was being prepared long before the ongoing genocide in Gaza”. In che modo, secondo lei, è stato progressivamente preparato questo terreno e come si è inasprita la situazione dal 7 ottobre 2022? 

Vediamo subito qualche contraddizione. Da un lato, nel 2019 il Bundestag tedesco passa la mozione che condanna il movimento BDS (Boycott, Divestment and Sanctions, un movimento filopalestinese che promuove sanzioni economiche contro Israele) mettendo al bando ogni possibilità di critica contro Israele. Dall’altro lato, dopo il 2019, invita a curare le manifestazioni artistiche più importanti in Germania (documenta e Berlin Biennale) un collettivo indonesiano proveniente da un contesto islamico e l’artista di origini algerine Kader Attia. Senza aggiungere nulla al carattere duplice del capitalismo contemporaneo (violenza e istituzione, liberalità e censura, governamentalità e guerra), il fatto stesso che la mostra curata da Kader Attia non abbia sollevato nessuna critica da parte istituzionale lascia trasparire molto su un allineamento al sistema da parte dell’artista di origini algerine.

Forse lo Stato tedesco si sarebbe aspettato lo stesso da Ruangrupa in modo tale da sdoganare, come legittima e senza frizioni, la risoluzione anti-BDS: ma così non è stato. Ecco allora che arriva, dopo poco, la controversa questione (l’hanno chiamata incidente) dell’opera People’s Justice del collettivo Taring Padi che fa saltare il coperchio dalla pentola e ha sollevato problemi sistemici molto più ampi dell’accusa antisemita. Siamo tra il 2019 e 2022, e dunque prima dell’attacco del 7 ottobre 2023. Da quel momento in poi si crea una sorta di spietato Maccartismo filosemitico che ha messo a tacere centinaia di eventi, presentazioni, premi, mostre ecc. La grande totalità degli stati nazionali ha reso legittimo il genocidio perpetrato da Israele.

installation view grip etcetera fake news the helicopter club detail 2017 2024 courtesy the artist

Nel 2021, sempre presso la Galleria Laveronica, aveva curato la mostra The Insurgent Archive. Contronarrazioni e rappresentazioni: Genova 2001. Anche quella dei fatti accaduti a Genova tra il 19 e il 22 luglio del 2001 è una storia di voci silenziate, di eventi tendenzialmente ricostruiti guardando ai fatti più eclatanti e di violenza; al contrario, poco si è fatto per riflettere sulle premesse e il portato di tali giornate e delle battaglie che hanno coinvolto gruppi e movimenti sotto lo slogan “un altro mondo è possibile”. Quali sono le eredità principali di Genova 2001 e delle forze antagoniste lì raccolte?

Genova rimane ancora un capitolo aperto o una vera e propria ferita mai risarcita delle forme repressive di Stato. Troppo ci sarebbe da dire su quella inammissibile sospensione dei diritti democratici da parte di uno Stato guidato da Silvio Berlusconi. Eppure, nonostante tutto sia stato fortemente rivolto a scoraggiare ogni impresa antagonistica, Genova non è certo un lutto da celebrare ma continua a essere una festa da rinnovare. Basti pensare alla grande impresa di solidarietà che è stato Supporto Legale, nato nel 2004 per difendere tutti e tutte e trasformare la solidarietà in azione politica per non lasciare indietro nessuno. La grande eredità sta dunque nel pensare che un altro mondo è ancora possibile anche se appare più difficile la sua realizzazione e richiede un altro tipo di organizzazione.

Uno degli artisti in mostra è Nanni Balestrini, recentemente al centro di un caso circa la discussa mostra Il Tempo del Futurismo, presso la Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma. Lì è stata esposta un’opera della serie Non capiterà mai più senza che la Fondazione Balestrini venisse informata del prestito concesso dal Museion di Bolzano. Si può parlare di strumentalizzazione di Balestrini? È possibile considerare la strumentalizzazione l’altra faccia della medaglia della censura, con la volontà di inserire una voce dissidente e radicale all’interno di una narrazione politica altra al fine di depotenziare tale voce? 

Sicuramente, è successo recentemente anche con una figura della statura di Gramsci. La Fondazione Nanni Balestrini è venuta a conoscenza della presenza dell’artista in mostra solo in occasione dell’opening della kermesse romana. La violenza culturale di tali azioni è sempre più allarmante se si pensa che lo stesso Balestrini ha vissuto sei anni di esilio francese per le accuse ricevute dallo Stato italiano nel 1979. Ma la libertà e spregiudicatezza attuali di silenziare le voci dissidenti porta a evidenza come la critica e l’opposizione generale siano ritenute un campo ormai inoffensivo. Per questo è arrivato il momento di svegliarsi e di agire.

installation view censored an ongoing archive of silenced voices group show curated by marco scotini 2024 laveronica gallery modica

La mostra CENSORED reagisce al silenzio imposto raccogliendo istanze di rivolta, reazione e conflitto e la creazione di nuovi spazi e occasioni di organizzazione collettiva e politica. Quali sono gli obiettivi del “programma politico-economico antagonista” di cui l’esposizione è espressione?

Nonostante tutta questa controrivoluzione sia all’opera dal post-pandemia (ma potremmo farla risalire alla crisi finanziaria del 2008) in poi, forze indipendenti si stanno organizzando ovunque contro le varie relazioni di dominio nella cultura (di genere, di razza e di classe) per rivendicare la pluralità necessaria dei punti di vista così come la libertà di espressione e di azione. In tal senso, penso a Strike Germany che sostiene un impegno nella lotta per la liberazione e contro l’embargo della Germania sulla solidarietà internazionalista. Il loro è un appello a rifiutare l’uso da parte delle istituzioni culturali tedesche di politiche maccartiste che reprimono la libertà di espressione, in particolare le espressioni di solidarietà con la Palestina, ma l’altra associazione internazionale che mi viene in mente è ANGA, Art Not Genocide Alliance, fondata nel 2024 sotto lo slogan “No morte a Venezia/No al padiglione del genocidio” per boicottare la presenza del Padiglione di Israele alla Biennale di Venezia, dove era anche esposto il mio progetto corale Disobedience Archive. Tutto torna.

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