Chiunque si immerga nel quartiere di El Raval a Barcellona è testimone di una delle aree più controverse ed autentiche della capitale catalana, la sua identità spazia da caffè e negozi ricercati a zone, purtroppo, malfamate. Per contrastarne il lato più “oscuro”, negli anni è stato avviato un processo di riqualificazione culturale dell’area con la nascita, tra le molteplici realtà, del CCCB, Centro di Cultura Contemporanea di Barcellona, che, insieme al Macba, Museo d’Arte Contemporanea di Barcellona, forma un hub culturale capace di attirare quotidianamente turisti e locali grazie alla fitta programmazione artistica.
Infatti, a partire dal 18 luglio fino all’8 dicembre il CCCB ospita la mostra “Agnès Varda Fotografiar, Filmar, Reciclar” curata da Florence Tissot e dedicata ad una delle artiste più eclettiche del nostro secolo: Agnès Varda. Questa retrospettiva è un dettagliato resoconto della vita artistica e privata dell’artista raccolta in un percorso totale di tredici sale. All’ingresso vi avviseranno: puoi dedicarci un pomeriggio intero oppure con lo stesso biglietto ritornare un altro giorno, a voi la scelta!
Agnès Varda era una donna sfrontata ed indipendente, nata come fotografa e successivamente evoluta in regista ed artista contemporanea. Amava il mare, e questo suo amore viene volutamente introdotto con l’opera della prima sala, “Bord de Mer”, uno schermo poggiato sul pavimento con della sabbia ed il video di onde marine che si infrangono sulla costa. Il mare era per l’artista un punto fondamentale della sua esistenza, un legame così intimo tanto da dichiarare che se mai avessero aperto il suo corpo lo avrebbero trovato proprio lì, quieto e sconfinato.
Successivamente, si prosegue con un percorso espositivo dettato dai periodi più importanti della vita di Varda, mostrati con una moltitudine di installazioni fotografiche, video e documenti scritti esposti in ampie sale. Come i gatti, animali da lei adorati, l’artista ha vissuto più vite. Con la fotografia, ad esempio, ha indagato il movimento femminista tramite l’opera “Je ne vois pas la [femme] cachée dans la forêt”, un collage fotografico che allude all’opera originale di Magritte, una cornice raffigurante i volti dei maggiori esponenti della corrente del Surrealismo con l’aggiunta al centro di un corpo nudo femminile, come simbolo di donna pensante rispetto alla mera oggettificazione.
Il linguaggio fotografico entra nella vita di Varda fin dalla giovane età, nel suo studio a Rue Daguerre a Montparnasse, Parigi, come atto di comunicazione mirato alla comprensione dell’altro attraverso rapporti creativi: prediligeva foto in bianco e nero, nudi ed immagini originali che oltrepassavano l’ordinario, cercando una realtà nascosta dietro le apparenze. Il suo intento non era solamente mostrare ma concedere alle persone il desiderio di vedersi, sentendosi parte del processo creativo.
A livello cinematografico, la mostra si focalizza su alcuni tra i suoi massimi lavori, considerati promotori della Nouvelle Vague, come “La Pointe Courte” e “L’Opéra-Mouffe” realizzati negli anni ‘50. Entrambi i lungometraggi descrivono scene di vita comune distanti ma intrecciate: in “La Pointe Courte” la sofferenza di una coppia in crisi viene intervallata da scene di ordinaria routine lavorativa tra pescatori nel paesino di Sète, mentre ne “L’Opéra-Mouffe” prende scena il crudo dualismo tra la felicità di una donna incinta e le vite in bilico di clochards a Parigi. Il visitatore è in grado di immergersi nelle due storie senza necessariamente aver visto precedentemente i lungometraggi, questo grazie alle numerose testimonianze fotografiche, le didascalie con descritte le fasi del progetto più la visione di alcuni spezzoni dei film.
Le sale dedicate all’esplorazione di nuove realtà e culture da parte di Agnès Varda sono esplosive, mostrano come l’artista belga abbia personalmente rielaborato le testimonianze vissute in prima persona negli anni ‘60. Un esempio è durante il soggiorno a Los Angeles, dove immortala una giovane generazione in lotta contro l’establishment collaborando con artisti del calibro di Jim Morrison e Andy Warhol. In viaggio verso Cina e Cuba, Varda invece esplora la trasformazione socialista in atto presentando una serie di foto trasformate in un cortometraggio intitolato “Salut les Cubans”, una panoramica a tuttotondo dell’atmosfera cubana pochi anni dopo la rivoluzione. Immancabile la sezione dedicata al viaggio in Catalogna negli anni ‘50, dove l’artista ebbe la possibilità di fotografare Salvador Dalì, immagini che di certo non deludono il visitatore per la loro tagliente creatività.
Infine, i legami familiari ed amicali sono per lei sempre stati fonte di massima ispirazione, doverosa una menzione al suo compagno di vita, il regista e sceneggiatore cinematografico Jacques Demy, il cui nome non è solo presente nella sezione a lui dedicata ma in varie sezioni della storia artistica di Varda a significare il forte legame artistico e sentimentale che li legava. Invece l’artista contemporaneo JR si avvicina al lavoro di Varda negli ultimi anni della vita della fotografa belga, una coppia descritta come insolita ma ben assortita, amante della fotografia e delle storie comuni, di persone comuni. Il loro documentario “Visages, villages” nel 2017 sarà una delle ultime opere di Varda, che mancherà all’età di novantuno anni nel 2019.
“Agnès Varda Fotografiar, Filmar, Reciclar” è più che una mostra, è un romanzo avvincente sulla vita di un’artista non convenzionale, carismatica e soprattutto per tutti.