Sgarbi: “Vi svelo i segreti dell’Ecce Homo di Caravaggio in mostra a Madrid”

È il marzo del 2021 quando Vittorio Sgarbi, avvertito da un amico, Antonello Di Pinto, docente e pittore dall’ottima tecnica, oltre che buon conoscitore dell’arte cinque e seicentesca, si interessa a un dipinto, un “Ecce Homo” su tela di 111×86 cm, messo all’asta dalla casa madrilena Ansorena e presentato come opera del “Circolo di José de Ribera” col titolo La Coronacìon de espinas. Base d’asta: 1.500 euro. Secondo Di Pinto, che invia un’immagine dell’opera a Sgarbi per chiederne una perizia, si tratterebbe in realtà di un dipinto di Mattia Preti. “Io la vedo, capisco che l’opera è di Caravaggio e penso, con l’aiuto di un finanziatore, di portarlo in Italia”, dirà in seguito Sgarbi. Nel giro di pochi giorni, però, altre persone cominciano a interessarsi all’opera: la voce circola, le telefonate alla casa d’asta madrilena si intensificano, tanto che la è la stessa casa d’aste a decidere di ritirare l’opera, “per fare verifiche e studiare più approfonditamente il pezzo”. Di lì a poco, emerge quello che più avanti verrà riconosciuto da tutti gli studiosi in maniera pressocché univoca: il dipinto, che stava per essere battuto con una base d’asta di 1.500 euro, è effettivamente un Caravaggio autentico.

Il critico, nel frattempo, scrive un libro sull’argomento, molto documentato e con l’apporto di altre autorevoli testimonianze critiche, Ecce Caravaggio. Da Roberto Longhi a oggi (La Nave di Teseo, pagg. 264, euro 20). Il Ministero della Cultura spagnolo, da parte sua, si muove velocemente, imponendo un divieto di esportazione e dichiarato l’opera come protetta, riconoscendola di interesse culturale. Il dipinto, restaurato da un pool di esperti della Comunidad de Madrid con la collaborazione del restauratore Andrea Cipriani e dell’ingegnere nucleare Claudio Falcucci, che conduce indagini diagnostiche avanzate sul quadro, viene analizzato, studiato, restaurato. Questi sforzi congiunti permettono non solo di conservare l’integrità del quadro, ma anche di approfondirne la comprensione della tecnica pittorica e dello stile, attribuendolo definitivamente, e senza ombra di dubbio, alla mano di Michelangelo Merisi. Ora, il Museo del Prado di Madrid ha deciso, in collaborazione con la casa d’aste Colnaghi, che ha sedi a Londra, New York, Bruxelles e Madrid, e che nel frattempo ha venduto l’opera a un collezionista privato (un aristocratico collezionista inglese che vive in Spagna, e che avrebbe acquistato l’opera di Caravaggio per circa 30 milioni di euro), di esporla per cinque mesi al museo, in una sala predisposta per l’occasione. La mostra sarà aperta dal 28 maggio fino alla fine di ottobre. “Dalla sua ricomparsa all’asta tre anni fa, l’Ecce Homo ha rappresentato una delle più grandi scoperte nella storia dell’arte”, scrive il Museo del Prado in un comunicato. “Si ritiene che facesse parte della collezione privata di Filippo IV di Spagna ed è una delle circa 60 opere di Caravaggio esistenti, quindi una delle opere d’arte antica più preziose al mondo”.

In questo testo, Vittorio Sgarbi racconta la genesi dell’opera, la sua analisi iconografica, le vicende storiche che ne suggeriscono l’origine e la datazione, e i risvolti meno conosciuti che la accompagnano. Ma anche la storia di quel formidabile ritrovamento, nella quale proprio Sgarbi, tra i primissimi a riconoscere la mano caravaggesca, ha avuto un ruolo di primissimo piano.

Ecce Homo, tutti i misteri del dipinto ritrovato

LEcce Homo di Caravaggio scoperto a Madrid

“Ecce Homo”. E non è soltanto il soggetto dell’impressionante dipinto che qui vedete per la prima volta; ma è la “cattura” del pittore più ricercato degli ultimi decenni, e al quale si lega la gloria di un critico d’arte. Accadde con un’altra “Cattura”, quella di Cristo, trovata a Dublino nel 1990 da Sergio Benedetti, curatore della National Gallery of Ireland, e di cui vi è una notevole seconda versione apparsa in Italia presso Mario Bigetti; ma certo è un’esperienza pressoché unica, benché molti in questi ultimi anni abbiano proposto opere riferite a Caravaggio con aspettative non soddisfatte (penso all’ultima Giuditta e Oloferne, ritrovata in Francia e sostenuta senza seguito da Nicola Spinosa e Keith Christiansen).

Michelangelo Merisi da Caravaggio Cattura di Cristo 1602 Galleria Nazionale dIrlanda Dublino

Comincia da qui in avanti un confronto tra studiosi dagli esiti inizialmente incerti, e oggi, in grande misura, concordanti, seppure con diverse interpretazioni su origine, storia e possibile datazione. Quello che vi racconto, con l’agnizione di Caravaggio, è solo l’inizio di un percorso immediatamente interrotto.

Inizia il giallo: scuola di Ribera, Mattia Preti o Caravaggio?

La storia fin qui è un piccolo giallo, che sarebbe rimasto irrisolto ancora per qualche tempo, se l’accelerazione degli eventi non mi avesse consentito, non avendo ragioni di riserbo, di rivelare subito il mio pensiero. Tutto comincia con la segnalazione dubbiosa di un amico, che si divide tra Madrid e Lavello, che il 25 marzo 2021 mi manda un’immagine e un sibillino messaggio: “Buongiorno prof, ho intercettato questo dipinto, ho un magnate dell’antiquariato che preme per l’acquisto a cifre significative, sto cercando di capire perché. Io avrei individuato un giovane Mattia Preti o altro pittore romano intorno al 1630, ma io sono io e tu sei la massima autorità in questo campo. Mi dici spassionatamente che ne pensi? Nel caso il magnate lo acquistasse saresti disposto a expertise? Ovviamente sempre che il nome del pittore valga l’expertise di Sgarbi… Tuo discepolo Antonello Di Pinto”.
Il destino in un cognome, ovvero il destino di una vita. Gli parlo, e mi riferisce lo stato di eccitazione e il febbrile desiderio dell’antiquario, che non fatico a riconoscere. Il vantaggio del segnalatore è di avere identificato il dipinto in una sede in quel momento a lui solo nota, e di offrirsi, quindi, come il mediatore per l’acquisto di un dipinto significativo del primo Seicento. Ma alla visione dell’immagine, io non ho dubbi. Non si tratta certo di Mattia Preti, e neppure di altro maestro nel genere di Bartolomeo Manfredi o Jusepe de Ribera, i primi “ortodossi” caravaggeschi; ma di “lui” in prima persona. Caravaggio. Inequivocabile.

Qual è l’origine del dipinto?

LEcce Homo di Palazzo Bianco a Genova attribuito a Caravaggio

L’emozione è immediata, e deriva dall’assoluta semplificazione del dipinto e da una sua potente brutalità, che respinge in un limbo attributivo l’Ecce Homo della Galleria di Palazzo Bianco a Genova, riferito a Caravaggio, dopo alcune esitazioni, da Roberto Longhi (L’Ecce Homo’ del Caravaggio a Genova, in “Paragone”, 51, 1954).

Roberto Longhi

Ma se pure quest’ultima proposta dello studioso di Alba fuorviò la critica per oltre settant’anni, il contributo longhiano ebbe il merito di far conoscere, seppur in fotografia e con un vago riferimento alla Sicilia tale da risultare oggi irrintracciabile, l’unica copia nota del dipinto madrileno, testimone dunque di un probabile passaggio in antico sull’isola del nuovo dipinto. Eventualità, quest’ultima, che è rafforzata dalla lunga serie di palesi derivazioni – e loro copie – siciliane dall’Ecce Homo: dalle riproduzioni dello stesso quadro genovese, o delle due diverse versioni in collezioni private ad Arenzano e a Cittadella in cui Gianni Papi si ostina a riconoscere un prototipo merisiano.

Mario Minniti Ecce Homo 1625 Mdina Cathedral Museum Malta

Per non contare il medesimo soggetto di Mario Minniti, il cui originale, datato 1625 e firmato, è a Malta, e una copia a Palermo. Della Sicilia molto si potrebbe ragionare, in effetti; e, del resto, è stata chiamata in causa non solo per un semplice passaggio del capolavoro oggi riemerso, ma per la sua stessa genesi, ipotizzandone dunque la datazione al 1608-1609: così per Tomaso Montanari, mentre altri, come Valentina Certo, hanno cautamente considerato l’ipotesi di una provenienza dalla collezione di Giacomo e poi Valdina.

La “pista romana

Quel che sembra certo è che il dipinto non appartenga al soggiorno romano di Caravaggio, come sembra credere Massimo Pulini. Non convincono, in tal senso, i rimandi iconografici, né si riconosce il punto stilistico di quel periodo, di massima gloria per l’artista. L’ipotesi di un quadro capitolino, a ogni modo, si basa su alcuni riscontri documentari che, tuttavia, non sono interpretabili in modo univoco. Abbiamo intanto, fondamentale, una nota autografa dello stesso Merisi, rinvenuta nel 1987 da Rosanna Barbiellini Amidei nell’archivio di Palazzo Massimo: “Io Michel’Angelo Marisi da Caravaggio mi obligo di pingere al illustrissimo signor Massimo Massimi per esserne prima statto pagato un quadro di valore e grandezza come e quello ch’io gli feci già della Incoronatione di Crixto per il primo di Agosto 1605 In fede ò scritto e sotto scritto di mia mano questa, questo di 25 Giunio 1605 Io Michel’Angelo Marisi”.

Lodovico Cardi detto il Cigoli Ecce Homo 1607 cm 175×135 Palazzo Pitti Firenze

Al documento si affianca, nello stesso archivio, un’altra nota autografa del pittore fiorentino Ludovico Cardi detto “il Cigoli”: “Adi 2 di marzo 1607. Io Lodovico di Giovanbatista Civoli o riceuto da Il signor Massimo Massimj scudi venticinque a buon conto di un quadro grande compagnio di uno altro mano del signor Micelagniolo Caravaggio portò Contanti il di sopradetto Giovannj Masserelli suo servitore et in fede di mia mano o scritto questo di sudetto in Roma Io Lodovico Civoli”.

Michelangelo Merisi da Caravaggio Incoronazione di spine 1603 cm 127×165<strong> <strong>Kunsthistorisches Museum Vienna

Sarebbe già questo sufficiente per limitare la possibilità di collegare il quadro di Madrid alla commissione Massimi ricevuta da Caravaggio nel 1605. Infatti, il dipinto che Cigoli realizzò, e che sappiamo essere l’Ecce Homo di Palazzo Pitti, doveva essere “un quadro grande”, che quindi corrisponde alle dimensioni della tela fiorentina (175×135 cm). Ma anche il dipinto che Merisi si apprestava a consegnare al Massimi doveva essere di analoghe dimensioni, perché a Cigoli viene chiesto di attenersi alle misure indicate da Caravaggio, che aveva già realizzato l’Incoronazione di spine alla cui grandezza si sarebbe dovuto rifare nel successivo lavoro, di soggetto non specificato ma che, grazie alle fonti, sappiamo essere un Ecce Homo. Dunque, l’Ecce Homo eseguito nel 1605 era, come quello di Cigoli, un quadro grande. Dobbiamo dunque considerare che non sia questo, di più piccolo formato (111×86 cm), per quanto sia allettante la notizia che andò a finire proprio in Spagna. Così, infatti, Bellori nel 1672: “alli Signori Massimi colorì un Ecce Homo che fu portato in Ispagna”; notizia confermata dal Baldinucci nel 1702: “dipinse per i Massimi un’Ecce Homo, che poi fu portato in Ispagna, ove pure furon mandate altre sue opere, e per altri molti Quadri ebbe a fare, a cagione dell’essersi ormai tutta Roma impegnata nel gusto di sua maniera”.

Peraltro, a riguardo, il nipote del Cigoli, Giovan Battista Cardi nel 1628 racconta: “volendo Monsignor Massimi un Ecce Homo che gli soddisfacesse, ne commesse uno al Passignano, uno al Caravaggio et uno al Cigoli, senza che l’uno sapesse dell’altro; i quali tutti tirati a fine e messi al paragone, il suo [del Cigoli] piacque più degli altri, e perciò tenutolo appresso di sé Monsignore mentre stette a Roma, fu di poi portato a Firenze e venduto al Severi”. A tornare, qui, non sarebbero più le misure bensì le date: il Massimi avrebbe organizzato una sorta di competizione, come un concorso in tempi differiti, tra i tre artisti: Caravaggio, Cigoli e Domenico Cresti detto “il Passignano”.

La pista siciliana e quella napoletana

Ancora, sondando la possibilità di legare il nuovo capolavoro del maestro ai documenti conosciuti, ma diversamente interpretabili, anche un’altra pista sembra potersi escludere, ed è quella siciliana. A Messina, Caravaggio aveva realizzato per Nicolò di Giacomo un’Andata al Calvario come parte di un ciclo di quattro episodi della Passione. Non sappiamo se poi egli completò la serie, né è scontato che, almeno nel suo progetto, fosse previsto un Ecce Homo.

Michelangelo Merisi da Caravaggio Salomè con la testa del Battista Palazzo Reale Madrid

Resta infine da valutare l’ipotesi napoletana. Un Ecce Homo appare infatti due volte a Napoli: nel 1631, tra i beni di Juan de Lezcano, segretario del viceré Francisco Ruiz de Castro conte di Lemos: “Un ecçe homo con Pilato que lo muestra al pueblo, y un sayon que le viste de detras la veste porpurea”; e, nel 1657, tra quelli del viceré García Avellaneda y Haro conte di Castrillo: “un Heccehomo de zinco palmos con marco de evano con un soldado y Pilatos che enseña al Pueblo es original de m° de Miçael Ange
Caravacho
”. La descrizione è simile e rispecchia l’iconografia del quadro di Madrid, che tuttavia non può coincidere con il dipinto Lezcano, anche questo un “quadro grande”, ma, semmai, con quello Castrillo (il conte di Castrillo, vicerè di Napoli, portò in Spagna, tra 1657 e 1659, alcuni dipinti, tra cui almeno uno di Caravaggio: la Salomé con la testa del Battista, inserito tra i beni reali già dal 1666. Il secondo potrebbe appunto essere l’Ecce Homo oggi ritrovato, ndr): i 111 cm del primo corrispondono in sostanza ai cinque palmi (napoletani) dell’ultimo che, peraltro, sembra essere approdato successivamente in Spagna, dove presto se ne persero le tracce.

Linterno della Real Accademia delle Belle Arti di San Fernando a Madrid

Documenti legati non a un Ecce Homo eventuale del Caravaggio, ma proprio a quello di Madrid, comunque, ci sono, e sono stati resi noti il 23 aprile 2021. La ricerca è partita dal nome della famiglia proprietaria della tela, i Pérez de Castro, e si è concentrata nell’archivio della Real Academia des Bellas Artes de San Fernando. Compulsando le carte, è emerso che, nel 1823, il politico
e diplomatico Evaristo Pérez de Castro, da cui discendono gli attuali proprietari, permutò un dipinto in suo possesso con uno a scelta fra quattro, appartenenti tutti alla Real Academia. E la scelta, fatalmente, cadde su un “Ecce-Hommo con dos saiones de Carabaggio”, che risulta inventariato più volte presso la prestigiosa istituzione, a partire almeno dal 1817. Abbiamo così una prima, importante conferma dell’intuizione di riconoscere nell’Ecce Homo riapparso un’opera di Caravaggio.

Il mistero della datazione

Michelangelo Merisi da Caravaggio Cena in Emmaus 1606 Pinacoteca di Brera Milano

Diversa la questione della datazione. Senza il sostegno dei dati d’archivio per assegnare una cronologia incontestabile al quadro di Madrid, non resta che l’esercizio del conoscitore. L’Ecce Homo, a mio avviso, dev’essere successivo all’omicidio Tomassoni del 28 maggio 1606, nello stesso momento della Cena in Emmaus ora a Brera, e subito prima della Flagellazione di San Domenico a Napoli (ora a Capodimonte), dove riscontriamo consonanze nel torso del Cristo e nella figura del carnefice inginocchiato.

Michelangelo Merisi da Caravaggio Flagellazione di Cristo 1607 1608 Museo di Capodimonte Napoli


(continua – 1)

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