Tre mostre alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo – Hearsay di Bekhbaatar Enkhtur, Silent Studio di Mark Manders e Your Mouth Comes Second di Stefanie Heinze – offrono visioni originali che attraversano differenti espressioni e tecniche artistiche, affrontando temi come il linguaggio simbolico, il concetto di autoritratto e l’incertezza della percezione visiva. Questi eventi evidenziano l’approccio distintivo di ciascun artista, delineando una pluralità di prospettive su nozioni come fede, materialità, identità e trasformazione.
Bekhbaatar Enkhtur con Hearsay esplora il mondo della superstizione e della fortuna, intrecciando logica e fede per riflettere su come le persone creino significati. Vincitore del Premio illy Present Future 2023, l’artista mongolo costruisce la mostra intorno a simboli popolari come le stelle cadenti e i gufi, unificando visioni magiche e razionali in un’esposizione che invita a meditare sull’assurdità e sulla bellezza dei significati culturali. Al centro della sala, una scultura di un gufo in cera d’api è circondata da decine di stelle cadenti di metallo, ognuna delle quali contiene piccoli petardi pronti a esplodere. La figura del gufo, intrisa di conoscenza esoterica e saggezza notturna, si oppone alle stelle – elementi rappresentativi di desideri e speranze fugaci. Enkhtur intreccia riferimenti linguistici e visivi, come le espressioni “raggiungere le stelle” o “scritto nelle stelle,” con materiali esplosivi, creando un parallelo tra il potere simbolico e quello tangibile della polvere da sparo. Questo dialogo tra linguaggio e materiale riflette sull’inevitabile fallibilità della parola e del simbolo nel trasmettere la complessità del mondo, offrendo un’esperienza che lascia lo spettatore in uno stato di ambivalenza.
Accanto alla poetica simbolista di Enkhtur, Mark Manders presenta Silent Studio, una mostra che raccoglie oltre trent’anni di produzione dell’artista olandese, rinomato per il suo lavoro sulla scultura come espressione di una identità architettonica. Manders concepisce le sue opere come elementi di un autoritratto, non nella forma tradizionale di rappresentazione figurativa, ma attraverso una struttura immaginaria, un edificio costruito con “parole visive.” In Silent Studio, la sua ricerca si manifesta in più di venti opere, tra cui sculture, installazioni e oggetti di mobili che trasformano la sala espositiva in un “luogo di memoria.” Pezzi come Dry Clay Head e Unfired Clay Figure catturano la vulnerabilità della forma attraverso la loro apparenza incompleta e la scelta di materiali come il bronzo, che mima la fragilità dell’argilla. La mostra gioca con il concetto di transitorietà, dove ogni elemento si rivela come un frammento di un’identità sfuggente, e invita lo spettatore a contemplare il fluire del tempo e le dinamiche tra il reale e il costruito. Manders evoca uno studio silenzioso, in cui le sculture sono forme di espressione, ancorate tra finzione e realtà e legate da una riflessione sull’identità che si espande oltre il sé individuale.
Your Mouth Comes Second di Stefanie Heinze esplora invece il mondo dei segni visivi e delle figure ambigue, abbracciando l’incertezza e l’indeterminatezza della percezione umana. In questa sua prima mostra istituzionale in Italia, Heinze introduce opere recenti che sfidano la comprensione immediata e lineare, evocando un linguaggio empirico. Rifiutando il confine tra astrazione e figurazione, l’artista crea immagini che scivolano tra forme di vita organiche e oggetti familiari in composizioni intense e sovrapposte. Le sue tele di grandi dimensioni presentano figure ibride che potrebbero rappresentare corpi, cibo o animali, invitando a una lettura fluida che confonde le linee tra il soggetto e lo sfondo. Heinze lavora costantemente sulla trasformazione della forma, usando collage e disegni di piccolo formato come base per dipinti più grandi che poi disfa e ricompone, sfidando così le distinzioni nette tra culture e iconografie alte e basse. La sua pratica propone uno spazio di osservazione che si rifiuta di catalogare e definire rigidamente, dove l’instabilità e il cambiamento diventano una critica alle gerarchie visive.
Ciascuna di queste mostre riflette una specifica relazione tra simbolo e materialità, in cui ogni artista porta avanti una ricerca di significato che supera i confini della rappresentazione convenzionale. La poetica di Enkhtur spinge il pubblico a interrogarsi sulla fallibilità del linguaggio e sul desiderio umano di ordine in un mondo di incertezze. La scultura di Manders, dall’altro lato, esplora l’identità come struttura mutevole, rappresentando l’autoriflessione come un processo architettonico e visivo che può essere esplorato ma mai pienamente afferrato. Heinze, infine, rifiuta le categorie fisse e abbraccia una dimensione di vulnerabilità in cui le sue immagini, spesso caotiche e dinamiche, non si cristallizzano mai in un significato unico, rendendo la pittura un campo di esperienza sensoriale diretta.