Speciale Artisti Biennale 2024 (pt. 11)

Continua la nostra indagine sugli artisti invitati alla Biennale Arte di Venezia. Un totale di 332 artisti, provenienti da tutti i paesi del mondo e di tutte le generazioni. Le prime dieci puntate sono state pubblicate qua (Speciale Artisti Biennale 2024 pt. 1), qua (Speciale Artisti Biennale 2024 pt. 2), qua (Speciale Artisti Biennale 2024 pt. 3) qua (Speciale Artisti Biennale 2024 pt. 4) e qua (Speciale Artisti Biennale 2024 pt. 5) e qua (Speciale Artisti Biennale 2024 pt. 6) e qua (Speciale Artisti Biennale 2024 pt. 7) qua (Speciale Artisti Biennale 2024 pt. 8), qua (Speciale Artisti Biennale 2024 pt. 9) e qua (Speciale Artisti Biennale 2024 pt. 10). Di seguito, ecco l’undicesima puntata. Per raccontarvi ogni artista in poche righe, con un’opera rappresentativa della sua ricerca.

Elena Izcue Cobián (Lima, Peru, 1889–1970)

Artista e designer peruviana, Elena Izcue ha fatto molto per orientare il mondo del design peruviano verso le origini del paese. Nel corso della sua carriera, Elena Izcue ha sviluppato un corpus di opere d’arte e oggetti di design di lusso basati sull’iconografia precolombiana. Sebbene le sue opere fossero destinate a un pubblico di élite globale, il loro lascito ha avuto un impatto duraturo sull’identità nazionale peruviana e sulla promozione del suo patrimonio e delle sue industrie all’estero.

Elena Izcue ha iniziato la sua carriera sotto la tutela del governo peruviano negli anni Venti del secolo scorso, creando dipinti e murali commissionati dallo Stato, nello stesso periodo ha creato un suo linguaggio come artista, quando si è fatta promotrice del “Rinascimento precolombiano“. Il suo stile risente senza dubbio dell’Indigenismo, un movimento letterario e artistico che mirava a riconfigurare il posto della popolazione indigena nella società attraverso una visione critica della modernità.

María Izquierdo (San Juan de los Lagos, Mexico, 1902–1955, Mexico City)

María Izquierdo Casasola 1941 Fotografía SINAFO, INAH 6155

María Izquierdo è stata una famosa pittrice messicana, considerata una delle più importanti artiste del movimento del realismo magico. Nata in una famiglia modesta, Izquierdo iniziò a dipingere fin da giovane. Dopo aver frequentato l’Accademia di San Carlos a Città del Messico, sviluppò uno stile unico che mescolava elementi del folclore messicano con influenze del surrealismo e dell’espressionismo. Le opere di Izquierdo spesso raffiguravano scene quotidiane della vita messicana, ritratti di persone comuni e oggetti simbolici della sua cultura come frutta, fiori e maschere. Le sue opere sono caratterizzate da colori vivaci, una tecnica accurata e denotano una profonda sensibilità per l’umanità.

Durante la sua carriera, Izquierdo ottenne un grande successo sia in Messico che all’estero. Partecipò a numerose mostre internazionali e ricevette riconoscimenti per il suo lavoro. Tuttavia, fu anche oggetto di critiche e discriminazioni per essere una donna che operava in un campo dominato dagli uomini. Nonostante abbia dovuto affrontare molte sfide, María Izquierdo ha lasciato un’impronta indelebile nella storia dell’arte messicana.

Nour Jaouda (Cairo, Egypt, 1997)

Nour Jaouda è un’artista di origine e di famiglia libica ma cresciuta al Cairo, solita dare vita a opere cariche di emozione e forte senso estetico, maturato nei tanti viaggi. Spesso fa riferimento a particolari apparentemente insignificanti. Gli alberi di fico appartenenti alla nonna dell’artista a Bengasi, in Libia, danno il loro slancio poetico ai tre tessuti esposti alla Biennale Arte. Fortemente attaccati al luogo, gli alberi custodiscono e incarnano i ricordi. Jaouda ricrea i loro elementi botanici decostruendo il tessuto, tingendolo nei toni della terra e poi ricucendolo in arazzi scultorei. Si ispira alla personificazione degli ulivi del poeta palestinese Mahmoud Darwish nella concettualizzazione e nel titolo. Attraverso questi e i precedenti lavori si intrecciano nozioni di sradicamento e resilienza, distruzione e rigenerazione e atemporalità.

Jaouda apprezza i processi lenti, per questo predilige che i tessuti vengano tinti a mano. La connettività intrinseca dei tessuti genera la loro associazione con l’eterno e il divino; per l’artista, i tessuti non hanno inizio né fine. I coloranti vegetali possiedono una propria forza e imprevedibilità, dando un vero senso metaforico all’opera. I tessuti sontuosamente stratificati di Jaouda riverberano di colori profondi ed eterei, ombrosi e luminescenti e infinitamente strutturati, esattamente come i suoi vividi ricordi.

Rindon Johnson (San Francisco, USA, 1990)

Rindon Johnson, artista multidisciplinare, poeta e performer afroamericano, è noto per operare su temi come l’identità, la razza, il genere e la tecnologia attraverso una varietà di mezzi, inclusi video, performance, installazioni e scrittura. Johnson è nato a San Francisco e ha studiato alla California College of the Arts e alla Yale University. Il suo lavoro spazia dalla poesia alla scultura, dalla videoarte alla performance, e spesso mescola diverse forme artistiche per creare opere che rappresentino le esperienze soggettive della vita contemporanea, spesso in relazione alle identità marginalizzate.

Alcune delle sue opere più conosciute includono The New Black Yoga, una serie di video che studia la salute mentale e fisica attraverso la pratica dello yoga, e The Law of Large Numbers: Our Bodies, una performance multimediale che approfondisce il legame tra il corpo umano e la tecnologia. Il lavoro di Johnson è stato esposto in varie mostre e spazi d’arte negli Stati Uniti e all’estero ed è riconosciuto per la sua capacità di sfidare le convenzioni artistiche e di far riflettere sulle complessità dell’esperienza umana contemporanea, specialmente per quelle persone che spesso sono state trascurate o marginalizzate.

Joyce Joumaa (Beirut, Lebanon, 1998)

Joyce Joumaa è una videoartista e scrittrice che vive tra Beirut e Montreal. Dopo essere cresciuta in Libano, ha conseguito una laurea in Studi Cinematografici presso l’Università di Concordia in Canada. Il suo lavoro si concentra sull’analisi delle microstorie del Libano per comprendere come le strutture del passato influenzino il presente. Al centro della sua pratica c’è uno spiccato interesse verso il mondo della politica e della psicologia sociale.

In Memory Contours (2024), Joumaa si dedica a un capitolo del movimento eugenetico negli Stati Uniti e ai suoi effetti sugli immigrati appena arrivati ​​all’inizio del 1900. Nello specifico, indaga sui test di “intelligenza” progettati per identificare deficienze mentali, che potenzialmente portano alla detenzione e alla deportazione di individui. Partendo dal rapporto Mentality of the Arriving Immigrant del servizio sanitario pubblico statunitense del 1914, l’artista si concentra su un particolare test mentale condotto a Ellis Island, New York, dove ai partecipanti è stato chiesto di disegnare forme dalla memoria. L’installazione di Joumaa mette a nudo i controlli discriminatori imposti ai nuovi arrivati ​​e la stigmatizzazione sistemica dell’estraneità, collegandola all’inadeguatezza, all’inadeguatezza e all’inferiorità.

Mohammed Kacimi (Meknes, Morocco, 1942–2003, Rabat, Morocco)

Mohammed Kacimi, figura poliedrica, è stato pittore, poeta, docente, intellettuale e attivista politico. Ha sempre avuto uno stile molto particolare che mette insieme gli aspetti dell’arte tradizionale con quelli più tipicamente modernisti. Ha dato vita a dipinti ad olio su tela ma anche su carta e collage. Nei suoi lavori è impossibile non notare un uso diffuso di colori accesi e vivaci e motivi geometrici, chiaro segno di ispirazione alla storia dell’arte berbera e araba.

Kacimi è stato anche un importante critico d’arte e teorico che si è dedicato a dibattiti volti a definire l’identità culturale e artistica del mondo arabo. Durante la prima fase della sua produzione artistica appare orientato ad un linguaggio figurativo e simbolico, mentre, in quella successiva, si dirige verso l’astrazione e l’espressionismo. Ha avuto la possibilità di esporre in molte mostre non solo in Algeria ma in tutto il mondo, riscuotendo ampio successo di pubblico e critica.

Frida Kahlo (Mexico City, 1907–1954)

Frida Kahlo, conosciuta in tutto per il suo stile unico e distintivo e un’esistenza affascinante e spesso tormentata, è oggi considerata non solo una delle più grandi artiste del Novecento, ma senz’altro la più famosa e amata artista messicana. Kahlo ha vissuto gran parte della sua vita a Città del Messico. Ha dovuto superare molti momenti difficili e, a causa di un incidente avuto a diciotto anni, ha dovuto sottoporsi a lunghi periodi di degenza in ospedale e a diversi interventi chirurgici. Questi eventi hanno inevitabilmente influenzato la sua arte e la sua percezione del mondo. La sua pittura è caratterizzata da uno stile surreale e iconico, spesso con chiari segni della cultura messicana e delle sue esperienze personali.

Molte delle opere raffigurano autoritratti intensi e onirici dove si rilevano il forte dolore che ha attraversato la sua vita, ma anche un’estrema attenzione al corpo femminile e all’importanza della figura della donna nella società. Oltre alla sua arte, Kahlo è nota anche per il turbolento matrimonio con il pittore Diego Rivera, il pià celebre muralista messicano. La loro relazione ha avuto un’influenza significativa sulla vita e sull’opera di entrambi. Frida Kahlo è diventata col tempo un’icona internazionale e una delle artiste più celebrate del XX secolo. Il suo ricordo è vivo ancora oggi, le sue opere sono esposte in musei di tutto il mondo e la sua immagine è riconosciuta e ammirata da milioni di persone.

Nazira Karimi (Dushanbe, Tajikistan, 1996)

Nazira Karimi è un’attrice afghana nota per il suo talento e il suo impegno nel cinema. Ha guadagnato popolarità sia a livello nazionale che internazionale per le sue performance cinematografiche. Ha studiato recitazione e arti performative e ha iniziato la carriera nel mondo dello spettacolo nel suo paese d’origine. Uno dei suoi ruoli più noti è stato nel film Hava, Maryam, Ayesha (2019), dove ha interpretato il ruolo di Maryam. Il film racconta la storia di tre donne afghane di diverse generazioni e delle sfide che devono affrontare nella società in cui vivono.

Grazie al suo lavoro, Karimi è riuscita a porre l’attenzione sulla difficile condizione della donna in Afghanistan e a indurre il pubblico ad una riflessione. Si impegna sempre molto per promuovere l’arte e la cultura afghane a livello internazionale, partecipando a festival cinematografici o a eventi culturali internazionali. La sua figura è certamente il simbolo della resilienza degli artisti afghani che ogni giorno devono lottare non solo per preservare la propria arte, ma anche la loro stessa esistenza.

George Keyt (Kandy, Sri Lanka, 1901–1993, Colombo, Sri Lanka)

Lo ricordiamo per essere stato un celebre pittore dello Sri Lanka e per uno stile distintivo che mescolava elementi tradizionali dell’arte cingalese con influenze moderne. È considerato uno dei più grandi artisti del paese e una figura di spicco nel panorama artistico dello Sri Lanka. Ha studiato arte a Londra e Parigi negli anni Venti e Trenta. Durante questo periodo, è stato fortemente influenzato dalle opere di artisti modernisti come Picasso e Matisse, ma ha mantenuto un legame forte con le tradizioni artistiche del suo paese d’origine. La sua pittura spazia da ritratti e paesaggi a opere di ispirazione mitologica e religiosa. Utilizzava colori audaci e linee fluide dando vita a composizioni dinamiche e vibranti.

Uno dei tratti peculiari del suo lavoro è l’uso di forme e simboli tradizionali dello Sri Lanka, come le figure di Kandyan dancers (ballerini tradizionali di Kandy) e le immagini di divinità induiste e buddiste. Keyt ha avuto una vita eccentrica e avventurosa e ha viaggiato tanto tra India ed Europa. Le sue opere sono esposte in musei di tutto il mondo e sono considerate tesori nazionali nello Sri Lanka. Ancora oggi può essere visto come un punto di riferimento nella formazione delle nuove leve.

Bhupen Khakhar (Bombay, India, 1934–2003, Baroda, India)

Artista indiano, considerato uno dei capisaldi della storia dell’arte moderna del suo paese. Ha intrapreso la carriera artistica dopo aver lavorato per diversi anni come contabile. Si è formato da autodidatta, ma ha ricevuto ispirazione e sostegno dall’artista indiano Gulam Mohammed Sheikh che ha determinato una vera e propria svolta nella sua esistenza. Il suo lavoro spazia da dipinti a olio e acquerelli a stampe e disegni e parla di omosessualità, desiderio e vita quotidiana, spesso con un tocco di ironia e sarcasmo. Khakhar ha affrontato apertamente la sua sessualità nei suoi dipinti, rendendo il suo lavoro sia provocatorio che profondamente personale.

Una delle sue opere più famose è Man Leaving (Going Abroad) (1970-1971), che raffigura un uomo che parte per un viaggio all’estero, una metafora potente per la ricerca di sé e per la lotta contro le convenzioni sociali. Oltre ai suoi dipinti, Khakhar è stato coinvolto anche in altre forme d’arte, come il teatro e la scrittura. Ha scritto saggi sull’arte e la cultura indiane e ha lavorato come scenografo per produzioni teatrali. La sua influenza nell’arte indiana è stata enorme, contribuendo a creare uno spazio per la rappresentazione della sessualità e dell’identità queer nell’arte indiana contemporanea. Khakhar è morto nel 2003, ma il suo lavoro continua a essere celebrato e studiato sia in India che a livello internazionale.

Bouchra Khalili (Casablanca, Morocco, 1975)

Bouchra Khalili dedica la sua vita a studiare le dinamiche che stanno alla base di fenomeni cruciali del suo tempo, le questioni di identità, migrazione, linguaggio e memoria. Dà voce a tutto ciò attraverso film, video, installazioni e opere multimediali. Khalili ha studiato cinema alla Sorbona di Parigi e successivamente ha completato un dottorato in arti visive presso la Pantheon-Sorbonne University. Il suo background multiculturale e la sua esperienza personale come immigrata hanno fortemente influenzato il suo lavoro artistico. Le opere di Khalili sono caratterizzate da una narrazione non semplice e hanno come fulcro di interesse le esistenze di individui profondamente emarginati dalla società come migranti e rifugiati.

Uno dei suoi progetti più noti è The Mapping Journey Project, una serie di video che documenta le storie di individui che raccontano il loro viaggio attraverso mappe disegnate a mano. Questi video offrono una visione intima e personale delle esperienze di chi è costretto ad abbandonare il proprio paese e cercare fortuna altrove. Khalili ha esposto le sue opere in importanti musei e istituzioni d’arte in tutto il mondo, guadagnandosi riconoscimenti e premi per il suo contributo all’arte contemporanea. Il suo lavoro si distingue per sensibilità etica e politica, offrendo una riflessione profonda sulla condizione umana e sulle questioni globali del nostro tempo.

Kiluanji Kia Henda (Luanda, Angola, 1979)

Kiluanji Kia Henda è un artista visivo angolano noto per il suo lavoro multidisciplinare che affronta le questioni di storia, politica, identità e società, spesso attraverso un’ottica satirica e ironica. Kia Henda ha studiato arte e fotografia a Lisbona, Portogallo, dove attualmente risiede. La sua formazione artistica e le sue esperienze di vita in Angola e in Europa hanno influenzato il suo lavoro, che spesso riflette sulle dinamiche del post-colonialismo e sulle conseguenze della storia coloniale e delle lotte per l’indipendenza nel continente africano. Le opere di Kia Henda includono fotografia, video, installazioni e performance e sono caratterizzate da un’approfondita ricerca concettuale e da una forte componente visuale, che spesso mescola elementi storici, culturali e contemporanei. Uno dei suoi progetti più noti è Concrete Affection – Zopo Lady, in cui parla dell’architettura modernista in Angola attraverso una serie di fotografie e installazioni. In questo progetto, Kia Henda ha documentato edifici modernisti abbandonati nel paese, utilizzando le immagini per riflettere sul delicato rapporto tra progresso e decadenza.

Altri lavori includono Icarus 13, una serie di fotografie dedicate al tema del viaggio spaziale e dell’immaginario futuristico in relazione alla storia coloniale, e Il Re del Mondo, una video-performance che esamina il concetto di leadership e potere. Kiluanji Kia Henda ha esposto le sue opere in mostre internazionali e ha ricevuto numerosi premi e riconoscimenti per il suo lavoro innovativo e concettuale. Il suo contributo all’arte contemporanea africana ha avuto un impatto significativo nel campo artistico globale, offrendo nuove prospettive sulle complessità della storia e della società africana.

Linda Kohen (Milan, Italy, 1924)

Pittrice italiana di origini uruguaiane, i suoi dipinti sono intimi per natura, portano con sé un tono quasi autobiografico; si ricordano numerosi autoritratti in cui la sua gonna, le mani o le gambe sono protagoniste, la sua immagine riflessa negli specchi, dettagli della sua casa e oggetti quotidiani che testimoniano la realtà che la circonda.

Anche quando dipinge paesaggi, lo fa dalla sua finestra, senza mai abbandonare il suo microcosmo. Il suo lavoro porta serenità invita all’introspezione e con una palette tenue e una composizione essenziale, richiama in un certo modo il carattere metafisico dell’opera di Giorgio Morandi.

Shalom Kufakwatenzi (Harare, Zimbabwe, 1995)

Shalom Kufakwatenzi è un’artista non-binaria che si esprime principalmente attraverso performance, fotografia e lavori tessili. Due delle sue opere più recenti, Under the Sea (2023) e Mubatanidzwa (Adjoined) (2023), sono esempi di questo ultimo medium. Kufakwatenzi è affascinatə dalla natura malleabile e trasformabile dei tessuti: un tessuto può essere modellato, allungato, piegato e cucito, una vera metafora del modo in cui essə si muove nel mondo come persona queer. Under the Sea è un’opera che incarna il desiderio e il senso di appartenenza. Sentendosi stranierə nel proprio paese d’origine, Kufakwatenzi crea un proprio spazio sicuro al riparo dal flusso di opinioni della società.

I colori vivaci e le texture richiamano l’infanzia, evocando luoghi oscuri, pericolosi e allo stesso tempo affascinanti. Tuttavia, sebbene l’esperienza personale sia spesso il punto di partenza, Kufakwatenzi non rinnega anche temi più ampi legati alla terra, che ha sempre rivestito un’importanza fondamentale in Zimbabwe. Mubatanidzwa è realizzato con tessuto di juta, lenza da pesca, spago, lana e pelle, tutti materiali legati al lavoro agricolo. Le linee cartografiche cucite indicano l’ingiusto modo di distribuire la terra, lo sfollamento e la corruzione che hanno caratterizzato la storia del paese.

Ram Kumar (Shimla, India, 1924–2018, Delhi, India)

È stato uno dei membri più importanti del movimento artistico indiano noto come “Gruppo di Bombay“. Il suo lavoro risente del realismo espressionista; spesso sono rappresentati paesaggi urbani e rurali dove finalmente gli appartenenti alla classe lavoratrice e i marginalizzati prendono voce. Le opere di Kumar trasmettono un forte senso di solitudine, di angoscia e di ricerca spirituale. Ha utilizzato una tavolozza di colori terrosi e una pennellata audace per catturare l’essenza dei suoi soggetti.

Nel corso della sua carriera, ha ricevuto numerosi premi e riconoscimenti per il suo contributo all’arte indiana. Le opere di Ram Kumar sono esposte in gallerie di tutto il mondo e sono molto apprezzate sia in India che all’estero. La sua influenza nell’ambito dell’arte indiana è stata significativa, poiché ha contribuito a definire il panorama artistico del suo paese nel corso del XX secolo.

La prossima puntata la trovate qua: Speciale Artisti Biennale 2024 pt. 12

(schede a cura di Sofia Marzorati)

Artuu Newsletter

Scelti per te

Seguici su Instagram ogni giorno