“Il vostro cielo fu mare, il vostro mare fu cielo” è l’installazione site-specific di Adrian Paci che da novembre 2024 al Mudec di Milano costituisce l’anticipazione della mostra “Travelogue. Storie di viaggi, migrazioni e diaspore”, in programma per marzo 2025.
Un titolo suggestivo che già di per sé porta con sé un grande bagaglio di storie vissute, raccontate e trasmesse. È lo stesso artista Adrian Paci a raccontare l’opera, dalla sua origine alla realizzazione, in dialogo con le curatrici Katya Inozemtseva e Sara Rizzo:
“La prima cosa che ho pensato è che in questo spazio non dovevo esporre dei miei lavori, non dovevo appoggiare, non dovevo appendere, non dovevo installare dei lavori, dovevo far nascere un lavoro. Far nascere un lavoro vuol dire pensare subito ad un dialog o intimo con lo spazio, far sì che il lavoro aderisca allo spazio”. Così l’agorà del Museo prende subito la forma di un mosaico: “salendo le scale del Mudec ho immaginato questa grande vetrata come se fosse una grande onda. Questa luce che veniva dall’alto come se fosse la luce che tu percepisci dal fondo del mare… e poi subito ho pensato a queste storie tragiche dei naufragi nel Mediterraneo ”.
Il mosaico che prende forma – 250 tessere che testimoniano la ricerca della libertà, la durezza della realtà, la riflessione etica di cui tutti facciamo parte – è una superficie frammentata, un insieme di immagini di naufragi che porta con sé una tragicità delicata. Questo contrasto è vivo, non ci sono sommersi o salvati, c’è solo il mare, ciò che accomuna tutte queste storie. Quel mare che diventa protagonista, in dialogo con il cielo e con la luce. Tutto è una grande onda, in continua trasformazione, con fluidi intrecci e tessiture di azzurri. Non c’è pero quiete, anzi, c’è una forte scossa, un’onda che emana un’energia inarrestabile e continua, a tratti travolgente.
Chi guarda rimane immerso in questo grande acquario, creato anche dalla successione di toni più scuri nelle fasce inferiori e più luminosi in quelle superiori, e si ritrova totalmente sommerso dal movimento generato dalle texture, dai colori, dalle luci e dalle sue oscillazioni.
“Io credo che l’arte debba sempre produrre uno spostamento, l’aderenza va bene ma se non produce spostamento poi diventa decorazione, diventa semplicemente un appoggio”, spiega Adrian Paci, il quale nel suo percorso artistico e professionale ha sempre sentito l’esigenza di raccontare storie di vita, quotidiane o straordinarie, di narrare vicende personali, metafore del vivere collettivo, esperienze universali.
Con questa installazione lo spostamento, emotivo, mentale, simbolico, è completo e si percepisce negli occhi di chi osserva. A tratti destabilizzante per l’intensità che trasmette, il potere dell’arte, in questo caso, risiede nella capacità di trasformare una grande opera come questa, composta da pochi elementi, in una bolla ricca di significati coinvolgenti, talvolta persino devastanti per la profondità che cela al suo interno.
L’installazione non nasce come lavoro sull’immigrazione ed è l’artista stesso a sottolinearlo, ma è sicuramente ispirata alla propria esperienza personale: nel 1997 infatti, insieme alla sua famiglia, lascia la sua terra, l’Albania, per poi spostarsi verso l’Italia. Il suo lavoro parte dalla ricerca, dagli archivi di quotidiani italiani ed internazionali, legati alle tragedie che colpiscono chi cerca l’emancipazione, la libertà, la fuga, la speranza e spesso trova, invece, la morte.
Il mare diventa riflesso dei conflitti umani, di disgrazia e sofferenza, ma anche luogo del viaggio come esperienza esistenziale e palcoscenico di desiderata rinascita. Dietro tutte le storie vi è sempre una grande speranza: “non vorrei mai che perdessimo questo orizzonte nel guardare il mare, anche come un territorio che collega le terre, non soltanto che le separa”, sottolinea l’artista.
Mare e cielo non restano divisi, diventano simboli di continuità e fusione, evocano l’idea di infinito e sono associati alle emozioni più profonde dell’animo umano. Mare e cielo sono uno il riflesso dell’altro e dove sembrano toccarsi, all’orizzonte, rappresentano un punto irraggiungibile ma anche un invito alla scoperta e a spingersi oltre i propri limiti.
Un’installazione intensa che invita a riflettere sul significato più ampio dell’esperienza esistenziale, sulla libertà, sulla realtà e su come la percepiamo e ci poniamo di fronte ad essa.