Anno nuovo taglio di capelli nuovo. Perché i capelli, lo sappiamo, sono il primo sintomo del rinnovamento. E rappresentano un messaggio inequivocabile. Anche nell’arte.
Se pensate alla seduzione vi verrà in mente Simonetta Cattaneo, l’ossessione di Botticelli, trasformata in Venere nascente con i lunghi capelli come unico outfit, oppure Isabella Boschetti, l’amata di Federico Gonzaga, ritratta da Tiziano mentre scosta la folta chioma frisé dalla spalla polposa, o ancora la Fanny Cornforth dipinta come una Lady Lilith che spazzola sognante la massa dei capelli rossi da Dante Gabriel Rossetti (per il quale i capelli furono una vera ossessione, visto che – si dice – quando disseppellì la moglie Elizabeth Siddal per appropriarsi del manoscritto inumato con lei, trovò la sua bara invasa dai capelli che avevano continuato a crescere); e poi, ancora, le vampire di Munch con i riccioli come tentacoli.
I capelli corti, invece, mandano un messaggio del tutto diverso, quello di una sessualità assertiva e mascolina: basti pensare al bob geometrico di Kiki de Montparnasse, unica macchia nera sul candore del corpo nudo.
E poi ci sono i capelli raccolti, che rappresentano un vero e proprio alfabeto cifrato, denso di simboli e messaggi più o meno espliciti. Lo racconta bene la mostra Le trecce di Faustina, acconciature, donne e potere nel Rinascimento, alle Gallerie d’Italia, a Vicenza, fino al 7 aprile. Tutto parte, per l’appunto, dal busto di età imperiale di Ania Galeria Faustina – detta Faustina Maggiore – integerrima moglie di Antonino Pio, simbolo di concordia e amore coniugale. La sua figura diventò un’icona e il suo busto esiste in diverse versioni e copie, anche tarde, tutte però accomunate dal gioco di trecce fitte arrotolate intorno alla testa a formare quasi una corona. La sensazione è di qualcosa di quanto mai pesante e scomodo – probabilmente metà della giornata della signora era dedicata a farsi torturare per ottenere quel risultato – e tuttavia le dame più “in” di Venezia, tra Quattrocento e Cinquecento fanno per questa acconciatura una malattia, ingaggiando una gara di vanità (deve essere stata un’epoca piuttosto masochista, il Rinascimento veneto, perché dopo essersi fatte scolpire la testa, non contente le signore si issavano su zeppe altissime, fino a trenta o quaranta centimetri, potendo, perché l’altezza era direttamente proporzionale al rango, e poi uscivano, accompagnate da cameriere che avevano il preciso compito di evitare che cadessero, rompendosi magari una gamba).
In mostra, a Vicenza, opere di Michelangelo, Tiziano, Bellini, Palma il Giovane e Bronzino si affiancano a pezzi di artisti minori e a busti, bassorilievi e medaglie dall’età imperiale al Rinascimento. Con qualche puntatina nell’universo della capigliatura maschile, ma concentrandosi soprattutto sulle donne.
Ecco allora Isabella d’Este. Se nel 1500 – ventiquattrenne, ma già da dieci anni sposa di Francesco II Gonzaga – è ritratta da Leonardo da Vinci con i capelli sciolti sulle spalle (un ritratto, si dice, fortissimamente voluto dalla signora dopo aver visto Cecilia Gallerani dipinta come Dama con l’ermellino, ma, insomma, Leonardo fa quello che può: il doppio mento di Isabella e la sua espressione arcigna proprio non hanno nulla a che fare con l’eterea amante di suo cognato Ludovico il Moro), trent’anni dopo Tiziano le regala un ritratto incredibilmente lusinghiero componendo i capelli in un’architettura di ricciolini appiccicati alla fronte che spuntano dal gonfio e prezioso copricapo a ciambella che proprio lei aveva inventato, facendolo diventare un must have. La signora ha più di sessant’anni, oramai, ma Tiziano – che sa come farsi voler bene – si basa su un ritratto di vent’anni prima di Francesco Francia, che lei gli ha fatto avere, e non aggiunge una ruga. Peccato per lo strabismo divergente, ma insomma: non si può avere tutto.
Ed ecco Lucrezia Borgia, non proprio una santarellina, con l’etichetta che si portava addosso di assassina e di incestuosa (del resto non veniva proprio da una famiglia modello: papino era il cardinale Rodrigo Borgia e quando lei è in seconda media – si fa per dire – papino diventa Papa, mamma è la sua giunonica amante Vannozza, da cui Lucrezia eredita la faccia tonda). Uno dei ritrattisti preferiti di Lucrezia è Bartolomeo Veneto, che la dipinge sia mora che bionda (il biondo, all’epoca, era molto ricercato, ma a tingersi i capelli erano soprattutto le prostitute, dunque il messaggio subliminale non è dei più lusinghieri) e sia con gli attributi della beata Beatrice II d’Este, cosa che sarà molto piaciuta a papà, e comunque sempre con i capelli sciolti. E poi c’è Pinturicchio, che la ritrae nientemeno che come Santa Caterina – una Santa Caterina ispirata ma piuttosto sensuale, con la massa spettinata dei capelli sciolta sulle spalle. (Pinturicchio, per la cronaca, è quello che quando nel 1492 è chiamato in Vaticano da Borgia, appena eletto Papa, per affrescare i suoi appartamenti, si inventa un dipinto assai coraggioso, dove la Vergine Maria ha le fattezze della nuova conquista di Rodrigo, la diciassettenne Giulia Farnese – detta Giulia la bella o anche, maliziosamente, la sponsa christi – ed è ritratta nell’atto di consegnare il Bambin Gesù nelle mani del neo Papa nonché amante).
Una cavalcata che dall’antichità si concentra soprattutto su Quattrocento e Cinquecento ma che non trascura i riverberi moderni, come l’influenza sul cinema. Ma forse a incarnare più di ogni altra opera il simbolismo dell’acconciatura è uno dei ritratti più affascinanti della mostra: l’austera Eleonora di Toledo ritratta da Agnolo Bronzino con il figlio Giovanni nel 1545. Lo splendore sontuoso dell’abito culmina, alla scollatura, con uno spettacolare gioco reticolare di oro e perle che sembra idealmente continuare nell’acconciatura, cornice all’incarnato diafano. Un’acconciatura stretta e castigata, preziosa ma quasi invisibile, accessorio perfetto della vera signora.