Un omaggio dovuto a una delle più importanti figure della fotografia contemporanea è quello a cui potrete assistere nella mostra antologica (“Sandy Skoglund: I mondi immaginari della fotografia. 1974 – 2023”) che si snoda per le sale di Palazzo del Duca, a Senigallia, fino al 2 giugno 2024. Parliamo di Sandy Skoglund (Quincy, 1946), pioniera della stage photography (letteralmente “fotografia allestita”, o messa in scena, cioè dove si prepara prima accuratamente un set per “costruire” ciò che si vuole riprendere, ndr), un linguaggio che si è diffuso con fortuna dagli anni Ottanta e di cui la fotografa americana è una delle figure chiave.
Pensate al volume Constructed Realities. The art of stage photography, dove già la copertina riproduce The revenge of the Goldifish, opera famosissima e ultrapubblicata dell’artista, e alla sezione “tableax narrativi” troviamo, assieme a nomi come Joel Peter Witkin e Bernard Faucon, anche Sandy Skoglund. La parola stessa constructed realities rimanda al sottile confine tra realtà e finzione, che percorre tutta la storia della fotografia, ma ha una “seconda nascita” a partire dalla fine degli anni Settanta oltre ad essere un tema chiave nelle surreali creazioni di Sandy Skoglund.
L’artista, col suo lavoro vivace, colorato, apparentemente disincantato ma in realtà complesso e profondo, ha colto e in molti casi anticipato i tempi con il suo sguardo e la sua visione. Profetica in questo senso l’opera Winter, che ha visto la luce a breve distanza dalla pandemia di Covid-19, un momento in cui il mondo intero sembrava congelato in un eterno inverno. Ma Skoglund non è pessimista, piuttosto l’artista indaga il procedere dell’esistenza nel campo minato del dubbio.
Le opere richiedono anni per essere create, infatti prima dello scatto l’artista realizza minuziosamente ogni dettaglio del set, comprese le complesse sculture realizzate in diversi materiali e che hanno portato Skoglund a confrontarsi con la lavorazione dell’argilla piuttosto che del vetro o ancora del bronzo. Sul set poi vengono inserite persone in posa, immortalate in dimensioni affascinanti, vivaci eppure stranianti, merito anche delle cromie scelte, che paiono trasportarci in una dimensione aliena. “Senza la fotografia, l’arte concettuale si cancellerebbe dalla memoria degli uomini”, ha detto l’artista. “In questa forma, la mia arte può essere recepita come un dipinto, come una finestra aperta su un altro mondo. È questa d’altro canto la ragione per cui lavoro con la macchina fotografica. Il grande formato si adatta bene all’aspetto burlesco del mio lavoro”.
L’esposizione consente di addentrarsi nelle fasi della carriera di Sandy Skoglund, partendo dai primi passi come autodidatta negli anni Settanta. Già in una nota del 1974 l’artista scrive: “Il caos può essere organizzato? Se il disordine avesse una forma, sarebbe sempre disordine? Il caos può essere compreso? Creare spazio per riempirlo? Fare ordine per distruggerlo. Lasciare che l’ordine distrugga sé stesso”.
Proprio la dinamica tra ordine e caos è uno dei focus che Skoglund indagherà lungo la sua carriera, come il concetto di ripetizione. In questi anni realizza The Motel series (1974), una serie di immagini realizzate durante un viaggio da Boston a Portland, in cui Skoglund immortala strutture e case di vacanza americane, tutte uguali eppure tutte diverse, e annota: “la ripetizione è esattamente questo: ogni elemento che si ripete è differente. Ogni bicchiere di vino è differente come ogni fiocco di neve. La ripetizione ci consente di affinare i nostri sensi alle minime differenze”.
È del 1980 Radioactive Cats, famoso scatto in cui Skoglund vede i gatti verdi dominare la scena come dopo una catastrofe nucleare. In sei mesi, Skoglund ha scolpito ventiquattro gatti in filo di ferro e gesso, dipingendoli di verde. Il set fu realizzato in un piccolo appartamento sopra un negozio di ferramenta. Skoglund dipinse le pareti in due tonalità di grigio cospargendolo abbondantemente, in modo che da asciutto il colore desse l’impressione di piccoli ghiaccioli. I modelli in posa erano una coppia di conoscenti che vivevano nello stesso quartiere di Skoglund, Elizabeth Street (Little Italy) a New York.
Per realizzare Revenge of the Goldfish, del 1981, l’artista scolpisce i pesci in terracotta e successivamente, per lasciali sospesi, li assicura a fili trasparenti, dando l’impressione che galleggino, come in un sogno, in una stanza blu dove posano due modelli, che sono madre e figlio.
C’è anche The cocktail Party, scatto del 1992, che nacque dall’interesse di Skoglund per gli snack americani e la loro natura artificiale. L’artista scelse di ricoprire totalmente le scena con puff al formaggio, che sembrano bruchi arancioni. Per essere coerente con il concetto che artificiale equivale a durare per sempre, questi puff sono stati infine ricoperti di resina. Ora questa installazione si trova al Museo McNay in Texas.
Walking on Eggshell, del 1997, si interroga sul significato culturale del coniglietto di pasqua con cui l’artista era cresciuta: questi conigli compaiono a primavera portando uova, ma i conigli non depongono uova… Skoglund guarda alla storia dell’arte, riproducendo sulle pareti immagini opposte come il serpente (che simboleggia potere e paura) in contrasto al coniglio (che è invece simbolo di fertilità e mitezza). Nessuno prevale sull’altro, sono ognuno vincenti a modo loro, come a sottendere che l’astuzia può dare potere ai deboli.
Breathing Glass, del 2000, enfatizza l’aspetto congelato della fotografia fissa utilizzando il materiale del vetro e la caduta di modelli vivi fermati a mezz’aria prima di toccare il suolo. Si tratta di un paesaggio ultraterreno, quasi fantascientifico, con la risonanza blu profonda dello spazio esterno sopra e sotto di noi. Fu realizzato su invito dell’American Craft Museum di New York, ora Museum of art end design.
“Imparare nuove tecniche e nuovi media mi dà molto entusiasmo, anche perché portano inevitabilmente nuove idee”. In questo caso l’artista è stata ispirata dalle tante possibilità di lavorare il vetro, imparando la tecnica, diffusa molto in Italia durante Medioevo e Rinascimento, della lavorazione a lume. La scena è popolata da tante libellule, simbolo di speranza (è tra gli insetti più antichi che vivono nella loro forma originaria), mentre i puntini bianchi sono minuscoli mushmellow in riferimento alle caramelle dell’antico Egitto, una rara delizia a beneficio della classe dirigente dell’epoca, quelle di oggi sono alla portata di tutti.
“Durante la lavorazione”, racconta l’artista, “avvertivo lo spazio come ‘esterno’ e così ho deciso di capovolgere il negativo, in modo che i personaggi sembrassero precipitare in un universo blu. Un focus particolare viene riservato all’ultimo lavoro di Sandy Skoglund, Winter, realizzato in dieci anni, dal 2008 al 2018. L’elaborazione di questo progetto ha impegnato anni di sperimentazione, arrivando alle nuove tecniche e ai processi digitali focalizzati sull’immagine del fiocco di neve. È proprio dalla struttura del fiocco di neve che l’artista ha formato il primo concetto di Winter.
Nella realizzazione del progetto, Skoglund ha ricorso alla tecnologia 3D e racconta: “È stata un’avventura. Mentre imparavo a scolpire ho dovuto accettare che il risultato finale sarebbe stato realizzato da una macchina, per questo motivo c’è una sensazione di levigatezza a rigidità che pervade le sculture”. Winter è uno studio sulla perseveranza e la persistenza, un paesaggio artificiale che celebra le belle e spaventose qualità della stagione più fredda”, racconta Skoglund.
Oltre alla fotografia omonima, lo spettatore potrà entrare letteralmente nell’opera: infatti è stato ricreato per l’occasione il setting di realizzazione con gli sfondi e alcune delle sculture originali. È un’occasione imperdibile per poter ammirare da vicino il set e capire quanto lavoro e quanta abnegazione si celi dietro un singolo scatto.