Il primo film tunisino nominato agli Oscar si ispira ad un fatto reale che ha segnato la storia dell’arte: la vendita di un tatuaggio sulla schiena di un uomo.
“The Man Who Sold His Skin”, film tunisino del regista Kaouther Ben Hania in corsa agli ultimi Oscar 2021 nella categoria Miglior Film in Lingua Straniera, si basa su una storia vera dove l’arte ha il ruolo di protagonista.
Il film si basa su un singolare episodio che ha segnato la storia dell’arte contemporanea d’avanguardia. Fonte d’ispirazione per il film è stata l’opera “Tim” (2007) dell’artista belga Wim Delvoye che ha tatuato la schiena di un uomo di nome Tim Steiner e ha venduto l’opera tatuata ad un collezionista.
Ma come è possibile collezionare un tatuaggio sul corpo di un uomo?
Per la vendita del suo tatuaggio Tim Steiner ha ottenuto un terzo del prezzo d’acquisto a condizione che si fosse seduto nelle gallerie o nei musei durante le esposizioni dell’opera e che la sua pelle fosse conservata e incorniciata per il collezionista dopo la sua morte.
Così nella finzione cinematografica Steiner diventa un giovane rifugiato siriano chiamato Sam Ali che, dopo essere stato cacciato dalla galleria di Soraya (interpretata dall’attrice italiana Monica Bellucci) durante l’opening di una mostra, incontra Jeffrey Godefroi (alter ego del vero Delvoye), “l’artista vivente più costoso al mondo che trasforma oggetti senza valore in opere che costano milioni e milioni di dollari solo firmandole”.
Senza spoilerare troppo, da questo incontro nasce un accordo: in cambio di soldi e di documenti per emigrare in Belgio, Sam dovrà farsi tatuare la schiena con il disegno di un Visto Schengen e venire così esposto nei più grandi musei del mondo come opera d’arte vivente.
Un patto allettante ma che ben presto rivela la sua natura demoniaca: Sam, ora finalmente libero di poter viaggiare da uno stato all’altro senza nascondersi, inizia però ben presto ad essere trattato come un vero e proprio oggetto, piuttosto che come un essere umano. D’ora in poi verrà solo apprezzato per il suo status di opera d’arte dalla ricca elite bianca che, nel nome della cultura, eleva l’opera che Sam rappresenta a qualcosa di più importante della persona stessa.
Del resto l’amara verità sta proprio nelle parole di Godefroi che in una scena, mentre viene intervistato dopo la presentazione di Sam nelle vesti di opera, afferma: “Viviamo in un’epoca molto buia dove se sei siriano, afgano, palestinese e così via, sei persona non grata. Ho solo reso Sam una merce, una tela, così ora può viaggiare per il mondo. Perché nei tempi in cui viviamo, la circolazione delle merci è molto più libera di quella degli esseri umani”.
Il primo film tunisino nominato agli Oscar offre un approccio unico a tematiche attuali, come le questioni legate ai migranti e ai rifugiati, con uno sguardo ironico e tagliente sul mondo dell’arte contemporanea.
Perché se l’arte ha come missione anche quella di farci riflettere, allora “The man who sold his skin” fa proprio questo: ci fa pensare a quante volte si è andati oltre i limiti nel nome di un “presunto fine culturale”.
Cover Photo Credits: Samuel Goldwyn/ Bac Films