“Testi sulla musica elettronica e strumentale” di Karlheinz Stockhausen e a cura di Massimiliano Viel, in libreria a partire dal 3 maggio 2024, viene presentato in anteprima oggi, 23 aprile 2024, all’interno del Festival Milano Musica, al Teatro Menotti di Milano.
La pubblicazione è una raccolta dei maggiori testi scritti da Stockhausen sulla musica orchestrale ed elettronica tra il 1952 e il 1962, forse il periodo di sua massima esplorazione musicale che segna anche la sua adesione a uno dei più famosi movimenti d’avanguardia del Secondo Novecento: la “Scuola di Darmstadt” all’interno della quale confluivano anche compositori e direttori d’orchestra quali Boulez, Berio e Maderna.
Abbiamo fatto una chiacchierata con Massimiliano Viel.
Come mai questi studi sono stati pubblicati così tardi?
In generale perché la scoperta dei testi dei compositori del secondo novecento è un po’ tardiva. Adesso c’è un po’ un boom tra le case editrici. C’è tanto da pubblicare. Stockhausen è molto particolare. Era stato pubblicato Stockhausen al servizio dell’imperialismo (tradotto da un giovanissimo Alessandro Melchiorre), poi c’è stato un certo ostracismo, anche di natura politica. Nella musica elettronica di Gentilucci si dice peste e corna di Stockhausen e si elogia Luigi Nono. Sicuramente è stata un’impresa notevole, credo che in molti non ne abbiano avuto voglia.
Sono ancora attuali le idee di quel periodo?
Sono attualissime, rappresentano una teoria della composizione, un tentativo di razionalizzare e rendere esplicite le tecniche, di rappresentare attraverso il linguaggio delle pratiche innovative dell’epoca. Questo libro è la prima traduzione integrale del primo volume (in tutto sono diciassette) che rappresenta la stragrande maggioranza degli studi teorici di Stockhausen. Infatti poi si è occupato maggiormente di estetica e prassi esecutiva, meno di vera e propria teoria. Sono attuali anche per il confronto sul pensiero di cosa sia la musica e il rapporto con la società, con la cultura di massa e con le problematiche che ne derivano. Questo modo di pensare è alla radice di tante modalità che si usano ancora oggi, è fondamentale per capirne l’evoluzione.
Qual è la sua esperienza con Stockhausen?
Ho lavorato con lui circa dieci anni come musicista. suonando anche molte prime assolute dei suoi brani alla tastiera elettronica, uno strumento particolare, non è come il pianoforte, si devono creare i suoni. Io ho lavorato anche con Luciano Berio. Faccio un confronto non di qualità ma di approccio alla strumentazione elettronica. Con Berio suonavo nell’orchestra, qualcuno aveva già creato i suoni e io dovevo solo “muovere le dita”. Con Stockhausen l’idea era quella per cui il tastierista dovesse creare lui i suoni. Ogni tastiera è diversa. Il tastierista, così come avviene con uno strumento tradizionale, è importante per il bel suono che crea; con Berio era già pronto, con Stockhausen no. Il lavoro di tastierista mi ha portato ad una stretta collaborazione. Spesso le prove previste e retribuite erano troppo poche, Stockhausen era più interessato al top dell’esecuzione quindi, quando riteneva che il tempo a disposizione fosse ristretto, si provava a casa. Una volta per l’esecuzione del Martedì di “Licht”, ciclo in sette opere composto da Stockhausen e dedicato ai giorni della settimana, c’erano molti musicisti, grande fatica e poco tempo. Siamo andati tutti per un mese e mezzo a Kurten, dove abitava Stockhausen, a provare a nostre spese, spese che poi venivano divise tra tutti, lui compreso. Lui cercava di aiutare il più possibile, io abitavo nella casa della ex moglie. Eravamo pagati bene dal teatro, potevamo affrontare bene la trasferta.
Nell’ultimo suo periodo, Stockhausen riteneva che le idee della sua giovinezza fossero ancora valide o le vedeva come qualcosa di anacronistico?
Le riteneva ancora valide, anche perché, come testimoniato da questo libro, lui ha avuto un approccio costruttivo alla composizione. Ha voluto costruire, o meglio, ricostruire la musica e le pratiche musicali, la composizione stessa. È partito dall’alfabeto per costruire le parole e la sintassi. Tutto il suo percorso è il risultato di questa progressione a partire dai punti fino a creare le figure, i gruppi e i momenti; questa è la cosiddetta tecnica della formula che lo ha tenuto impegnato per trent’anni. Dopo Licht, ha fatto un altro ciclo, incompleto, Suono, in cui ogni lavoro è un brano, con elettronica o senza, dedicato ad un’ora del giorno. Per Stockhausen il tema del tempo è sempre stato molto importante. Aveva già fatto lavori dedicati all’anno, ai millenni, ai secoli. Stava pensando anche ai temi del minuto e del secondo. I brani di Klang sono brani invece diversi. Qua abbandona, si disintossica di una tecnica compositiva che ha usato per trent’anni per fare qualcosa di nuovo. L’analisi di questi brani è ancora oggi qualcosa di oscuro. Come le opere di un matematico a cui si dà una spiegazione molto tempo dopo la sua morte.
Il libro termina nel 1962, Stockhausen ha composto fino alla morte, è previsto un seguito della pubblicazione?
Chi lo sa. Vediamo come va questo libro. Una collana di libri dedicata ai compositori del secondo Novecento è un rischio molto forte. Sarebbe bello ma al tempo stesso un’impresa titanica. Magari si potrebbe fare senza seguire l’ordine dei testi. È difficile dare una certezza. Se il primo libro era di John Cage e il secondo è questo, il terzo sarà di Pierre Schaeffer, il primo che ha usato i mezzi che provenivano dagli studi radiofonici inventando il montaggio e creando quella che oggi si chiama musica concreta. Schaeffer diceva: “io registro i suoni su nastro magnetico e poi li trasformo in montaggio”. Alla fine i suoni sono riconoscibili. I primi pezzi di Schaeffer del quarantotto sono come i film dei fratelli Lumière per il cinema.
Che influenza ha avuto su Stockhausen la musica elettronica?
Stockhausen l’ha praticamente inventata. Prima si chiamava elettroacustica. Lui diceva “a me interessa creare suoni nuovi, come lo facciamo?”. Inventando, usando oscillatori e filtri già presenti negli studi radiofonici per creare un suono dal grado zero. Ecco come la musica elettronica diviene opposta a quella concreta. Stockhausen usa tecniche di sintesi con supporto matematico adeguato, crea suoni partendo da elementi base. Studia tanto il suono puro, ogni suono può essere analizzato. Perché non partire dal suono puro? L’opposto dell’ analisi è la sintesi elettronica. Stockhausen è alla radice della musica elettronica. Una volta, per un concerto a Zurigo, la città era piena di manifesti: “colui che ha inventato la tecno”, espressione sbagliatissima. Stockhausen è stato icona dei Beatles, ha avuto grande influenza su pop e rock, su Battiato. Diciamo che senza di lui la tecno sarebbe stata diversa.