Al Museo MA*GA di Gallarate, in un ricco contesto artistico che vede protagoniste tre significative mostre, si inserisce “Vittorio Tavernari. Vorrei scolpire l’universo”. L’esposizione celebra Vittorio Tavernari (1919 – 1987), uno degli scultori più importanti del Novecento italiano. Sculture, grafiche, testi e fotografie si alternano in un allestimento che raccoglie, rende omaggio e racconta la storia artistica dell’artista, grazie alla recente acquisizione da parte del Museo dell’Archivio, della Biblioteca e di alcune importanti opere di Tavernari, ottenuta grazie al finanziamento della Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura attraverso il bando PAC – Piano per l’Arte Contemporanea 2023.
L’esposizione mette sin da subito in risalto lo stretto legame di Tavernari con il territorio, in particolare con la città di Gallarate: la partecipazione alla seconda edizione del Premio Nazionale Arti Visive Città di Gallarate nel 1951 e la realizzazione della Fontana di Piazza Libertà, scolpita dall’artista in taglio diretto nel 1955. Opere e documenti esplorano alcune rassegne nazionali e internazionali cui l’artista partecipa “portando il suo linguaggio in dialogo con le dinamiche e le trasformazioni culturali del suo tempo”.
Il titolo scelto risulta quasi evocativo e rimanda ad un desiderio e una volontà di plasmare la realtà attraverso la propria arte ma soprattutto riflette la curiosità umana e la sete di conoscenza: comprendere l’universo nel suo insieme, creare qualcosa di significativo che lasci un’impronta duratura.
“Vorrei poter scolpire l’universo” riprende il titolo di un articolo scritto dallo stesso Tavernari sulla rivista “Epoca” nel 1951, dove l’artista scriveva “Il linguaggio che adopero per creare le mie sculture è un linguaggio vorrei dire quasi panteistico. Perché nella mia esistenza ho sempre osservato molto le cose del creato, mi hanno sempre commosso e mi hanno preso magicamente. Osservando ad esempio una qualsiasi foglia, noto tutta quanta l’armonia compositiva che essa racchiude. Così una montagna, un paesaggio, il cielo e via dicendo. Da questo esempio infinito e se vogliamo surreale traggo i miei principi di uomo creatore, sforzandomi di creare anch’io qualcosa di simile”.
Il linguaggio descritto dall’artista emerge senza dubbio nelle opere esposte, dove si distingue una volontà di catturare l’interconnessione e la sacralità di tutte le cose. Le opere non solo si percepiscono ma colpiscono grazie ad una corposità plastica a volte anche solo sottile ma che affiora creando un gioco di forme, volumi e luci.
Che siano “Torsi”, “Figure femminili”, “Cieli” o “Amanti”, quello che colpisce delle opere sono i segni, i segni dei gesti impressi indelebilmente nel legno, che tracciano, scolpiscono, rendendo vibranti i soggetti. Come scriveva P. C. Santini (Vittorio Tavernari In: Critica d’Arte, Anno XIII, 1988) “Il rilievo non è mai tale da creare volume, ma sulle tavole le strutture primarie si delineano con nettezza, tese e vibranti. L’equilibrio tra la veemenza, il raptus, si vorrebbe dire, e la limpida percezione, il dominio della dinamica delle forme, è perfetto. Tutta la compagine plastica lo rivela sia nelle ampie movenze e ondosità, sia nell’infinito fremito della luce che scorre sulle calibratissime textures”.
La scelta dei materiali e la loro lavorazione indicano un dialogo tra l’artista e la materia stessa, dove ogni pezzo racchiude una storia. Questo approccio mette in evidenza la capacità dell’arte di trascendere il tempo e lo spazio, collegando l’antico al moderno e l’umano al naturale.
Anche il tema del dolore e della sofferenza affrontato da Tavernari nelle sue opere è evidente a partire dai soggetti e dall’utilizzo che fa del materiale. La sua visione artistica suggerisce una riflessione profonda sul nostro passato e sulle nostre origini, utilizzando l’arte come mezzo per esplorare e comprendere le fondamenta della nostra esistenza.
Sempre sulla rivista “Epoca” del 1951, Tavernari scriveva: “Il mio linguaggio sfugge in parte il contatto dell’uomo per cercare di avvicinare invece le armonie del creato nel rigore preciso delle leggi della scultura. All’infuori di questi principi, e nella confusione attuale delle arti, non vedo altro per creare opera d’arte. Se no sarebbe troppo facile e tutti saremmo scultori. Penso che una scultura è bella quanto più è precisa”.
La mostra “Vittorio Tavernari. Vorrei scolpire l’universo” a cura di Emma Zanella e Alessandro Castiglioni è visitabile fino al 1° settembre.