6 mostre da non perdere a New York

La mia permanenza a New York durante il mese di maggio mi ha consentito di visitare molte mostre e tra le tantissime proposte d’arte che la città offre vorrei segnalarvene alcune ancora in corso,  che mi hanno più incuriosito a cominciare da Lisson Gallery a Chelsea con l’installazione site specific  “Hughmans”, dell’artista americano Hugh Hayden.

Hugh Hayden esplora la condizione umana trasformando oggetti familiari attraverso un processo di selezione, intaglio e giustapposizione per sfidare le nostre percezioni. Cresciuto in Texas e formatosi come architetto, il suo lavoro nasce da una profonda connessione con la natura e i suoi materiali organici.

Hugh Hayden, Hugmans, foto Stefania Carrozzini

In Hughmans, Hayden si confronta nuovamente con il concetto della stanza da bagno per indagare le esperienze di rivelazione, intimità, privacy, desiderio e sessualità e questa volta lo fa attraverso la lente dell’esperienza collettiva. L’artista fa leva sulla sorpresa, sulla curiosità, infatti le persone che entrano in galleria hanno un attimo di smarrimento in quanto all’inizio non si capisce bene dove siano le opere. Dopodiché aprendo i box di metallo le si scorgono  nascoste all’interno, tra cui due sculture in legno che incarnano il personaggio immaginario di Pinocchio; frammenti di scheletro in legno appesi alle grucce, bagni provocatoriamente concepiti per uso collettivo. In un altro stand troviamo Harlem (2024), un nuovo ensemble di melting pot in ghisa e padelle in rame, una metafora della creazione dell’America attraverso la diversità culturale. Questo allestimento non convenzionale sfida le nozioni di privacy e intimità, spingendo gli spettatori a riconsiderare il loro rapporto con gli spazi pubblici.

Hugh Hayden, Hughmans, foto Stefania Carrozzini

Rimanendo a Chelsea, dove si trovano molte delle  più importanti gallerie di New York e che ora hanno bellissimi spazi anche a Tribeca, ci spostiamo dalla 24esima alla 18esima ed entriamo da Hauser & Wirth per vedere “Splits” la personale Rita Ackermann, ( fino al 26 luglio )  artista nata in Ungheria e residente a New York che  continua a evolversi e a manifestarsi nel passaggio dalla rappresentazione all’astrazione. Qui svela una serie di complesse serigrafie di grandi dimensioni. Queste stampe, che segnano un salto significativo nella sua pratica artistica, rappresentano una drammatica convergenza tra i processi tecnici della stampa e la continua esplorazione di Ackermann della forma, del movimento e della cancellazione.Nella sede situata al  542 West 22nd Street, l’artista presenta una serie di nuove tele che ampliano le tecniche, i temi e l’immaginario che ha esplorato nel corso della sua carriera a partire dai primi anni Novanta.  

Rita Ackermann, Installation wiew, foto Stefania Carrozzini

Al 530 West 25th Street, da Winston Wachter Fine Art, c’è un’altra mostra da non perdere ed è Armida & Rinaldo,  ( dal 9 maggio al 3 luglio ) la personale dell’artista americano Eric Uhlir.  Questi dipinti di grandi dimensioni combinano riferimenti alla storia dell’arte, alla cultura pop e alla poesia rinascimentale in composizioni vorticose che riflettono la natura ciclica della storia umana. La serie è una rivisitazione della leggenda di Armida e Rinaldo, un poema epico del XVI secolo ambientato durante la prima crociata. Molto popolare all’epoca, la storia ha ispirato innumerevoli opere d’arte barocche, eppure oggi questo racconto è quasi del tutto scomparso dalla nostra memoria collettiva. In questa mostra, Uhlir abbraccia la tensione tra figurazione e astrazione gestuale per esplorare temi secolari di amore e dovere attraverso una lente contemporanea.

Eric Uhlir, Opening Reception, foto Stefania Carrozzini

Da Sikkemna Jenkins&Co , sorprende la mostra collettiva Healing  concepita in omaggio alla mostra collettiva omonima del 1992 che inaugurò la fondazione della galleria, allora chiamata Wooster Gardens, da parte di Brent Sikkema. Tenutasi durante l’apice della crisi dell’AIDS, Healing, 1992, proponeva una meditazione ponderata sulle nostre capacità interconnesse di creazione e cura. La mostra fu organizzata da Sikkema e Olivier Renaud-Clément e presentava opere prodotte dagli artisti partecipanti appositamente per la mostra.

JeffreyGibson, Someone Watch Over Me

The Healing of 2024 emerge dagli anni convulsi di un’altra pandemia globale, insieme a un’esperienza di dolore. Attraverso le epoche e le trasformazioni sociali, poche cose nella vita rimangono costanti come la perdita e la sua dolorosa riformulazione della normalità, sia su scala collettiva che individuale; eppure, mentre tale perdita persiste, lo stesso vale per il nostro impulso ad amare a riunirci, comunicare, creare e, nel processo, muoverci verso un luogo di rinnovamento e trasformazione.  Questa mostra contemporanea a cui partecipano diciannove artisti, non intende essere uno specchio diretto della Guarigione originale, ma piuttosto una linea continua di creazione artistica come mezzo per comprendere la tenerezza e la compassione  come strumenti di vera guarigione a cui l’arte offre momenti affettivi condivisi.

Leelee Kimmel, The Wilds and the Shore

Spostandoci da Chelsea e raggiungendo Tribeca e precisamente sulla Broadway visitiamo la galleria Almin Rech che presenta la personale  dal titolo “The Wilds and the Shore” dell’artista newyorchese  Leelee Kimmel. Kimmel lavora all’interno di una storia molto nota della pittura del dopoguerra: l’espressionismo astratto. Eppure i suoi dipinti non assomigliano per niente a quelli prodotti dagli espressionisti astratti di prima e seconda generazione. La sua è una fisicità intensa, travolgente.  Onde di colore, rotture sismiche, relitti tettonici, tsunami di pigmento costruiscono un universo cromatico , un corpo pittorico solido e viscerale , un territorio dove ci si può perdere ma anche ritrovare.

 KALOKI NYAMAI Isyo kwo sya thela? I & II (Is the food over?)

Al 48 Walker street, James Cohan presenta l’artista keniota Kaloki Nyamai. La personale dal titolo Twe Vaa, mette in campo memorie collettive che prendono corpo  poi nella materia tessuto , nella carta pressata e incollata alla tela.

“Twe vaa”, che si traduce in “Siamo qui”, offre uno scorcio dell’esplorazione di Nyamai di mondi dicotomici, dove momenti di tregua emergono in mezzo al caos. La mostra presenta dieci dipinti che invitano alla contemplazione tra pace e caos. Ispirata dalle storie condivise dalla nonna, la mostra di Nyamai funge da invito all’azione e all’introspezione. Spinge gli spettatori a considerare il loro posto nel mondo e a riflettere: “Come possiamo andare avanti da qui?

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