L’esposizione inaugura la stagione espositiva e raccoglie alcuni degli scatti più evocativi dei nostri tempi.
La Podbielski Contemporary apre la nuova stagione espositiva con una mostra collettiva intitolata Oltre lo sguardo. Il progetto nato dalla volontà di testimoniare come nel mondo attuale, si ripropone costantemente nelle sue infinite declinazioni e sfumature, senza permettere allo sguardo di stabilire un punto d’osservazione unico.
Pertanto questo progetto espositivo vuole proporre un approccio di visione ‘originario’, articolato in quattro sezioni: All’interno si intravedono gli scatti di Massimiliano Gatti dalla serie Limes: una reinterpretazione personale dello spazio che nasce da un’analisi sul concetto di soglia.
Si prosegue con Ohad Matalon, che nella serie The Zone – una delle serie tra le più iconiche nel panorama della fotografia contemporanea israeliana, attraverso i suoi scorci le sue immagini intendono disegnare una mappa culturale, geopolitica e sociale dello stato d’Israele.
Lo stesso vale per Yuval Yairi, che in Surveyor propone una complessa mappatura spirituale di un passato vissuto come topografo coinvolto in spedizioni militari di ricognizione del territorio, in contrapposizione con la sua identità di artista.
Hrarir Sarkissian, artista di origini armene e siriane presenta un’opera monumentale intitolata Churches, un giocoforza di ombra e luce che si staglia da un’impercettibile fessura all’ingresso di una chiesa di Amsterdam, investendolo di una particolare sacralità.
Infine Andreas Lang propone uno scorcio evocativo, scattato durante un viaggio sulle orme del nonno militare e dell’eredità dell’ex colonia tedesca in Camerun.
Il percorso della mostra prosegue snodandosi su di un fronte più metafisico, all’interno del quale spicca la serie di osservatori proposta da Fabrizio Ceccardi e Otto Nix, luoghi di confine e allo stesso tempo vettori di apertura su realtà altre.
Seguono due scatti emblematici di Silvia Camporesi molto distanti a livello temporale, ma accomunati dal concetto di soglia e di attraversamento.
Anche Jacopo Valentini nella serie Vis Montium riflette sul tema del territorio attraverso un processo di decontestualizzazione dello stesso, slegandolo dagli elementi sociologici, antropologici, storici che possano ricollegarlo a dei parametri predefiniti.
Segue una selezione dei luoghi tra i più emblematici del Myanmar di Beatrice Minda, per poi passare a una serie di scatti intriganti che ripercorrono i lasciti del colonialismo francese di Thomas Jorion e una cartolina datata nel 1966 che suona come un monito di fronte al costante rischio idrogeologico al quale sono sottoposte le Dolomiti di Marina Caneve.
Infine le numerose declinazioni di approccio dello sguardo si soffermano nelle aree più remote dell’animo umano, dallo scatto poetico di Giulia Agostini, che coglie una giovane voltata di spalle, intenta a sporgersi per guardare l’infinito da una staccionata, all’autoritratto più introspettivo di Gail Albert Halaban che con sguardo rivolto verso l’esterno, indugia sulla vita notturna della sua città, New York; vi è la ricerca intrisa di intimismo di Francesca Todde, che ritrae le sottili sfumature di un silenzioso dialogo tra un allevatore di uccelli da circo e la sua cicogna, e gli scatti senza tempo di Augusto Cantamessa, che immortala lo stupore e la purezza negli occhi di un bambino, intento a guardare una scultura lignea della Vergine, o quello di una badessa con lo sguardo rivolto verso l’immensità del mare.
Per concludere un omaggio viene dedicato a Ferdinando Scianna, che con il suo occhio indagatore, sembra evadere l’intangibilità della scultura ritratta, ovvero l’Ermafrodite del Louvre, che sembra tornare a vivere di un’aura propria. Non da meno è la ricerca di Michael Von Graffenried, Naked in Paradise, che ritrae la vita quotidiana in un campo nudista svizzero a Thielle che non aveva mai aperto le sue porte ad alcun fotografo esterno.
Benyamin Reich invece ritrae due fratelli mentre si stringono la mano: l’effetto sfumato della foto sembra quasi suggerire l’incertezza di un futuro prossimo che si staglia di fronte ai due giovani, invitando l’osservatore a riflettere sulla connivenza di culture diverse, temi particolarmente cari per Reich; fa da eco lo scatto di Giulio di Sturco, con due giovani su una spiaggia a Patna, lungo il fiume Gange.
A concludere il percorso espositivo si intravede una scala appoggiata su un muro, probabilmente un’area di scavo archeologico, che sembra suggerire l’accesso a un mondo che non ci è dato conoscere. Lo scatto di Giulia Parlato non lascia spazio ad interpretazioni certe, ma rimane sicuramente affascinante la particolare atmosfera onirica, un luogo atemporale, che caratterizza la serie Diachronicles.
Cover Photo Credits: Courtesy Francesca Todde